Quando arriva il momento che hai tanto atteso, quello della
vendetta, quello della tua giustizia sacrosanta e personale, a volte non te ne
rendi neppure conto. Non ci pensi più perché ciò che hai raggiunto e ti ha
fortificato ora rende inutili quei gesti teatrali meditati con astio, dettati
da paure, ansie, desideri repressi ed incomprensioni.
Solo il debole “uccide”, chi non può affermarsi se non con
un atto violento, barando insomma. Chi non teme l’altro non ha bisogno di
ucciderlo, realmente o metaforicamente, e chi non ha più nulla da chiedere
perde il bisogno di odiare per darsi una giustificazione a gesti ormai
superflui.
Forse è la pietà umana a prendere il posto dell’odio
precedente, che fa ritirare gli artigli, o forse, ancora peggio, il
disinteresse, l’assenza.
Il sentirmi più forte, quando mi è capitato, mi ha sempre
disarmato, come capita ad un cane quando l’avversario gli offre la gola oppure
si abbassa in segno di sottomissione. Se prima ero disposto a fare pazzie, poi,
estraneo a me stesso, neppure ricordo più cosa mi aveva mosso, perdo le cause e
gli effetti, mi distraggo e penso ad altro.
Se sono calmo, rifletto, non sono distratto da miei problemi
reali o fittizi, allora spesso vedo nella rabbia altrui anche un segno di
debolezza, una richiesta di attenzione o di aiuto e trovo quasi sempre le
giuste armi comportamentali o dialettiche. Ma non è per nulla facile, e troppo
spesso, quando sono messo alla prova, sono esattamente l’opposto di quanto
teorizzo qui.
La neve cade e attorno scende il silenzio, come se fosse
ovatta che attutisce i suoni. I colori vivaci cedono al bianco e nero, come in
una vecchia cartolina.
Silvano C.©
( La riproduzione è riservata. Ma non c'è nessun problema se si cita la fonte. Grazie)
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