lunedì 23 marzo 2015

Il piano



È una superficie, idealmente senza curvature, estesa all’infinito nelle due sole direzioni dello spazio che le competono. Si può immaginare di vivere esclusivamente su un piano, che diviene così tutto l’universo possibile e conoscibile, come ha fatto in un suo libro famoso Edwin Abbot Abbot, e si può, come in Flatlandia, (la “Terrapiatta”), essere una figura geometrica classica, tanto più nobile ed elevata socialmente quanto più numerosi sono i suoi lati. Una superficie simile non esiste, in natura, è solo un’astrazione logica. Tale immagine tuttavia si è rivelata utile per edificarvi una solida costruzione di pensiero che poi è diventata realizzazione pratica, con muri, fortezze, palazzi, templi e piramidi. Si sa che non esiste, ma fingendo, o credendo, che esista l’umanità ha fatto progressi straordinari. Abbastanza singolare no?

Sedendosi ad un tavolino di un piano bar, dopo aver bevuto un brandy italiano, ascoltando il pianista suonare una ballata triste, è facile lasciarsi andare a pensieri inclinati, e seguire fantasie slegate dai fatti. Una coppia di amici, o anche di amanti, sentendosi complice grazie alla chimica emotiva e alcolica, probabilmente ascolterà irrazionalmente  le note musicali, le assocerà in modo permanente alle parole ed alle sensazioni di quel momento e le metterà in un luogo protetto della memoria, pronte a ritornare fuori mesi, anni o decenni dopo, al semplice richiamo di uno stimolo chiave. E quello che riemergerà dal passato scorrerà, lieve o grave, a restituire un tassello di verità. Mi auguro sia una verità condivisa, quando avverrà, altrimenti sarà solo dolore.
 
Serve sempre un piano, una via studiata e discussa, quando è possibile, prima di una decisione importante. A volte è il progetto stesso che presuppone la decisione, che la vuole per realizzarsi. Eppure tanti piani finiscono in nulla, e si riducono a ben meno di due dimensioni, non ne conservano nessuna. In certi casi viene da pensare che converrebbe andarci piano con la programmazione, anche se si ritiene in certi ambienti assolutamente necessaria. L’imponderabile, per definizione, arriva esclusivamente per rompere i piani, e far crollare progetti, e talvolta ponti.
Che tristezza quando si arriva a queste situazioni, che dovrebbero essere preventivate, ma che si finge di ignorare per non essere accusati di fatalismo o di scarsa efficienza.

E poi ci sono i piani alti, i piani nobili, i pianterreni, e una scala, non musicale, li unisce e li confonde. Quando si è seduti e non si osserva fuori dalla finestra non si ha la percezione dell’altezza. Questo forse ci salva. Ci fa immaginare di poter essere altrove, come io faccio ora. Allora il piano non rimane a suonare da solo, ma si unisce ad una batteria, ad un contrabbasso, ad una tromba, non quella delle scale ovviamente, anche se scivola verso il basso.

Il piano è unire, non dividere. Il motivo è resistere e suonare, o almeno canticchiare, e se si è stonati ascoltarla, la musica. Che altro?

 L'immagine usata ritrae il ponte di Mostar
                                                                                             Silvano C.©

( La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)

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