Oltre alle cose, accumulate in una vita
assieme, ai sogni realizzati per sempre, ai mille e mille ricordi che le
fotografie di momenti felici (che allora, vivendoli, mi sembravano densi di
problemi) inizio a chiedermi cosa resta.
E lo chiedo a te, che te ne sei andata da poco.
Se ricordi il primo a lasciarmi fu mio nonno, al quale ero legatissimo, e fu un
momento triste, ma stavamo assieme già da un tempo sufficiente perché tu mi
facessi capire che non dovevo farmi male a cercarlo nel passato, a scavare
nelle immagini che gli avevo scattato quando era vivo. Io lo feci per poco, a
dire il vero, ed in seguito capii. Poi se ne andò mia nonna, non tanti anni
dopo, e il colpo fu duro, ma lo assorbii meglio, vidi nella sua morte una
liberazione, per lei, da una situazione difficile, insostenibile.
Iniziai ad andare più spesso in Certosa, a
trovarli. Molti anni dopo, in un modo straziante, lento e difficile, fu la
volta di mia madre, amatissima da mio padre, assistita da lui sino alla fine,
accompagnata, nei limiti del possibile, in un’agonia troppo lunga. Allora però
avevo il telefono, ed ogni sera potevo ascoltare mio padre, sentire ancora quel
residuo di famiglia primordiale
Finì anche il tempo di mio padre, ed
improvvisamente il telefono perse un aggancio abitudinario, e anche le mie
visite in quella casa lontana nello spazio e sempre più negli affetti smarrirono
il senso. Quell’esperienza si era conclusa, per sempre. La mia infanzia ormai
finita, portata via dal vento di novembre.
Ora sei tu che mi dici cose in contraddizione
tra loro ed ancora non le so decifrare. Mi porti pensieri la notte, mi fai
calare addosso la tua assenza, ti neghi anche in un sogno, o se vieni io poi la
mattina lo scordo. Il tuo pragmatismo ora mi servirebbe. Non mi hai dato le
istruzioni da seguire, non ne hai avuto il tempo. Hai scelto, forse, di
abbreviare l’attesa della fine perché ormai avevi capito che diventava difficile.
Avevi scelto in modo razionale di non abbattermi con le tue previsioni e,
quindi, di non darmi modo di sapere da te cosa avrei dovuto fare io, dopo. Lo avevi
certamente immaginato e temuto, ma non mi hai lasciato, o io non ho ancora
trovato, nulla per dirmi esattamente cosa. Con tanti anni vissuti assieme, mi
dirai, io dovrei capire lo stesso. Lo so. Forse è quella risposta. Ma non ne
sono sicuro. Forse che io debba decidere da solo? Che sia questo quello che
vuoi?
Quello che resta è talmente tanto che io, ora,
senza senso forse, mi sento povero, stupido, egoista e pauroso, e vivo, certo
che mi sento vivo, e spero di trovare la via che mi stai indicando.
Silvano
C.©
(La
riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte,
grazie)
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