Nel paese dei melograni in fiore un uomo
cammina, prima di cena, per fuggire dai suoi problemi reali ma inesistenti.
La
stagione è strana, non è piovuto come sarebbe invece l’eccezione normale della
regola, e l’ipocondria è su livelli di controllo, non accenna ad esondare.
Vede un gruppo di persone dedite al Tai Chi
Chuan, e pensa che quello che loro eseguono in un’ora lui potrebbe farlo in 5
minuti, ma subito riflette che in fondo anche il tour dell’intera Sicilia in soli
tre giorni non è molto diversa come impresa, e lascia che il mondo vada come è
giusto, senza rispettare i suoi paradigmi personali.
Poi incontra una ex collega, e si perde ad
ascoltare ed a raccontare di Franco Parenti e Ray Charles, Enzo Jannacci e
Raphael Gualazzi, Paolo Poli e Gianni Morandi, e nessuno dei due sembra avere
fretta, almeno sino a quando l’ora non li obbliga a prendere contatto con la
realtà.
Avere tanta vita dietro alle spalle è un
dato di fatto, è oggettivo, e quando riesce ad angolare qualcuno deve trattenersi
dal raccontargli troppo. Sa che si muove su un confine sottile che separa il
vecchio rompicoglioni monotono dalla persona simpatica che racconta cose
divertenti ed interessanti.
Io smetto quando voglio non se lo è mai
detto, ma pochi saggi sanno realizzare questo che dovrebbe essere l’undicesimo
comandamento, la postilla laica alla Legge.
Camminando vede melograni in fiore in posti
insospettati, e riflette sulle mille cose che vorrebbe raccontare, svuotando
qualche scatolone di ricordi messi in posti strani nel corso dei vari traslochi.
Non butta mai via nulla, nemmeno certe magliette di cotone bucate; le ricicla
come stracci, non si sa mai. Il guaio è che così non trova mai nulla. Le stratificazioni
impediscono non solo di raggiungere ma anche di scoprire cosa c’è sotto. (Ma tu
lo sai già cosa c’è sotto, anche se non lo puoi esprimere a parole, solo
intuirlo) Forse il colore dei fiori dei melograni gli
ricorda finalmente quello che cercava: il perché.
Quando andava al liceo, un secolo prima,
timido da far persino ridere, incapace di mettere assieme due frasi di senso
compiuto con una ragazza troppo bella e raffinata per poterlo semplicemente vedere
ma abbastanza irresponsabile da organizzare goliardate memorabili come quando,
non visto, riempì un’aula in maggio con i piumini dei pioppi poco prima dell’ora di lezione
del severo e prestigioso professore (che si dovette infine arrendere ai suoi
starnuti minacciando fucilazioni di massa), aveva un quaderno con la copertina cartonata
rossa, metallizzata.
Era il quaderno di chimica, ma non ne è più
certo, visto che lo ha perduto, chissà dove e quando. Per caso aveva usato il
rovescio di quel quaderno per scrivere poche frasi, pensieri stupidi che però
allora gli sembravano poesia pura, e qualcuno, non ricorda neppure come iniziò
quella strana cosa, li lesse, e gli fece qualche commento.
Nei mesi che
seguirono le pagine sul rovescio divennero circa una decina, e lui le considerò
un suo modo di comunicare ciò che, a parole dette con la bocca, non gli
riusciva. Fu il suo diario pubblico, per un po’, quindi forse questo blog parte
da lontano, da molto lontano.
Silvano C.©
( La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)
Nessun commento:
Posta un commento
I commenti offensivi o spam saranno cancellati. Grazie della comprensione.