Entrando in quel piccolissimo laboratorio in una giornata di
sole per un po’ occorre fare attenzione, aspettando che gli occhi si adattino
alla scarsa luce per evitare di pestare le tante scarpe, le scatole di attrezzi
e le due piccole panche sistemate ad occupare quasi tutto il pavimento.
Poi sono gli odori di cuoio, di gomma e di mastice mescolati
che colpiscono, e rimangono addosso anche quando si torna in strada,
affacciandosi sul vicolo.
È un mondo isolato dal resto, apparentemente, che segue
regole sue, senza tempo, volutamente legato al dolce della cotognata e
all’acido del vinello, quello ottenuto con una seconda torchiatura e da bere
solo in casa, perché non si conserva molto a lungo.
Per alcuni anni Gaspare aveva pensato di chiudere la sua
piccola bottega. Aveva sempre meno clienti, e tutti si compravano scarpe nuove
senza neppure pensare a riparare quelle usate e con la suola che iniziava a
staccarsi dalla tomaia o con buchi proprio al centro.
Molti suoi colleghi calzolai e ciabattini, arrivati avanti
con gli anni, avevano abbandonato l’antica arte ed erano andati in pensione
senza trovare nessuno che prendesse il loro posto. I più giovani, invece, non
si erano adattati a vivere di nulla o quasi, con sempre più spese da sostenere,
famiglie da mantenere e clienti spariti. Molti avevano abbandonato tutto,
cercando con scarsa fortuna altre attività.
Pochi avevano invece accettato di entrare a far parte di qualche nuova
catena, ed avevano cambiato insegna diventando, da un giorno all’altro, TACCO
EXPRESS o LA VELOCE, ma ora lavoravano come dipendenti, e le loro botteghe erano
diventate senz’anima, senza una storia.
Poi è arrivata la crisi, quella seria, con tanti che hanno
iniziato a perdere il lavoro, in ogni settore, e qualcuno, timidamente, ha
ricominciato ad entrare da Ignazio, per farsi sistemare una paio di scarpe che
meno di un anno prima aveva pagato non poco, in un negozio alla moda del centro
o nell’ipermercato sorto in periferia.
Lui, che alcune volte arrivava in negozio semplicemente per
trovare ad aspettarlo Guido e, più tardi, lo Zantino, e poi con loro discutere
animatamente di governo e di ladri, di furbi e di onesti, oltre che di morti e
di malattie, ora ha ricominciato a lavorare.
Praticamente è rimasto il solo in tutta la città, Ignazio, a
possedere quelle forme in legno e quegli aghi diritti e ricurvi adatti a cucire
il cuoio come si faceva una volta, i piedi di ferro e i morsetti, e quel suo
banchetto basso.
Anche l’assessore al turismo, in vena di trovare nuovi punti
della città da rivalutare, occasioni pure per giustificare il suo ruolo, su
consiglio di un’amica è venuto a trovarlo. Da un mese la sua è diventata
bottega storica, e in un depliant che il Comune sta preparando l’angolo tra via
del Tralcio e vicolo Leonida, sulla piantina, riporta un piccolo numerino
rosso. Nella legenda quel numerino spiega: Bottega tradizionale di calzolaio da
tre generazioni.
Ora Ignazio il calzolaio, la mattina, si alza presto come ha
sempre fatto, e, prima di arrivare ad aprire la serranda, si permette sempre due
passi per guardarsi attorno, scambiare due parole e fare qualche battuta, se capita.
È allegro mentre passa vicino ad un prato dove vede spuntare
le prime margherite della primavera, e ricorda quando, su un prato simile,
tanti anni prima, ci faceva le capriole. Così, mentre canticchia, arriva che già il Guido è lì ad aspettarlo.
Silvano C.©
( La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)
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