Giordano partiva da Quartesana ed arrivava sino a Porotto,
in bicicletta, vestito da festa, solo per venire a trovare noi, e magari fare
scambi di fumetti con me. La strada era lunga, ed è lunga ancora oggi, anche se
fatta con altri mezzi, ma a quei tempi la cosa sembrava del tutto normale.
Quello che invece non era del tutto “normale” era lui, e lo si capiva se un po’
si scambiavano alcune parole. Forse aveva la mente di un bambino, o forse
viveva in un suo mondo, ma non era diverso quando si trattava di lavorare, e
lavorare pesante.
Viveva in famiglia col fratello maggiore, che si era sposato
ed aveva pure figli. Ma lui a sposarsi neppure a immaginarlo. E chi lo avrebbe
voluto? Forse ci pensava però, ora non saprei dirlo. È passato molto tempo, e
lui non c’è più da troppi anni.
Aveva un suo posto, era rispettato per quello che sapeva
fare, perché nelle famiglie patriarcali di un tempo tutti trovavano da fare, ed
ognuno, a suo modo, era reso indispensabile dalla mansioni, anche umili, che
svolgeva.
Una sola volta ho tentato di prenderlo in giro, Giordano, ma
è bastato che lui mi afferrasse semplicemente il braccio con la morsa della sua
mano per capire quanto erano duri i suoi muscoli, e quanto dissuasivo potesse
essere con chi si azzardava a dargli fastidio.
Aveva una bicicletta adatta a lui. Robusta, copertoni
grossi, impolverata dal viaggio appena compiuto ma ben tenuta, con un fanale
anteriore ed una dinamo Radius. Non era nera, come la maggioranza delle
biciclette di quegli anni, ma marrone. Arrivava e rimaneva una mezz’oretta,
quasi mai di più. Giusto il tempo di vedere i parenti, di salutare, e poi di
tornare a casa, per cena. E non veniva mai troppo spesso in visita, giusto un
giro in bicicletta una o due volte al mese.
( La riproduzione è riservata. Ma non c'è nessun problema se si cita la fonte. Grazie)
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