Prepara le cose con un certo ordine e metodo. Vuole evitare di mancare l’obiettivo finale e di rimanere semplicemente ammaccato o solo con le ossa rotte e poi recuperato alla vita, quella che gli resta. E soprattutto non vuole rimanere in qualche modo incapace di muoversi, paralizzato, ma sempre cosciente, a vivere in un inferno peggiore di quello che già deve subire, obbligato ad essere un’infestante inutile ma non estirpabile.
Ci ha riflettuto a lungo, e gli sembra la cosa migliore.
Vivere da solo in quella casa che non ha più alcun desiderio di mantenere in
ordine, di riparare, di ripulire è decisamente frustrante. Ogni giorno si
sveglia con un dolore nuovo, una piccola cosa magari, ma che si aggiunge a
tutti quelli precedenti, che non intendono lasciarlo.
La sintesi additiva, ricorda, è una modalità di formazione
del colore che arriva ai nostri occhi,ed ora potrebbe riformulare benissimo
quella teoria non solo per l’ottica ma per l’età: la sintesi senile.
Si arriva con aggiunte successive e metodiche di dolore alla
comprensione. Senza dolore non si può capire la realtà, è un pedaggio
necessario che ha pagato quando gli è stato richiesto, ma ad ogni cosa c’è un
limite, personale, certo, discutibile, ma esiste.
Anche l’acqua è preferibile all’alcol, e fa sicuramente bene
berne tanta, ma se si esagera anche l’acqua fa ubriacare, letteralmente, ed
uccide più di una ubriacatura da vino o altri alcolici. Lui sta per ubriacarsi,
insomma. È da molto che lo pensa, ed è già da qualche mese che, con calma, distrugge
in tutti i modi possibili le tracce del suo passato delle quali non è
particolarmente fiero, in modo che chi verrà a curiosare, come è naturale che
avvenga, non trovi nulla che lui non sia disposto a far trovare.
Nel giro di alcune settimane elimina fotografie stampate su
carta, negativi, vecchie diapositive ed altre immagini recenti legate ai suoi
ultimi anni in rete. Certe sue deviazioni sessuali o manie e debolezze possono
tranquillamente sparire, agli altri non devono interessare. Brucia le tracce
che conservava tra i suoi documenti di una vecchia condanna per furto. Una
leggerezza pagata molto cara, a suo tempo, che ha rischiato di compromettere la
sua carriera lavorativa. Difficilmente del resto l’unica erede avrà la
curiosità di fare una ricerca su di lui al casellario giudiziario. La cosa è
stata conosciuta solo da Margherita, a
suo tempo, e pure lei lo ha aiutato a non farla scoprire alla figlia.
Getta alcuni libri e lettere. Butta nel fiume, dove è più
profondo, una vecchia pistola lanciarazzi che possiede da quando tali armi
erano ancora in libera vendita ed era facile procurarsele. Ripulisce il
cellulare da quasi tutti i numeri memorizzati, e cancella messaggi e traffico.
Passa al suo computer, procede ad eliminare ogni traccia delle sue
navigazioni e cestina tutti i dati. Poi riempie tutta la memoria disponibile con le stesse immagini di
paesaggi ripetute decine e decine di volte, in cartelle sempre più grandi, in modo da cancellare tracce residue di vecchi
file. Poi cancella pure quelle.
Per settimane si è battuto contro la polvere ed ha cercato
di ricordare gli anni sepolti nelle scatole accatastate in cantina ed in
soffitta, alla ricerca di particolari da eliminare.
Ora è arrivato al momento giusto, ha finito e si siede per
un po’ sul divano che mantiene la sua impronta anche quando lui è altrove.
Chiude gli occhi, rivive l’infanzia, con le scoperte e le cattiverie. Alcune le
ha ancora fissate in modo indelebile, e ora saprebbe cosa fare. Ma ora non è
allora.
Pensa ai suoi, ai fratelli, ai parenti con i quali ha sempre
avuto rapporti molto allentati. Pensa agli amici, tanti in fondo, ma pure
pochi. Quelli veri quanti saranno stati? Nessuno? E lui è stato amico di
qualcuno? Ne dubita fortemente. Se avesse saputo tenersi gli amici, dedicando
loro il tempo che meritavano, ora non sarebbe arrivato a quel punto. O forse
invece sì. E le donne? Mica tante, ad essere sincero. Non ci ha quasi mai
provato, però, perché quando lo ha fatto le cose non sono andate sempre male. E
poi Margherita, lei, compagna di una vita, passione e amicizia, sogni e
tragedie, dolcezze e litigate folli, e senza di lei si è perduto.
È stanco di fare ancora queste operazioni dolorose, inutili
rimescolamenti di sentimenti, ed è stanco anche del dolore alla testa, al
ventre, alle ginocchia ed al polso. E poi i denti ipersensibili e rovinati, la
schiena, la spalla, il giro vita che gli ricorda il suo disordine alimentare, e
la vista, sempre più ridotta. Ora deve tenere quasi sempre gli occhiali, per
ogni cosa.
Ha sentito di qualcuno che prende pillole magiche e ritrova
serenità e buonumore. Conosce persone iperattive che vanno in montagna,
corrono, nuotano, si ritrovano per cucinare o per andare a teatro, vanno a
visitare musei e superano in compagnia le depressioni che lui invece coltiva
con cura.
Sa perfettamente quanto costa farsi assistere da una
badante, e potrebbe reggere probabilmente diversi anni, ma non all’infinito, e
sicuramente non potrebbe far fronte con i risparmi ad un ricovero prolungato
presso un lungodegenti. Potrebbe se vendesse la nuda proprietà, ma quello non
lo vuole fare. La figlia, che vede sempre meno, non ha un lavoro stabile,
ancora, ma tenta di farsi strada, in qualche modo, in questo modo difficile che
emargina i vecchi e non offre possibilità ai giovani. Non vuole lasciare anche
debiti, oltre i problemi che le ha creato la sua generazione. Nadia deve poter
vivere con un po’ di tranquillità, quando lui non ci sarà più. E potrà anche
godere dei frutti di quella piccola assicurazione che avevano stipulato molti
anni prima lui e la moglie, a favore della figlia, in caso di incidenti ad
entrambi i genitori.
Tutto è pianificato. Dovrà sembrare un banale incidente, e
nessuno dovrà pensare al suicidio. Non lascerà nulla di scritto, come una lettera
estrema o cose simili. In un tornante della salita, o della discesa, meglio
della discesa, lui perderà il controllo e l’auto farà un volo di un centinaio
di metri. Fine.
L’auto del resto ha i suoi anni, e potrebbe sempre avere
qualche problema. Anche a quello ha pensato. Ad esempio ha usato moltissimo i
freni, negli ultimi giorni, per consumarli il più possibile pur non arrivando
al limite. Va bene. Si parte. Inutile pensarci ancora.
È in strada da circa trenta
minuti, ormai è fuori dai soliti giri che ogni tanto si concede, e
comincia a cercare il punto adatto. Il paesaggio è bello, deve ammetterlo, e
sembra dimenticare quel fastidioso nuovo dolore al petto che avverte da qualche
ora. Salendo, subito dietro la curva di un tornante, c’è una piazzola, ed una
donna che si sbraccia per richiamare la sua attenzione. Visto che sale piano,
si ferma senza difficoltà, e si toglie dalla strada, parcheggiando nel piccolo
spiazzo. La donna sembra impaurita, e sicuramente è molto agitata. Appena sceso
tenta di capire, ma più che ascoltare lei, che dice cose poco comprensibili,
vede la situazione. Lei, facendo manovra, è finita con una delle due ruote
posteriori quasi nel vuoto. Sotto solo un po’ di vegetazione leggera, qualche
arbusto, e poi lo strapiombo. Chiede alla donna di farlo pensare. È vecchio,
malandato, ma non rincoglionito. Non si fida a salire sull’auto per spostarla.
La ruota senza appoggio potrebbe girare inutilmente mentre il differenziale non
farebbe muovere l’altra, e l’operazione potrebbe pure far mettere in bilico la
macchina che, miracolosamente sembra stabile e per nulla inclinata.
-
Senta, mi sembra che l’unica cosa da fare è che io la traini
mezzo metro avanti. Poi potrà muoversi e ripartire, senza pericolo. Ho una
corda adatta, bel bagagliaio, in dieci minuti risolviamo la faccenda.
-
Ma è sicuro? Non è che poi avremo incidenti? Io ho
paura…
-
Stia tranquilla. Avrebbe potuto forse cadere, prima, ma si è
fermata in tempo. Mi dia un pò per organizzarmi.
Lui apre il suo bagagliaio. Trova la corda robusta in una
borsa dove tiene anche piccoli attrezzi, si avvicina all’auto della donna,
trova un punto sul muso dove far passare la fune e legarla stretta. Gli fanno
male le gambe, le ginocchia e la testa, ma vuole risolvere la faccenda. Un capo
è assicurato. Ora valuta la distanza tra i due mezzi, e sposta la sua vecchia
Punto, che ha quasi quattordici anni, in modo da poter legare l’altro capo della
corda. Pochi minuti, e pure questo è fatto.
-
Bene, signora. Io ora salgo sulla mia auto e lei sulla sua.
Io comincio a tendere la corda, con delicatezza, e lei, quando si sente tirare,
abbassa il freno a mano e così mi seguirà. Le basta fare un metro. Io mi
fermerò subito e lei, per favore, freni di nuovo, altrimenti mi tampona.-
Un solo minuto e la situazione è di nuovo sotto controllo.
Lui scende. Slega la corda e la rimette nel bagagliaio.
-
Alla fine tutto è finito bene, no? – Lui sorride e fa per
salutarla.
-
Non vada via, per favore. Mi permetta di ringraziarla per
quello che ha fatto…-
-
Signora, la prego, non ho fatto n…-
-
Insisto, mi farà star meglio se mi permetterà di farlo. A
cinquecento metri c’è un locale, venga, per favore, mi segua, le voglio offrire
qualche cosa. –
Non gli permette di replicare. Sale sulla sua giapponese o coreana, una di quelle auto che lui non comprerebbe mai, e con una manovra gli è davanti, e lo aspetta. Lui cede. In fondo per morire non c’è urgenza.
Si ritrovano così in un’imitazione di rifugio alpino, seduti ad un tavolino, lui con un caffè e lei con un tè. Scopre che è la moglie di un noto imprenditore locale, ed è costretto a raccontare alcune cose della sua vita. Tralascia i problemi personali, parla della figlia però, perché il fatto che lei non abbia un lavoro come si deve lo fa star male, e la cosa è palpabile. La donna lo ascolta, mentre si sfoga, e poi è lei a mettere fine, in modo abbastanza imprevisto, allo scambio di parole. Però è stranamente sorridente, e prima di dargli la mano e uscire dal locale, perché si è ricordata che la stanno aspettando, gli mette in mano un biglietto con un numero.
Non gli permette di replicare. Sale sulla sua giapponese o coreana, una di quelle auto che lui non comprerebbe mai, e con una manovra gli è davanti, e lo aspetta. Lui cede. In fondo per morire non c’è urgenza.
Si ritrovano così in un’imitazione di rifugio alpino, seduti ad un tavolino, lui con un caffè e lei con un tè. Scopre che è la moglie di un noto imprenditore locale, ed è costretto a raccontare alcune cose della sua vita. Tralascia i problemi personali, parla della figlia però, perché il fatto che lei non abbia un lavoro come si deve lo fa star male, e la cosa è palpabile. La donna lo ascolta, mentre si sfoga, e poi è lei a mettere fine, in modo abbastanza imprevisto, allo scambio di parole. Però è stranamente sorridente, e prima di dargli la mano e uscire dal locale, perché si è ricordata che la stanno aspettando, gli mette in mano un biglietto con un numero.
-
Mi chiami domani, verso mezzogiorno, per favore. Credo di
avere qualche cosa da dirle.-
Lui rimane senza parole, svuotato, e si risiede di nuovo, dopo che lei è uscita ed è ripartita. Non pensa più al suicidio. Si è pure reso conto che è una bella donna, ora lo capisce, ma prima non lo voleva ammettere.
Gli è venuta fame. Chiede un panino con lo speck.
Lui rimane senza parole, svuotato, e si risiede di nuovo, dopo che lei è uscita ed è ripartita. Non pensa più al suicidio. Si è pure reso conto che è una bella donna, ora lo capisce, ma prima non lo voleva ammettere.
Gli è venuta fame. Chiede un panino con lo speck.
( La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)
Nessun commento:
Posta un commento
I commenti offensivi o spam saranno cancellati. Grazie della comprensione.