sabato 2 agosto 2014

Nel paese dei melograni in fiore



Nel paese dei melograni in fiore un uomo cammina, prima di cena, per fuggire dai suoi problemi reali ma inesistenti. 

La stagione è strana, non è piovuto come sarebbe invece l’eccezione normale della regola, e l’ipocondria è su livelli di controllo, non accenna ad esondare. 


Vede un gruppo di persone dedite al Tai Chi Chuan, e pensa che quello che loro eseguono in un’ora lui potrebbe farlo in 5 minuti, ma subito riflette che in fondo anche il tour dell’intera Sicilia in soli tre giorni non è molto diversa come impresa, e lascia che il mondo vada come è giusto, senza rispettare i suoi paradigmi personali.


Poi incontra una ex collega, e si perde ad ascoltare ed a raccontare di Franco Parenti e Ray Charles, Enzo Jannacci e Raphael Gualazzi, Paolo Poli e Gianni Morandi, e nessuno dei due sembra avere fretta, almeno sino a quando l’ora non li obbliga a prendere contatto con la realtà.


Avere tanta vita dietro alle spalle è un dato di fatto, è oggettivo, e quando riesce ad angolare qualcuno deve trattenersi dal raccontargli troppo. Sa che si muove su un confine sottile che separa il vecchio rompicoglioni monotono dalla persona simpatica che racconta cose divertenti ed interessanti. 


Io smetto quando voglio non se lo è mai detto, ma pochi saggi sanno realizzare questo che dovrebbe essere l’undicesimo comandamento, la postilla laica alla Legge.


Camminando vede melograni in fiore in posti insospettati, e riflette sulle mille cose che vorrebbe raccontare, svuotando qualche scatolone di ricordi messi in posti strani nel corso dei vari traslochi. Non butta mai via nulla, nemmeno certe magliette di cotone bucate; le ricicla come stracci, non si sa mai. Il guaio è che così non trova mai nulla. Le stratificazioni impediscono non solo di raggiungere ma anche di scoprire cosa c’è sotto. (Ma tu lo sai già cosa c’è sotto, anche se non lo puoi esprimere a parole, solo intuirlo) Forse il colore dei fiori dei melograni gli ricorda finalmente quello che cercava: il perché. 



Quando andava al liceo, un secolo prima, timido da far persino ridere, incapace di mettere assieme due frasi di senso compiuto con una ragazza troppo bella e raffinata per poterlo semplicemente vedere ma abbastanza irresponsabile da organizzare goliardate memorabili come quando, non visto, riempì un’aula in maggio con i piumini dei pioppi poco prima dell’ora di lezione del severo e prestigioso professore (che si dovette infine arrendere ai suoi starnuti minacciando fucilazioni di massa), aveva un quaderno con la copertina cartonata rossa, metallizzata.


Era il quaderno di chimica, ma non ne è più certo, visto che lo ha perduto, chissà dove e quando. Per caso aveva usato il rovescio di quel quaderno per scrivere poche frasi, pensieri stupidi che però allora gli sembravano poesia pura, e qualcuno, non ricorda neppure come iniziò quella strana cosa, li lesse, e gli fece qualche commento. 

Nei mesi che seguirono le pagine sul rovescio divennero circa una decina, e lui le considerò un suo modo di comunicare ciò che, a parole dette con la bocca, non gli riusciva. Fu il suo diario pubblico, per un po’, quindi forse questo blog parte da lontano, da molto lontano.

                                                                            Silvano C.©


( La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)

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