martedì 30 giugno 2020

Inizio, fine, o forse niente di tutto questo



Camminava nella nebbia, non la solita. Non camminava invece, correva guidando un’auto, e correva troppo nella nebbia. Correva e non si fidava del nulla davanti, perché poteva nascondere un muro, una curva, un’altra auto con i fari spenti, una persona invisibile sul ciglio della strada pronta a finire travolta, o magari il Diavolo in persona. Che strana l’idea del Diavolo, un attimo prima non l’aveva, e dopo gli si era appiccicata. Eppure la nebbia era stata per tantissimi anni amichevole, complice persino quando fumò le sue prime, ed ultime, sigarette. E poi la nebbia si era adattata alla sua malinconia e gli aveva fatto compagnia al posto di qualcuno col sangue caldo, e questo era successo per molti anni. Ma era successo molte vite prima, quando ancora cercava e non sapeva cosa cercava. E poi avrebbe trovato. E il Diavolo? Niente. Sparito nella nebbia pure lui, come la paura dei morti. Come se avesse senso aver paura dei morti. Magari i morti potessero tornare, parlarci, raccontarci di cose dimenticate o rispondere alle domande che non abbiamo mai fatto. Una notte di molti anni prima la nebbia lo aveva accompagnato ad una festa, e la tensione vissuta durante il viaggio non aveva rovinato nulla di quello che avrebbe poi trovato raggiunta la meta, neppure la paura del viaggio di ritorno, sparito completamente dai ricordi. Quello che conta è l’attesa, più ancora di ciò che attendiamo, e raggiunto lo scopo la mente rimuove le inutili sensazioni ripetitive che seguono il risultato ottenuto. E se può ancora raccontarlo il viaggio di ritorno avvenne sicuramente senza particolari problemi. Malgrado la nebbia.
Stranamente però da un po' di tempo la nebbia arrivava accompagnata dalla paura, una paura indefinita e però tangibile, oggettiva e anche logica. Per fortuna la nebbia scendeva meno di un tempo e allora la paura, che aveva trovato una strada facile e non le andava di lasciarla senza ripresentarsi, aveva deciso di agire in prima persona. Camuffarsi da Diavolo non era servito, la paura voleva arrivare a toccarlo più direttamente. Allora la Paura si materializzò senza nascondersi nella nebbia rubando identità altrui. Sparita la nebbia e con lei il maligno, restò solo lei, a infilarsi nei pensieri e a cercare spazi. Le paure irrazionali sono quelle che non hanno cura, non hanno risposta logica, si possono combattere solo ignorandole e facendo o pensando ad altro. Una nuova vita, un nuovo libro, un nuovo interesse, un nuovo incontro, forse. Avrebbe ricominciato ad uscire come prima? Forse. Ma prima quando, esattamente? Non tutti i prima erano disponibili, anzi, a dire il vero ben pochi, e la Paura sghignazzava per averlo messo in quella situazione. Lui non voleva tutti i prima del mondo, non gli erano necessari né ne avrebbe avuto il tempo. E molti di quei prima gli erano negati senza appello. Quindi paura di cosa esattamente? Paura dei morti no, della Signora forse, anche se avvertiva che un po' le era amica. Paura, vai al Diavolo, pensò ad un certo punto. Guardò fuori dalla finestra. Cielo quasi sereno, niente nebbia. Ancora un po' e sarebbe uscito, il solito giro, forse, o leggermente più lungo del solito, ancora a pensare, ma senza paura della Paura, non più del necessario.
                                                                      Ciao, Viz.

                                                                                               Silvano C.©   

(La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)

raccontare




                   Chi sa raccontare troverà sempre qualcuno pronto ad ascoltare.
                                                                     (Leandro Ponsello Aragos)

Credo che quasi tutti, dopo qualche anno di vita sociale, abbiano nella loro esperienza una cena, un pomeriggio o una serata, una notte trascorsa con un gruppo nel quale un affabulatore ha saputo tenere l’attenzione su quanto stava dicendo. Non conta il tema trattato, comunque non banale, conta la forza in quel momento invincibile delle parole e del fascino delle immagini evocate.

Saper raccontare è un dono, legato al momento e provvisorio come ogni cosa umana, come lo è una prestazione sportiva che non è mai ripetibile all’infinito.

Forse per pigrizia spesso ho vissuto questi momenti. Ho dovuto poi, col passare degli anni, effetturare una selezione tra le persone che ho ascoltato. Molte di queste mancavano, e mancano, delle doti necessarie ma appartengono all'inesauribile legione dei surrogati, degli imitatori logorroici. È ben diverso parlare e non prestare quasi attenzione a chi vorrebbe intervenire nel discorso, magari concedere solo un po' di spazio per riprendere fiato e dopo continuare come prima dal raccontare e generare l’attesa, inibire prima della nascita ogni desiderio di far domande perché si sa che arriveranno risposte o altre domande ancora più interessanti. Alcuni quando raccontano non devono essere interrotti, esattamente come era necessario comportarsi ad un concerto di Segovia.  

Ma solo pochi hanno questo dono e noi comuni mortali dobbiamo accettare di appartenere all’inesauribile legione… Sarebbe però  sicuramente preferibile neppure provarci e lasciare spazio alle parole altrui senza pretendere di imporre le proprie. Dialogare, insomma, è la via maestra, lasciando solo ai pochi maestri l’onore di raccontare.
                                                                      Ciao, Viz.

                                                                                               Silvano C.©   

(La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)

lunedì 29 giugno 2020

proprio quando avevamo bisogno, è andato via




Per una volta non si tratta di me, ma la frase si riferisce ad una situazione che mi è tristemente nota e le parole pronunciate furono, a memoria, quelle.

Ora non mi interessa entrare nei particolari del fatto contingente, che come si può immaginare racconta di una delusione, di un bisogno, di un sentimento di tradimento, di un errore di valutazione e di molto altro, e che sintetizza un modo di vedere la vita, e come si immaginano le sue stagioni.

Il contadino non sa se otterrà il raccolto, e se il suo lavoro produrrà poi un equo guadagno. Non lo sa l’assicuratore, che tuttavia per mestiere lavora sulle previsioni e solitamente, ma trattando grandi numeri, nella media ci indovina. Prevedere quello che avverrà nelle stagioni della vita è un gioco da lasciare alla programmazione delle grandi imprese, degli stati, mentre il singolo individuo, su sé stesso, gioca con carte truccate da altri.

E così capita che una donna, alla fine della sua vita, si senta tradita dalla persona sulla quale aveva fatto affidamento molti anni prima, che aveva scelto ed avvantaggiato rispetto ad altre, anche per ripagare in anticipo una vicinanza che sarebbe arrivata più tardi. Pensava che sarebbe arrivata, dava per scontato che così sarebbe andata.

Le stagioni però non vengono esattamente nel momento annunciato, alcune non si faranno mai vedere e ci saranno rubate prima del tempo che noi pensavamo nostro.

Tu sai a cosa mi riferisco, Viz, e ora possiamo dire che furono commessi errori in quel periodo, che tentai di denunciarli, di evidenziarli, ma inutilmente. Io stesso partivo da una mia visione, non necessariamente corretta e oggettiva, e colpe non ne posso assegnare a nessuno. La vita ha deciso, ha chiuso alcuni capitoli ed altri ancora no, ma alla fine quella questione che generò tanto dolore si è chiusa.

Dovrebbe avermi insegnato qualche cosa, ma anche se ciò fosse avvenuto, sai quanto altro nessuno mi ha mai spiegato e io, alla fine, non capirò mai? Non c’è nulla da fare, esattamente quando avremo bisogno di un’ultimo respiro, avremo esattamente solo ed esclusivamente quello: un ultimo respiro. E qualcuno sarà già andato via, mentre noi saremo nel frattempo andati via per tanti altri.  Ciao, Viz.

                                                                                               Silvano C.©   

(La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)

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