Se io ti vengo a trovare, un po’ per il mio bisogno di
vederti ed un po’ per dimostrare il mio interesse per te, cioè per restituirti
parte di quello che sento di aver avuto, poi non puoi fraintendermi. Non devi
considerarmi prima l’amico ideale, perfetto, anche perché non ho mai tentato di
essere più di un amico, e dopo umiliarmi, spiegarmi che va bene se io vengo a
trovarti, che ti fa piacere, ma che tu non verrai mai a casa mia perché non
potrei ospitarti. Abito troppo lontano e non ho una casa grande come la tua,
adatta anche per ricevere e far dormire gli ospiti. Eppure per una stagione non breve è stato
piacevole, ci si trovava. Intuivo, stupidamente, di essere alla pari, mi
sentivo a mio agio.
Devo dirti però che una volta mi ha dato molto fastidio
vedere un altro, che conoscevo di vista e che per un certo periodo ho
incontrato spesso da te, venire a trovarti e sentirti accoglierlo con
bellissime parole, farlo accomodare, mentre io parlavo con tuo marito, pure lui
mio amico. Il nuovo ospite ha solo mostrato alcune foto e restituito un libro,
poi, con una strana aria impacciata, ha salutato e se ne è andato. Subito dopo
la sua uscita tu lo hai descritto in un modo che non mi è piaciuto, come una
sorta di sfigato o un povero disperato. E questo non me lo aspettavo. Credo sia
stata l’ultima volta che l’ho visto, e non ne ricordo neppure il nome. Che
tristezza.
In un’altra occasione c’era una ragazza, nella cantinetta,
che ti stava stirando abiti e biancheria da casa. L’hai definita tua amica. Non
la conoscevo e l’ho incontrata solo da te, ma poche volte. Mi hai spiegato che lei
aveva difficoltà a trovare lavoro e che tu la pagavi per farti aiutare in
alcune faccende domestiche. Ho provato un colpo allo stomaco, una sorta di
repulsione e rifiuto. Io un amico non lo tratto da domestico. Lo tradisco,
magari, o ne sono deluso, mi ci incazzo o decido di rompere, magari sono io a
subire da lui questi trattamenti, ma non lo considero un mio servo. Se chiedo
una cosa ad un amico non è per avere un favore, ma perché sono convinto che
faccia piacere pure a lui stare con me oppure aiutarmi.
Non è così, ovviamente, l’ho capito, poco a poco. A volte la
mia presenza è stata un peso, sono stato sopportato, ed ho perso nel tempo la
spontaneità. Se arrivo a pormi la domanda se sia giusto o no un certo
comportamento, significa sicuramente che è sbagliato, e alla fine modifico le
abitudini, e diventano inagibili ponti che sembravano costruiti per sfidare i
secoli. Crollati dopo qualche piena improvvisa, e tardiva.
Se finisco per commentare dietro le spalle, se dubito di
essere ben accettato, se l’apparenza sovrasta il senso profondo di unione e lo
riduce ad altro, l’amicizia è finita, l’amarezza e poi l’oblio sostituiranno la
rabbia che mi prende in modo immediato e spontaneo, quella che mi fa pensare: “ Sei una merda
!”
(immagine: Helmut Newton per Tisettanta)
Silvano C.©
( La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)
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