martedì 4 agosto 2015

Girare la testa dall’altra parte




Guardare altrove per non vedere è una tecnica che può funzionare, per un po’. Credo sia pure consigliato, in certi casi, se non altro per rispetto altrui e per non comportarsi da sciacalli o turisti dell’orrore e della tragedia.
Permette anche di respirare, qualche ora, per non sentire su di sé il peso intero del mondo, perché nessuno di noi può pensare di essere Atlante, e neppure Epistrofeo, che, pur meno noto, regge Atlante stesso con tutto il suo fardello.
Il guaio è che pur se non osservati i problemi restano, ed hanno la spiacevole tendenza a complicarsi, non a risolversi in modo autonomo. E se a soluzione arrivano, a volte non è quella che vorremmo, e che avremmo potuto cercare di rendere migliore.

Dunque. Parto dall’origine. Fisso a piacere un momento temporale preciso, ma devo avere l’onestà di ammettere che potrei anticiparlo, quel momento, semplicemente lo fisso per poter iniziare, è un espediente, insomma.

L’origine è una persona che nel paese dove è nata, per vari motivi, non può o non riesce più a vivere: guerra, persecuzione, lotta tribale, fame, instabilità politica, desertificazione, integralismo religioso, problemi di salute, aspirazione legittima a migliorare, e così via. Questa persona, sapendo di rischiare anche la vita, perché lo sa, quasi sempre lo sa, tenta di arrivare alla sponda del mare, o alla barriera lunga decine o centinaia di chilometri, sorvegliata e quasi invalicabile, per poter tentare di passare. Già durante questa prima fase è preda di trafficanti, fazioni in lotta, predoni ed approfittatori che esigono il loro tributo, quando non è già la natura stessa, abbastanza indifferente al nostro dolore, a chiedere di essere pagata.

Arrivata a questo punto, esaurendo forse gli ultimi risparmi, questa persona riesce a salire su un gommone, una barca, una nave, e parte verso le nostre coste, o quelle spagnole o greche (Casi simili, ovviamente sono quelli che vedono la persona sopra descritta viaggiare su percorsi di paesi dell’est, oppure arrivare al confine tra Messico e States, o approdare sulle coste di altri paesi visti come la salvezza, o arrivarci via terra, affrontando viaggi non meno rischiosi).

Adesso la cosa ci tocca più da vicino, diventa interessante per i nostri notiziari. Una barca che galleggia a fatica viene soccorsa da una nave da guerra di un Paese europeo (e questo succede sempre più vicino alla costa africana), per un puro caso durante l’operazione di salvataggio non muore nessuno, e tutti i 450 profughi vengono fatti salire a bordo, ricevono acqua e poche cose, quindi sbarcati in un porto italiano. Ora l’Europa ha esaurito il suo compito umanitario, e questa persona della quale parlavo prima non interessa più alla Comunità europea, deve restare in Italia. Se arrivano via mare anche un milione di profughi, questi devono restare da noi.

Intanto le frontiere si chiudono, tra i singoli Paesi, e in certi casi diventa problematico il normale transito di persone e cose, perché la marea di coloro che chiedono aiuto non si ferma.
Attorno alle stazioni questi disperati aumentano, ed ora che la stagione è calda dormono anche fuori, all’aperto, sul prato dei giardini.
Camminare per strada in una grande citta, o anche in un paese di non grandi dimensioni, ora fa capire quanti ne sono arrivati. Si può aiutarne uno, due, tre, con un po’ di soldi o un po’ di cose, e poi ci si ferma. Si può scegliere di voltare la testa da altre parti o di continuare a guardare, ma la situazione non cambia. Si può diventare xenofobi, ascoltare chi incita al razzismo, oppure resistere e non voler diventare una bestia, ma poi si rischia il “buonismo”, neologismo orrendo che dice solo parte della verità.

Qualche italiano ha subito furti, e malgrado questo si rifiuta di votare lega per cacciare gli stranieri che cercano salvezza. Qualcun altro trova più comodo pensare che le soluzioni siano diverse: bombardare le barche, lasciarli annegare, rimandarli indietro, aiutarli a casa loro (come se avessero ancora una casa e fingendo che il loro Paese li accoglierebbe, avendone la possibilità, o come se esistesse ancora, quel Paese).

Ed ora, se non si gira la testa altrove, è evidente che qualcuno dorme di notte in una pineta, in un’auto abbandonata, e chi è più fortunato trova rifugio nella cabina del furgone col quale, di giorno, vende in nero povere cose per conto di organizzazioni criminali. E tenta magari di risparmiare, perché tutti abbiamo bisogno di soldi.

Quella persona sbarcata in Italia da una nave forse norvegese ora non so dove possa essere. Pare che in Norvegia non sia la benvenuta. Non è la benvenuta neppure in Italia, a dire il vero, perché è vista come una minaccia per noi stessi, che già abbiamo i nostri problemi, e non sono pochi, come è noto. E poi perché aiutare chi viene da fuori invece di aiutare prima gli italiani? Già, perché? Forse perché chi in Italia ora ha problemi anche di sopravvivenza li ha per colpa di altri italiani, magari, gli stessi che evadono le tasse, delocalizzano le attività produttive, portano all’estero i loro guadagni, facilitano gli sprechi e la corruzione nella Pubblica Amministrazione, trovano interesse nell’accusare altri di guai che dipendono da loro stessi?

Io non so come risolvere questa situazione. Servirebbe forse mandare il nostro esercito, sotto le insegne ONU, assieme a quello di altri Paesi ovviamente, a “pacificare” alcune regioni. Sarebbe utile una vera Unione Europea, con una visione sicuramente più solidale, ma innanzitutto con una vera politica estera comune. 
Dovremmo ricordare che pure noi fummo migranti, e contribuimmo al benessere economico dei Paesi che ci ospitarono, all’inizio ben poco volentieri, e regalammo loro, in cambio dell’ospitalità, la nostra malavita organizzata, modello unico ed oggetto di innumerevoli imitazioni, molte più di quelle della Settimana Enigmistica.

                                                                                                         Silvano C.©   


(La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)

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