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Chi si sente minacciato, a torto o a ragione, tende ad avere vari tipi di reazione. Può diventare aggressivo, ed amplificare una potenziale minaccia in una sorta di gioco al massacro, in una guerra aperta, in un estremismo giocato su vari piani, solo razionali e teorici, verbali, volti al proselitismo, o in vere e proprie crociate combattute anche con le armi vere, quelle che uccidono più della penna.
Può tentare di capire e quindi cercare un punto di dialogo,
partendo dalle proprie esperienze e convinzioni, e sperare di trovare una
controparte non aggressiva per partito preso ma disponibile a parlare, per una
crescita comune ed un vantaggio reciproco che consiste in una prospettiva di
convivenza possibile.
Può sfruttare questa sensazione e diffondere i sentimenti
che prova per trarne un’affermazione della correttezza della propria posizione,
convincere chi potenzialmente è dalla propria parte a fare un corpo unico
contro la minaccia, può cioè cercare di cavalcare la tigre per ottenere maggior potere
personale.
Può negare l’evidenza, cercare rifugio nella fantasia, in
teorie di anarchia buona e pacifica, ignorare i segnali di pericolo che
oggettivamente ci sono, schierarsi dalla parte della pace per astrazione, non
come conquista sul campo, cioè per resa.
Può rinchiudersi tra mura, con sistemi di allarme
sofisticati, personale addetto alla propria sicurezza, salvare con la forza il
proprio tenore di vita solitamente molto elevato e rifiutare di capire la paura
di chi, oggettivamente, paga già in prima persona le minacce.
Non vedo alcuna visione comune, ma mille posizioni diverse,
alcune più moderate, altre più ferme e di parte. E, col passare degli anni, il
fronte moderato appare sempre più accerchiato da ogni lato, a volte risulta
maggioranza solo perché l’integralismo di un colore non si allea con quello di
colore diverso (Cioè perché la rabbia schierata non assale compatta il fortino
che resiste).
Una volta, tanti anni fa, scrissi che abbatterei volentieri
ogni chiesa, ogni moschea, ogni sinagoga, ogni
tempio religioso o luogo di preghiera di qualsiasi fede, senza lasciare
in piedi un solo muro, nemmeno un ricordo di quello che era, e cercherei anche
di nasconderne le tracce. La vita di un uomo non vale quella di un monumento
artistico se vi è legata un’ipotesi di “unica via”, di “salvezza”, di “verità”.
Ma ero ingenuo. Non sono solo le fedi religiose a renderci diversi, includendo
tra queste anche le fedi laiche, non meno degne di riconoscimento e
responsabilità.
Sono le nostre diversità etniche, non certamente razziali –
le razze non esistono - ma culturali, a farci tutto questo. La fede religiosa
ne è solo una componente, fondamentale, ma non primaria. L’ordine di grandezza
è il diverso nel suo insieme, è “dentro” chi mantiene vive le proprie
tradizioni nel luogo dove è nato o che le vuole portare con sé dove si ritrova
a vivere.
Anche il divertente campanilismo non è più tanto divertente
se si ritorna con la mente al nostro non lontano passato dell’Italia dei Comuni
e delle guerre tra questi. Se poi ci si sposta in civiltà ancora tribali non è
più possibile leggere come semplice folclorismo il clan, il patronimico, la
sponda del fiume o gli antenati; questo fa la differenza.
In anni non lontani ho assistito alla disgregazione della
Jugoslavia, terra sfortunata, dominata a lungo da un tiranno indiscusso che
aveva tenuto assieme e fatto convivere in pace forzata almeno tre generazioni,
dopo la fine della seconda guerra mondiale. Tito era un non allineato e per
molti anni questo significò apertura tra occidente ed oriente, tra nord e sud.
Ma era pur sempre un tiranno. Dopo la sua morte si ebbe un’illusione di
apertura democratica, ma durò poco. Le differenze mai superate - neppure dai
matrimoni misti, dalla convivenza nello stesso condominio e dall’aver
frequentato le stesse scuole - hanno ripreso il sopravvento. E si sono massacrati tra
amici, tra conoscenti, tra vicini di casa e di paese. Ora la Jugoslavia non
esiste più, e le barriere che con Tito sembravano sparite si sono rialzate.
Persone intelligenti e coraggiose, penso alla Fallaci, si
sono schierate in modo chiaro, e si son fatte strumento più o meno consapevole dello
stesso odio che sembra inarrestabile. Parteggiare in modo esplicito per una
parte che cerca divisione e/o affermazione dei propri principi è sempre
negativo. Quella parte non cercherà mai il compromesso, la mescolanza, il
superamento, la contaminazione salvatrice.
Il fatto che i questi mesi arrivi in Italia apparentemente l’intero
continente africano non facilita il compito a nessuno. Sicuramente tra i tanti
nuovi arrivati ci sono estremisti ed integralisti che mirano a sovvertire il
nostro di vivere imponendo il loro, e questo non porterà a nulla di buono se
lasceremo prevalere quest’ottica centrata solo su sé stessi.
(nell'immagine il presidente Kennedy con il maresciallo Tito - 24 ottobre 1963)
Silvano
C.©
( La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)
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