In questo tempo strano sia dal
punto di vista meteorologico che storico la parola vacanze mi riporta altri
luoghi ed altri momenti, all’odore del sole sulla terra secca, al profumo di
piante mediterranee vicino al mare e, ancora più indietro, al volo di insetti e
del caldo afoso.
E poi, malgrado tutto, qualcuno
mi racconta di una parvenza di normalità che non sento mia, tu mi spingi a
fingere che ogni cosa possa procedere, perché in effetti occorre sempre andare
avanti, nulla resta immutabile, neppure la lapide del cimitero.
Ecco, ho scritto la parola
infame, quella che evito quasi sempre, ma devo venire a patti anche con quella.
Io non sono in grado di vincere le battaglie già perdute in partenza, e non so neppure
se posso aspirare all’onore delle armi. Quando si perde è inutile infiorare il
concetto, si perde e basta. E non consola la certezza che tutti perdono, è da
perdenti abbrancarsi a quel ragionamento, molto meglio far finta di nulla. Inoltre
la consolazione che mi arriva se la prendo in quel modo è pari a zero.
Quindi preferisco parlare di villeggiatura,
quella che si faceva ancor prima di me, che ricorda le baruffe chiozzotte e che non deve fare i conti con i nuovi social e il recente
imperativo del distanziamento. Estati infinite, tempi mai legati al fine
settimana ma alla stagione delle ciliegie o delle prugne selvatiche.
Comunque poi le chiami o le chiamino, andrò (o starò) con
te. Ciao, Viz.
Silvano C.©
(La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte,
grazie)
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