Sembra uno scherzo, un assurdo, ma la casa
nasce, vive e muore esattamente come le persone. Non è un involucro inanimato pensato
da un architetto, nei casi migliori, ma si adatta a chi la sceglie per viverci,
ne prende gli odori e le abitudini, i vizi, e vive esattamente con chi ci vive.
Diventa allegra quando si arriva in
visita, si adatta se deve accogliere qualcuno in più, accetta ogni cambiamento
le si chieda, ogni rivoluzione.
Porta i segni indelebili di chi ha aggiunto una
parete, sostituito una presa di corrente, aggiunta o tolta la carta da parati,
cambiato un rubinetto. E si adatta alle mancanze, le accetta anche se non le
capisce, esattamente come un essere umano. Se una sua stanza viene lasciata non
lo vuole capire. Finge, sino a quando può, che ogni cosa sia come prima. Sente la
perdita delle persone che l’hanno scelta, voluta, amata e che ci hanno vissuto a
lungo, quasi una vita.
Accetta ogni cosa. Sembra muta ma urla, a modo
suo. Riporta in modo testardo la memoria di chi se ne è andato. Lei lo ricorda.
Lei ha fatto sue le gioie, le speranze, le rabbie e le liti, le discussioni
infinite. Le sue stanze ricordano l’amore che hanno protetto.
Arriva persino a riportare indietro nel tempo,
se la si lascia parlare. Finge di non vedere quando piangi per colpa sua, perché
è esattamente quello che vuole, che tu non scordi nulla, che tu sappia, sempre,
che lei ti ha accolto, che altri stavano con te, che altri hanno vissuto con te
momenti importanti della loro e della tua vita.
Se viene lasciata vuota troppo a lungo diventa
triste e fredda, invecchia prima del suo tempo. Non ama essere abbandonata, da
nessuno.
Se potesse fermerebbe il tempo nel momento da
lei preferito, esattamente quello di una foto scattata prima che mutasse tutto.
Lei poi sa benissimo che a volte si decide di
lasciarla, di andare via, di darla ad altri. Ecco, lo sa, o almeno credo che lo
sappia.
Ma cosa prova in questi momenti? Nostalgia per
chi non c’è più? Rabbia nei confronti di chi l’abbandona? Un senso di
liberazione da una situazione che non sapeva più gestire e che era arrivata
alla sua naturale conclusione?
Non lo saprò mai. Un po’ di me resta tra le
mura anche delle stanze dove non posso più entrare da decine di anni, e dove
altre persone ora vivono la loro vita, con i loro odori e le loro abitudini,
anche coi loro vizi, la loro solitudine ed il loro amore.
Credo di aggirarmi come un fantasma in questi
spazi lasciati indietro nel tempo in certe ore della notte, e solo in quelle
ore ritrovo quegli anni, quelle persone, tutte, come allora.
E mescolo il presente ancora con lo sguardo
rivolto a ieri (ieri è troppo doloroso), con un passato meno recente, meno
doloroso e un po’ più dolce solo perché il tempo ha calato la sua coltre di
neve a nascondere il paesaggio ed a trasformarlo in una cartolina.
Che il tempo venga, nel tempo giusto, a
portar pace e ricordo dolce. Quando sorridevi, in queste stanze, e la tua
presenza era viva, vigile, attenta e piena d’amore.
Che venga quel tempo, ma non prima del
suo giusto tempo, e neppure dopo.
Quando sarà? Non lo so.
Silvano
C.©
(La riproduzione
è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)
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