Nessuno, assolutamente nessuno, è in grado di restituirmi
quel rametto di salice che diventava una frusta o un machete, e neppure quei torsoli di pannocchie di granturco sgranate che si trasformavano in mucche pronte a tirare immaginari
grossi carichi di casse o di foraggio.
La nostalgia del passato in questa forma è solo filologia
senza testi, rimpianto o associazione culturale di nostalgici, quelli che sanno
ricostruire artigianalmente stupendi modellini funzionanti di mulini ad acqua o
mietitrebbiatrici. Che poi, quando mi capita di vedere nelle loro esposizioni questi
gioielli, non me ne andrei mai via.
Io penso invece, e questo veramente mi crea una sorta di
rifiuto per il nuovo, ai vecchi negozi
praticamente scomparsi che vendevano giocattoli, e magari non solo giochi, ma
anche ferramenta e articoli per la casa e prodotti per la pulizia.
Ne ho conosciuti a decine, in tante città italiane, dal
Trentino alla Puglia, dalla Calabria all’Emilia.
Entravo, guardavo, cercavo di essere sorridente e di non
farmi chiedere subito cosa volevo. Se ero costretto facevo una domanda su un
certo oggetto che mi sarebbe anche potuto servire, ma del quale non avevo alcun
bisogno.
Io cercavo cose strane ed introvabili, giocattoli di plastica
o in lamiera, oggetti magari impolverati ma che altrove non c’erano, prodotti
da una piccola fabbrica o da un laboratorio improbabile. E spesso li trovavo,
li compravo, e spendevo così soldi che avrebbero potuto servirmi per altre cose
più importanti.
Con mia moglie, quando con mio figlio era piccolo, abbiamo girato in Europa. Durante i primi viaggi era normale che entrassimo in
ogni negozio di giocattoli ci potesse capitare a tiro. Lui si divertiva
ovviamente, e noi più di lui.
Io personalmente avrei spesso comprato l’intero negozio, ma poi, ammesso che non esistessero altri problemi, non avremmo saputo dove mettere tutti i balocchi, e quindi eravamo costretti ad un compromesso.
Io personalmente avrei spesso comprato l’intero negozio, ma poi, ammesso che non esistessero altri problemi, non avremmo saputo dove mettere tutti i balocchi, e quindi eravamo costretti ad un compromesso.
Ma, in quei tempi, un negozietto o un grande magazzino
austriaco vendeva cose diverse da quelle che si trovavano in altri luoghi
analoghi in Francia, in Germania, in Olanda o in Danimarca.
Negli ultimi anni no. Tutto è cambiato, in Italia e fuori. Ovunque
si trovano sempre e soltanto gli stessi giocattoli, belli o scadenti, costruiti
in serie e omologati. L’unica cosa che cambia è il prezzo, ma non il prodotto. E
tanti piccoli negozietti hanno chiuso, nel frattempo, e sono nati nuovi e più
moderni punti vendita dove le vecchie cose sono diventate costosissime,
coloratissime, garantite e certificate, con allegato libretto di istruzione
scritto da architetti e pedagogisti.
Io, lo confesso, talvolta entro ancora, mi guardo attorno, cerco
i prezzi di una semplicissima scatola di legnetti sagomati, dentro di me penso
cose irripetibili e poi sorrido ed esco. A volte compro ancora, è chiaro, non
tutto è da buttare, ma non è quello che cercavo io. Io voglio uno spacciatore di
giochi non autorizzato che non si rifornisca dalla grande industria o dalla
fabbrica radical-chic e che non abbia, in sottofondo, quella musica che alcuni chiamano
rilassante ed altri new-age.
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