Appena ho letto la notizia, lo confesso, ci sono rimasto
molto male. Ma come? Io faccio una donazione chiaramente no-profit, finalizzata
ad un’attività benefica e lo Stato mi tassa tale donazione con un prelievo del
10%?
Non mi va bene, ovviamente.
E la rete insorge, su Twitter imperversa la protesta,
innescata da La7 e dal Corriere, con hashtag: #NoProfitNoIva.
Poi passa un giorno, passano due giorni (io ho una
lievitazione lenta) e mi rendo conto che la protesta in rete è sbagliata, o almeno
troppo integralista e superficiale, come tutte le lotte virali che interessano emotivamente
e poi si scordano, senza essere approfondite.
E mi spiego:
·
Le donazioni sono spesso dovute a situazioni di emergenza,
nelle quali l’emotività e la partecipazione a pelle sono importanti.
·
Le donazioni sopperiscono a carenze nell’assistenza
statale, quella sì che sarebbe necessaria, con gli effetti grotteschi di chi
recentemente si fa gavettoni pro SLA ma taglia i fondi pubblici per l’assistenza
ai malati, oppure ne approfitta per pubblicità personale ma dona una miseria o
ancora dona molto perché ha guadagnato molto (e perché allora non paga
volontariamente più tasse, invece di affidarsi ad esperti tributari che gli
permettono esattamente l’opposto?).
·
Le donazioni, pur generose ed altruiste, peccano di una originale
discriminazione personale. Perché aiutare i terremotati emiliani e non gli
aquilani o molisani? E perché non gli alluvionati sardi o emiliani o liguri? (E
potrei ovviamente continuare).
·
L’IVA alla fine a chi finisce se non allo Stato, che con
questa fa fronte a mille calamità e servizi, ad esigenze di tutta la
popolazione insomma? E parte ritorna, sotto forma di aiuti, alle stesse
popolazioni oggetto della donazione, sia nelle fasi di intervento iniziale sia
in seguito, con la dichiarazione dello stato di calamità.
Sarebbe sicuramente preferibile quindi una maggior
attenzione nel non far partire proteste immotivate, nel richiedere più
trasparenza nei passaggi che portano agli aiuti e lottare, questo è essenziale,
perché ogni contribuente paghi le tasse senza accettare l’evasione folle che ci
umilia nel confronto con i Paesi più virtuosi.
Se in Italia l’evasione fosse zero e la pubblica
amministrazione meno propensa, nelle persone di alcuni suoi rappresentanti
infedeli, ad approfittare del bene comune per proprio interesse personale (vedi
mazzette, vitalizi fuori da ogni logica di ex personalità pubbliche, stipendi folli
dei politici, ruberie da parte di chi dovrebbe essere nostro servitore,
riconoscimento del merito solo per gli altri, mentre nel proprio caso sono
accettabili ruoli di prestigio e di potere anche senza essere laureati ma semplici
diplomati di un istituto superiore. E mi fermo qui per pietà, prima di tutto
nei miei confronti) non avremmo bisogno o ridurremmo molto il bisogno della
beneficenza, che non è mai slegata da una scelta personale, come ho ricordato.
Uno Stato laico, come vorrei, accetta le scelte personali di
tutti, le rispetta e le difende, ma allo stesso tempo esercita un doveroso ruolo
di controllo e non permette che tali scelte, di tipo privatistico, abbiano il
sopravvento su una visione organica e di maggiore equità, che può essere
soltanto laica, non certo di un singolo - al quale riconosco indubbiamente la buona
fede - né tantoméno di un’ottica
confessionale, che rifiuto per principio.
Il balzello tanto criticato del 10% quindi in parte porta
equilibrio, non ingiustizia.
(Riflessione finale – Grandi giornali o testate televisive
quanto ricevono in termine di immagine da campagne di raccolta fondi? E chi altri
sponsorizza tali raccolte? Io ricordo, a puro titolo di cronaca, che quando
feci un piccolo bonifico indirizzato direttamente al Comune di Cavezzo - oggi al
centro dell’attenzione mediatica - pagai una commissione alla mia banca. Protestai,
ma mi venne risposto che avrei dovuto effettuare la donazione su un loro conto
corrente apposito. Solo così avrei evitato la commissione)
Silvano C.©
( La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)
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