È una superficie, idealmente senza curvature, estesa
all’infinito nelle due sole direzioni dello spazio che le competono. Si può
immaginare di vivere esclusivamente su un piano, che diviene così tutto
l’universo possibile e conoscibile, come ha fatto in un suo libro famoso Edwin
Abbot Abbot, e si può, come in Flatlandia, (la “Terrapiatta”), essere una
figura geometrica classica, tanto più nobile ed elevata socialmente quanto più
numerosi sono i suoi lati. Una superficie simile non esiste, in natura, è solo
un’astrazione logica. Tale immagine tuttavia si è rivelata utile per edificarvi
una solida costruzione di pensiero che poi è diventata realizzazione pratica, con
muri, fortezze, palazzi, templi e piramidi. Si sa che non esiste, ma fingendo,
o credendo, che esista l’umanità ha fatto progressi straordinari. Abbastanza
singolare no?
Sedendosi ad un tavolino di un piano bar, dopo aver bevuto
un brandy italiano, ascoltando il pianista suonare una ballata triste, è facile
lasciarsi andare a pensieri inclinati, e seguire fantasie slegate dai fatti.
Una coppia di amici, o anche di amanti, sentendosi complice grazie alla chimica
emotiva e alcolica, probabilmente ascolterà irrazionalmente le note musicali, le assocerà in modo
permanente alle parole ed alle sensazioni di quel momento e le metterà in un
luogo protetto della memoria, pronte a ritornare fuori mesi, anni o decenni
dopo, al semplice richiamo di uno stimolo chiave. E quello che riemergerà dal
passato scorrerà, lieve o grave, a restituire un tassello di verità. Mi auguro
sia una verità condivisa, quando avverrà, altrimenti sarà solo dolore.
Serve sempre un piano, una via studiata e discussa, quando è
possibile, prima di una decisione importante. A volte è il progetto stesso che
presuppone la decisione, che la vuole per realizzarsi. Eppure tanti piani
finiscono in nulla, e si riducono a ben meno di due dimensioni, non ne
conservano nessuna. In certi casi viene da pensare che converrebbe andarci
piano con la programmazione, anche se si ritiene in certi ambienti
assolutamente necessaria. L’imponderabile, per definizione, arriva
esclusivamente per rompere i piani, e far crollare progetti, e talvolta ponti.
Che tristezza quando si arriva a queste situazioni, che
dovrebbero essere preventivate, ma che si finge di ignorare per non essere
accusati di fatalismo o di scarsa efficienza.
E poi ci sono i piani alti, i piani nobili, i pianterreni, e
una scala, non musicale, li unisce e li confonde. Quando si è seduti e non si
osserva fuori dalla finestra non si ha la percezione dell’altezza. Questo forse
ci salva. Ci fa immaginare di poter essere altrove, come io faccio ora. Allora
il piano non rimane a suonare da solo, ma si unisce ad una batteria, ad un
contrabbasso, ad una tromba, non quella delle scale ovviamente, anche se
scivola verso il basso.
Il piano è unire, non dividere. Il motivo è resistere e
suonare, o almeno canticchiare, e se si è stonati ascoltarla, la musica. Che
altro?
L'immagine usata ritrae il ponte di Mostar
Silvano C.©( La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)
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