martedì 8 luglio 2014

Dialogo tra un casalingo e la sua lavatrice



-         Sarebbe meglio se tu parlassi con le persone invece di farlo con me, in fondo io sono solo la tua lavatrice, che vuoi che ti dica? Al massimo lavo la tua biancheria, o i tuoi abiti. Non so parlare, anche se a volte nella tua pazzia lo pensi. Potrei magari lavarti la coscienza. È quello che vuoi da me? Uscirne di nuovo immacolato e puro, come un bambino ancora ingenuo, senza cattivi pensieri, rimorsi, male fatto agli altri e tutto il servizio completo? –
-         Stai zitta, non ti ho chiesto nulla. –
-         Questo lo so bene, ma non sono stupida. È da quando sono in questa casa che ti osservo e che ascolto quello che dici e fai, anche quando non sei in bagno. Non sono neppure sorda, anche se non parlo, e tu sei solo un vecchio coglione. –
-         Ora offendi pure? E che ti avrei fatto, di grazia, per dirmi queste cose?-
-         A me? Nulla, anzi, mi tratti pure bene, non usi detersivi scadenti, e non mi obblighi quasi mai a lavare a temperature altissime, così faccio pure meno fatica. Il fatto è che lo sai di essere un coglione, mica sono io a dirtelo, te lo dici da solo, esattamente adesso. Tu hai paura del confronto con te stesso, e ancor di più con la realtà degli altri. Sai che fuggire non ti risolve nessun problema, e sei bravissimo a trovare mille motivazioni colte o sagge per negare l’eviden... –
-         Ho capito, vado a vedere la televisione, almeno quella so che parla e lo sa fare meglio di te. –
-         Vai pure, se vuoi che non ti parli più, non hai che da pensarlo. –

Stava così sbrigando piccole faccende, Gualtiero, e intanto non poteva fare a meno di seguire la sua mente intelligente e malata, furbissima e stupida, con qualche oggettivo problema di messa a fuoco o, per dirla come una brava professoressa di lettere, incapace di separare i fatti importanti da quelli secondari.
Da sempre aveva pensato che il modo migliore per risolvere le cose fosse agire, credeva nel potere taumaturgico dell’azione, della stanchezza fisica per combattere altri malesseri più profondi. Il silenzio gli serviva, ne era consapevole, ma oltre un certo livello diventava assordante, e quindi lo fuggiva, cercava altrove discorsi, musica, parole. La radio, purché non troppo idiota, lo aveva aiutato spesso, distraendolo da sé e proiettandolo nel mondo degli scontri e delle idee. E questo mentre magari, da solo, passava col pennello le pareti di una stanza vuota oppure torniva un pezzetto di legno di pero, vera rarità per lui, in modo da ottenerne una piccola e levigata scatoletta.  L’ulivo pure era ricercato, e non gli spiaceva l’effetto finale che otteneva quando ne lucidava la superficie dura e variegata, ma l’odore della segatura dell’ulivo non gli aveva mai trasmesso le emozioni di quella del larice, o anche del più modesto pioppo. 

-         Ma lo vedi che appena stai un attimo da solo inizi a rimestare…-
-         Lo so, ammetto che hai ragione, vado a fare due passi, carissima, magari mi capita di incontrare qualcun altro con cui parlare, senza restare qui con te a perdere tempo. –
-         Ora mi piaci, vai, esci, vedi gente. Poi, però quando torni, mi racconti chi hai visto e cosa hai fatto fuori? –


                                                                                     Silvano C.©


( La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)

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