« Alcuni porcospini, in una fredda giornata d'inverno, si strinsero vicini, vicini, per proteggersi, col calore reciproco, dal rimanere assiderati. Ben presto, però, sentirono le spine reciproche; il dolore li costrinse ad allontanarsi di nuovo l'uno dall'altro. Quando poi il bisogno di riscaldarsi li portò nuovamente a stare insieme, si ripeté quell'altro malanno; di modo che venivano sballottati avanti e indietro fra due mali. finché non ebbero trovato una moderata distanza reciproca, che rappresentava per loro la migliore posizione.
Così il bisogno di società, che scaturisce dal vuoto e dalla monotonia della propria interiorità, spinge gli uomini l'uno verso l'altro; le loro molteplici repellenti qualità e i loro difetti insopportabili, però, li respingono di nuovo l'uno lontano dall'altro. La distanza media, che essi riescono finalmente a trovare e grazie alla quale è possibile una coesistenza, si trova nella cortesia e nelle buone maniere.
A colui che non mantiene quella distanza, si dice in
Inghilterra: mantieni la distanza! Con essa il bisogno del calore reciproco è soddisfatto in modo
incompleto, in compenso però non si soffre delle spine altrui. Colui, però, che possiede molto calore
interno preferisce rinunciare alla società, per non dare né ricevere sensazioni
sgradevoli. » (Arthur Schopenhauer)
Io non posso aggiungere nulla alla chiarezza estrema di
questa parabola, ma mi limito a leggerla, a rileggerla, a immaginare quante volte
potrei vederla applicata ogni giorno in interazioni umane e non solo umane.
Gli unici apporti personali che mi sono consentiti sono il
ricordo, l’esperienza, l’osservazione dei fatti come li ho vissuti, e divagare,
dove mi portano questi pensieri.
Inizio quindi da lontano, quando il gelo reale, fisico,
quello che in inverno imprigionava in una lastra impenetrabile i corsi d’acqua
del paese vicino a Ferrara dove vivevo era tangibile. Eppure mi sembrava forse di non avvertirlo perché tornando a casa questa era fredda quasi come fuori, e
non mi permetteva certo di tenere addosso una camicia con le maniche corte come
mi capita adesso. Si scaldava solo la cucina, con un camino o una stufa a
legna, a stich* o a carbone (poco). Era un gelo che mi scaldava, in
qualche modo, lo vedevo come un momento vitale, un periodo lunghissimo ma allo
stesso tempo pieno di momenti unici, come la preparazione del presepe, le
castagne sulla piastra in ghisa della stufa, le nevicate e i giochi con gli
altri approfittando di quella farina fredda e candida. E poi le scivolate, e le
dita che pizzicavano quando si riscaldavano vicino alla fiamma, o le orecchie
prima bianche poi paonazze.
Allora faceva freddo sul serio, pure gli alberi diventavano
di cristallo, con la galaverna, ma io non avvertivo gelo tra le persone, non le
capivo le cose degli adulti. Non era un’età dell’oro, solo io la vedevo con
occhi diversi.
Molto più avanti negli anni mi imbattei nella prossemica, e
ancora non sapevo nulla o quasi di quella branca degli studi affascinante che è
la semiologia. A tutt’oggi ne so poco dal punto di vista teorico ma i temi che
tratta sono miei, da sempre. La vicinanza fisica con le persone o con le cose è
un fattore vitale che differenzia individuo da individuo, specie da specie, e recentemente questo si è ulteriormente ampliato con i rapporti virtuali che la rete ha
generato, creando un mondo per alcuni parallelo e distinto, per altri
assolutamente compenetrato con quello fisico, del parlarsi a 30 centimetri, del
toccarsi, anche se rimangono differenze abissali tra le due modalità.
Il gelo, ovvero la distanza, è destinato a rimanere, credo
per sempre, ma di volta in volta si può fare più forte, quando alcune
condizioni ci fanno allontanare, oppure diminuire. Ed è sempre una meraviglia
scoprire che un piccolo blocchetto di ghiaccio, tenuto in mano, si scioglie,
oppure che la geometria fantastica di un cristallo di neve, simmetrica e multiforme,
se preservata dal calore, può durare tanto tempo. Non so vedere il bene ed il
male in tutto questo, solo la vita e la natura, con le loro forze, che giocano
tra loro, indifferenti alle classificazioni o alle spiegazioni che noi ci
sforziamo di trovare.
* i residui del fusto della canapa dopo la macerazione e l’asportazione
della fibra tessile (ne parlo qui)
Silvano
C.©
( La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)
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