L'anno dei miei novant'anni decisi di regalarmi una notte
d'amore folle con un'adolescente vergine
(Gabriel García Márquez - Memoria delle
mie puttane tristi)
Romeo arriva e suona. Dal citofono nessuna domanda, arriva
solo lo scatto della serratura del portone.
Segue le istruzioni avute e si incammina nell’ampio
corridoio che funge da atrio, arriva alla scala C e preme il pulsante per
l’ascensore situato a fianco. Ha settantadue anni, e nessun desiderio di farsi
a piedi cinque piani di gradini. Il cuore gli batte forte per l’eccitazione, ed
è certo di essere rosso in viso. Non conosce ancora la ragazza che lo aspetta,
si è semplicemente fidato di un amico recente, conosciuto nel bar dove da un
po’ di tempo ha iniziato ad andare dopo pranzo, per un caffè e per vedere gente
diversa.
Quando arriva alla porta dell’appartamento la trova già
socchiusa, e bussa, discretamente.
Avanti, fa una voce allegra, entra, e chiudi piano la porta,
per favore.
La bellezza della ragazza lo inquieta, da subito, e lo
imbarazza, appena la vede. Rimane muto e rigido, dopo aver fatto pochi passi.
Che hai? Non stai bene? Accomodati, siedi qui. E gli indica una poltroncina da
grandi magazzini di mobili.
Potrebbe essere sua nipote, realizza in un secondo, sua
nipote. Perché è venuto? Cosa pensava di fare? Di ritrovare la giovinezza
perduta e gli antichi slanci, la forza dei trent’anni e l’imprudenza dei
quindici?
Si siede sorridendo, accogliendo l’invito di lei e per
guadagnare tempo.
Intanto lei sembra non aver fretta, e si siede su un piccolo
divanetto, lasciandogli ammirare due gambe perfette che spuntano da un abitino
corto e stretto, grigio scuro, dai riflessi metallici.
Lui, per non perdersi lungo quelle gambe che ha affittato
per un brevissimo attimo, e ancor peggio in quegli occhi maliziosi e verde
scuro, si guarda intorno, come a cercare una via di fuga onorevole.
Vuoi qualche cosa da bere, prima di andare di là? Annuisce.
Lei si alza con movimenti tranquilli, prende una bottiglia e due bicchieri da
un piccolo mobiletto e li appoggia sul tavolino tra loro. Ho solo wodka, mi
spiace. Va bene, mi piace. Mente lui, e prende il bicchiere riempito sino ad un
terzo che lei nel frattempo ha preparato.
L’acqua ardente gli dà una scossa, e capisce, lo capisce
solo ora. È in pensione da diversi anni, ma non è rincoglionito, ancora, e se
deve dire qualche cosa il vecchio professore ordinario di embriologia sa come
farlo. Dopo aver recuperato almeno in parte i suo sangue freddo la guarda in
viso. Come ti chiami? Il nome di battesimo intendo. Ester. È il tuo vero nome?
No. Ho capito. Ascolta Ester, ho cambiato idea. Tu riceverai tutto il tuo
compenso, ed io resterò qui a parlare un po’ con te, senza rubarti neppure un
minuto in più di quello che avevi programmato. E non dovrai neppure fingere di
apprezzare un vecchio stupido che pensa di essere un ragazzino. Guarda che non
penso tu sia un vecchio stupido, so come… Non importa, ho deciso. Tu sei molto
bella, e anche molto giovane. Potresti pure essere mia nipote, quindi no. Raccontami
quello che vuoi tu, per un po’, una storia, vera o falsa non mi importa, poi me
ne vado. Non vuoi neppure che mi spogli? No, va bene così, se ti va raccontami
qualche cosa. Decidi tu cosa.
Allora la ragazza inizia a raccontare.
Circa sette mesi dopo quell’episodio il professor Rodani
torna nella sua vecchia facoltà per sbrigare una pratica in sospeso che la
segreteria universitaria gli ha sollecitato. Questione di pochi minuti, per
fortuna. Gli fa piacere rivedere quelle mura, respirare quell’aria sempre molto
elettrica ed attiva, ritornare indietro con la memoria, ma gli fa pure male,
dentro, perché quel ciclo per lui si è chiuso definitivamente. Sta per uscire
attraversando il portone rinascimentale della sede quando la vede. È lei, senza
dubbi. Lui non scorda mai un viso. A volte confonde i nomi, ma mai i visi.
Le si avvicina, ed in modo molto cortese le chiede di
scusarlo se la disturba. Lei lo riconosce, e non tenta di fingere di non essere
quella che lui ha impresso nella mente. Mi scusi signorina, si ricorda di me,
spero. Sì, certo. La ricordo benissimo. Come lei è difficile incontrarne. Cosa
fa qui? Io frequento il secondo anno di scienze dell’alimentazione e tecnologie
alimentari. Tragicamente fuori corso. E lei? Io? Io qui insegnavo, sino a qualche
anno fa. E come mai è fuori corso? Mi sembra una ragazza sveglia.
Avviene una sorta di inversione temporale, senza che nessuno
dei due avverta l’istante preciso del mutamento. Sanno che si sono conosciuti
prima, è chiaro, ma quell’episodio è avvenuto altrove, forse in un ristorante,
o in un viaggio organizzato, ovunque, ma non in quell’appartamento. Ed ora la
ragazza racconta che alcuni esami sono difficili, e lei è poco concentrata.
Alcuni li ha tentati più volte.
La cosa finisce a parti invertite. Il vecchio professore che
pensava di andar cercando l’unica che potesse dargli una lezione, mentre in
realtà voleva solo amore, o semplicemente combattere la solitudine, ora si
offre di aiutarla, di darle lui qualche lezione, e le porge un biglietto col
suo telefono ed il suo indirizzo. Lei lo guarda stupita, e non sa neppure cosa rispondere.
Per essere più precisi non fa in tempo a rispondere, perché Romeo intanto ha
salutato con un sorriso ed è uscito canticchiando sottovoce una vecchia canzone
di Mina.
Sara qualche giorno dopo telefonerà a quel numero. E dopo
toccherà a lei andarsi a prendere una lezione, attraversando un altro portone.
Silvano C.©
( La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)
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