venerdì 12 luglio 2013

Tommaso da Tortona


Nato a Tortona, Tommaso aveva studiato legge e nei primi tempi aveva esercitato la sua professione nelle terre piemontesi, con incarichi di sempre maggior responsabilità quando, attorno al 1356, venne invitato dal marchese Aldobrandino II di Ferrara a svolgere in città la funzione di Giudice del Comune. La cosa gli fece piacere, ed accettò con entusiasmo perché voleva allontanarsi dai luoghi dove era nato, sia per dimenticare una donna che lo aveva fatto soffrire sia perché, dopo la morte dei genitori, nulla lo legava più a quelle terre.

A Ferrara, allora piena di vita e intrighi, in piena espansione, sempre contesa dal papato e dagli stati circostanti, non ultima la Serenissima, lui si trovò subito nel suo ambiente ideale. Entrò nel ruolo affidatogli con estrema serietà ed impegno e quando prese il potere il nuovo marchese Niccolò II d'Este, questi rimase talmente soddisfatto del suo lavoro che lo nominò vicario generale. A corte allora si viveva tra sfarzi e feste, e Tommaso solo in parte partecipò a questa vita frivola, abituato a maggior sobrietà. Tuttavia non rifiutò l’aiuto del marchese nel trovargli un'abitazione degna del suo ruolo, in Via della Luna, considerando anche le sue nuove esigenze familiari. Nel frattempo infatti si era sposato con la figlia di un notaio, Donna Giovanna dei Lupi.

Gli anni trascorsero felici, per la coppia, che ebbe nel tempo tre figli, due maschi ed una femmina: Tommasino, Azzo e Lisa. Erano molto uniti ed invidiati dai sudditi estensi, che vedevano questo forestiero in modo malevolo perché un ferrarese, specialmente se appartiene al popolo, diffida sempre di chi viene da altre terre, vedendo in costui una oscura minaccia o addirittura una sorta di furto di propri indefiniti diritti.

Nel frattempo a corte il signore viveva sopra i mezzi che la pur ricca città avrebbe permesso, sfruttando oltremisura le capacità di pagar gabelle da parte di commercianti e corporazioni artigiane. Poco a poco crebbe il malcontento, si parlò anche di un tentativo di congiura, che sulle prima venne ignorato come se si trattasse di invenzioni create ad arte al solo scopo di limitare il crescente potere del marchese.

Tommaso intanto veniva nominato Vice Podestà, e infine Giudice dei Savi, massimo magistrato di Ferrara. A lui competeva la riscossione delle imposte per far fronte a tutte le necessità della corte.

Tutto precipitò una notte, all’inizio del marzo 1385. Il popolo insorse, venne occupata la Cancelleria di Stato, vennero trovati i libri contabili e di questi ne venne fatto un rogo, vicino a San Romano. Tommaso venne salvato a fatica dagli emissari del marchese, che però non poterono far nulla per difendere la sua famiglia, e si narra che persino i suoi figli vennero lasciati nudi dagli insorti, dopo che ebbero spogliato la sua dimora di ogni cosa. Nulla si conosce della sorte toccata alla moglie o ai servi.

Il popolo aveva indirizzato la sua ira non contro il vero responsabile dei suoi stenti, ma verso uno dei servi più fedeli del marchese, lo sfortunato Tommaso. Dopo vari tentativi di pacificare la folla inferocita, questi venne abbandonato al suo destino. Consapevole di quanto lo attendeva, si confessò, chiese perdono a Dio, poi venne lasciato al popolo che letteralmente lo squartò vivo, ne disperse le membra ed in parte le bruciò sul rogo in San Romano. Si racconta che parti del suo corpo vennero mangiate da alcuni invasati, altre parti esposte sulle piazze, e alcune persino portate sull’argine del Po, a Francolino.

In qualche modo poi la sommossa popolare si quietò, dopo aver avuto il suo orrendo tributo di sangue. Il marchese fece il bel gesto di togliere alcune gabelle, ma colpì poi anche duramente i sobillatori del popolo, punendoli in modo spietato. Il terrore vissuto quella notte tuttavia non lasciò più il signore estense che iniziò, in quei giorni, a progettare una nuova difesa in città per sé e per la sua famiglia. Infatti convocò prestissimo a corte un noto architetto di origini novaresi, tale Bartolino Ploti,  e gli commissionò il progetto di una struttura fortificata dentro le mura, quella che poi sarebbe diventata il castello di San Michele, oggi noto come Castello Estense.


(Storia parzialmente ispirata a fatti ferraresi, non necessariamente avvenuti come qui raccontati dal sottoscritto)

                                                                                                        Silvano C.©


( La riproduzione è riservata. Ma non c'è nessun problema se si cita la fonte.  Grazie)

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