venerdì 10 maggio 2019

verso il cielo



Non so con quali sentimenti vivo questa situazione ma mi accingo ad agire senza pensare troppo. Pensare può diventare un problema. Pensare porta infelicità, o insoddisfazione, o confronto impetoso, o invidia, o senso di solitudine, o il desiderio di avere detto ciò che non si è detto… e mi fermo perché credo basti…
Quindi agisco senza farmi domande ed entro in un edificio labirintico e pieno di vani, passaggi, corridoi, scale e svariati percorsi obbligati per raggiungere un appartamento. Passo per ballatoi, spazi comuni e in parte privati, salgo scale, salgo sempre, il percorso non posso cambiarlo. Il percorso è nuovo ma allo stesso tempo familiare.
Ad un certo punto sono obbligato a salire su un tavolo o una cassapanca per proseguire infilandomi in una sorta di budello stretto e scomodo su per una scaletta.
Mi sorge il dubbio di come sia possibile un tale percorso, irreale ed assurdo, e mi chiedo pure se sia questa l’unica via di accesso. Per procedere devo mettermi su un fianco, altrimenti non ce la faccio. Ma come è possibile? E se ingrasso, anche di poco, poi non posso più risalire, o ridiscendere? 
Finalmente arrivo, sono nell’appartamento, il più in alto di tutto il palazzo. Ora, a ripensarci, mi ricorda molto vagamente il percorso accidentato che ogni volta deve percorrere Jacques Tati per entrare in casa sua in uno dei suo film.
Quel film lo abbiamo visto diverse volte assieme, Viz. Lui alla fine arriva nel suo appartamento, e dall’altro domina tutto il quartiere. Io invece quando sono entrato ho provato solo un senso di tranquillità stupita, e non ho sentito il desiderio di guardar fuori. Cercavo ed ho trovato, in modo difficoltoso ma non impossibile. Mi sono avvicinato al cielo, anche se non l’ho visto.


                                                                                               Silvano C.©   

(La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)

mercoledì 8 maggio 2019

Sala d’attesa



Aspetto, confesso di non capire esattamente cosa e perché, ma sono certo di aspettare.
A volte sono fisicamente seduto in una sala d’attesa, ma capita raramente. Altre volte, la maggior parte, passo in qualche sala perché sento di doverlo fare, oppure ci ritorno mentalmente, ad aspettare eventi passati, come se ora dovessero ancora avvenire, e quindi aspetto perché ho aspettato.
Mi piacerebbe sapere chi aspetterà per me, quando forse capiterà, ma questa è una domanda egoista e priva di senso, dettata solo da una mente che vaga sul possibile e sull’immaginato.
Si tende a dimenticare che esistono le sale di attesa. La vita felice esige la rimozione e la negazione del dolore, o anche delle semplici nubi delle preoccupazioni. La felicità sembra un cielo azzurro, terso, limpido. 
Io non ho mai ricordato con nostalgia le sale d’attesa, non con tale forza almeno. E nei miei momenti più felici le sensazioni che avevo provato aspettando in una sala d’attesa erano lontane. 
Ora sembra effettivamente che io non possa fare altro. 
Aspetto, questo è il fatto, Viz.

                                                                                               Silvano C.©   

(La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)

martedì 7 maggio 2019

non è la pietà



E quando ti sarai consolato (ci si consola sempre), sarai contento di avermi conosciuto. [A.D.S-E]

Non la pietà, piuttosto rabbia per chi la pietà non l’ha avuta.

Non è la consolazione, perché ricercarla mi sembra un atto vigliacco.

Non è la distrazione, anche ci casco ogni giorno, per non morire.

Non è l’accettazione, ma il continuo ricercare il ritorno all’indietro, come se questo fosse possibile, e scegliere un’altra via.

Non è la colpa, perché alcune scelte sono inconsapevoli delle conseguenze che portano. Solo dopo sarebbe diventata colpa, solo dopo.

Non è la certezza, anche se un tempo questa parola mi era stata assegnata. Quella l’ho persa da tempo e trovo più corretto nutrire dubbi e cambiare ogni giorno piuttosto che sbagliare per troppa sicurezza.

E non è neppure, credo, l’invidia per chi ora sembra avere più aiuto, più umanità, più aiuto, più risposte, quando anche tu le chiedevi.

Non so cos’è, è questo il fatto, Viz.

                                                                                               Silvano C.©   

(La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)

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