lunedì 8 giugno 2020

di dolore e rabbia



Giorni pessimi, questi, sotto molti aspetti.

Per mia natura ne coglierei ogni aspetto per deprimermi e darmi pensieri. Quasi certamente lo faccio in modo continuo, anche senza rendermene conto, come impostazione automatica. A volte credo di non essere sempre stato così, e forse anche questo è possibile, o lo è stato in alcune fasi importanti.
Ho la sensazione che quasi sempre il mio primo incontro con chiunque sia stato determinante per tutto ciò che ne è seguito, e che tra i fattori ad influenzare questi primi momenti ci sia stato esattamente il mio atteggiamento pessimista e/o ottimista. Quante banalità da psicosociologo dell’ovvio.

Ciò che rende questi giorni pessimi è il confronto con ciò che ero o avevo non solo pochi mesi fa, ma cinque o sei anni fa, oppure dieci anni fa… Mi manca il tuo giudizio e la tua voce, ne sono orfano da troppo tempo e tutti i surrogati non funzionano. L’originale è sempre insostituibile. Imitabile, in alcuni casi, ma unico. So che sorridi, in qualche modo e in un altrove che mi è negato. Ammetto che me lo avevi detto, senza che tu debba dirlo. Dire questo riferito a sé stessi non è mai elegante, ma ammettelo se riguarda altri è quasi doveroso, obbligatorio se si vuole mantenere un minimo di onestà. Mi sembra di non spostarmi ancora dall’ovvio, credo.

La cosa che in questi giorni supera noi e le nostre miserie umane condivise da tutti, prima o poi, è la rabbia mista alla paura che si sente ovunque. E sopra ogni cosa il dolore che tocca direttamente (o indirettamente ma molto da vicino) in maniera generalizzata. Perdere è già difficile, e la paura di perdere rende ancora più opprimente la vita durante l’attesa. Ed allora scatta il desiderio di fuga, per non avvertire il dolore e la rabbia. Scatta l’insofferenza per i messaggi che arrivano, da qualsiasi fonte, sull’ottimismo che dovrebbe spingerci a vedere che tutto potrà andare bene, o sul terrorismo di chi intravede degradi epocali ed inarrestabili, o nei confronti di chi è semplicemente oppresso dalla propria situazione, e se contattato con una telefonata scarica ogni sua ansia, senza l’intenzione di farlo ma solo perché ne è sopraffatto.

Dammi un’isola che non c’è, un’ultima Thule dove poterci ritrovare scambiarci parole, Viz. Mi basta anche qualche momento nella notte, o qualche lampo durante le ore di veglia. Poi saprei farne tesoro e prolungarne la forza che me ne viene.


                                                                                               Silvano C.©   

(La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)

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