Questo
è il primo di una serie post, con molte immagini che riguardano il primo
conflitto mondiale, la grande guerra, la grande illusione, il grande macello di
milioni di uomini mandati a morire a volte in mille perché uno solo sopravvivesse
ai colpi delle mitragliatrici e potesse così conquistare quei pochi metri di terreno,
che sarebbero stati persi con la successiva reazione dell’avversario.
Nessuna
scena di guerra però, tra quelle che ho raccolto da materiale di pubblico
dominio esposto a Rovereto e a Folgaria, solo scene di vita familiare
distrutta, di sofferenze incredibili, di evacuazione di territori vicino al
fronte, di diaspora dei trentini, divisi tra Impero Asburgico e Regno d'Italia.
Non
commenterò nessuna immagine, le ho però suddivise, con una minima introduzione
in ogni caso, in questo e nei post successivi, che sono raggiungibili con i
link interni, alla base di queste parole.
Credo
sia utile, oggi, riflettere sul significato di quegli anni, non solo perché ne
celebriamo il centenario, ma anche per alcune inquietanti analogie con i tempi
che viviamo oggi. A chi vedrà lascio giudicare quanto vi sia di vero in questo.
Una
brevissima, carente e personale introduzione però devo scriverla.
Il
Trentino, quando scoppiò il conflitto, veniva da circa 100 anni di dominio
austriaco, inflessibile ed illuminato, molto simile a quello dell’impero romano,
che occupava militarmente i territori, ma poi lasciava libertà di fede
religiosa, di usi e costumi locali, pure un certa indipendenza economica.
Concedeva
la cittadinanza romana ma pretendeva obbedienza e sottomissione, oltre a
tributi anche in termini di soldati. Lo stesso gli austriaci con gli italiani. Sottomissione
assoluta, ma libertà personale, organizzazione statale efficiente, prime leggi
in difesa dei lavoratori, lavoro più che in altri territori in quel momento
italiani, scuola per i bambini e galera per i genitori che mandavano al lavoro
i bambini troppo giovani, un catasto ancora oggi modello per quello italiano e
altro ancora.
Eppure
molti italiani nati in Trentino questo non lo accettavano, si sentivano
giustamente italiani, ed allo scoppio del conflitto, o anche prima, in molti
casi, scelsero l’Italia, non l’Austria. Erano gli irredentisti. Eroi per l’Italia,
traditori per l’Austria.
Le
ragioni in realtà non mancavano, da entrambe le parti, ed il Trentino si trovò
diviso, dal fronte, in una guerra che non avrebbe sistemato i nostri confini,
come si era sperato. Oggi, se si passa su un passo alpino e si vede il cippo
che indicava l’antico confine di Stato, ci si chiede perché siano dovuti morire
in tanti, per difenderlo, da entrambe le parti, visto che poi abbiamo deciso di
aprirlo, quel confine.
E
poi penso a tre personalità Ferraresi, diversissime, che vissero quegli anni o
quelli immediatamente successivi, alle loro esperienze, alle loro scelte, molto
controverse ancora oggi, a parte sicuramente l’ultimo dei tre.
Il
primo fu Italo Balbo, il violento squadrista ma intelligente opportunista che seppe
circondarsi di persone fidate e capaci, che dominò la Ferrara del ventennio,
che riescì a fare ombra persino al Duce, che non fu mai interessato alle leggi
razziali e che riuscì a trasformare, in parte, in movimento culturale e di
rinascita cittadina il fascismo che aveva determinato la morte di Don Minzoni e
tanti lutti tra gli oppositori. In più, Balbo, che ebbe la fortuna di morire da
eroe, fu un aviatore che seppe entusiasmare il popolo, accolto sia dagli Stati
Uniti che dall’Unione Sovietica con tutti gli onori, prima dello scoppio della seconda
guerra mondiale.
Il
secondo fu Renzo Ravenna, podestà fascista di Ferrara, amico d’infanzia di Balbo,
irredentista prima che fascista, uomo che fece la scelta di campo sbagliata,
come molta borghesia ebraica e non solo di quel periodo, ma onesto sino ad
essere definito fesso dallo stesso Balbo, pronto a dare tutto per la città che
amava e per la quale non seppe vedere il lato oscuro del fascismo, del quale
finì per essere vittima lui stesso, perseguitato e costretto a riparare in
Svizzera, nel 1943.
Il
terzo fu Giorgio Bassani, nato senza aver vissuto gli anni del primo conflitto e
senza essere immerso in quegli anni di entusiasmo nazionalista, senza aver
combattuto la prima guerra mondiale. Non per questo fu però meno impegnato, lui
sì dalla parte giusta, ma con un'età ed un'esperienza diverse. Fu antifascista e per questo fu messo in carcere. Sicuramente
fu più onesto di Balbo, e certamente più critico ed intelligente di Ravenna, ma non
so se amò più lui Ferrara del podestà fascista. Lo scrittore non mancò alcuna occasione per esprimere giudizi senza pietà sull'uomo ebreo come lui ma fascista, e non lo perdonò mai. Bassani poi seppe dimostrare il suo amore per la città con la sua opera, rendendo immortali i suoi personaggi e descrivendo Ferrara in modo da affascinare un numero enorme di suoi lettori.
Perché
questo richiamo a tre ferraresi? Perché il fascismo usò, per la sua propaganda,
gli eroi irredentisti, trasformandoli in fascisti e perchè divide ancora oggi nel giudizio storico. Alcuni irredentisti però erano morti, è non è
detto che sarebbero stati fascisti. Altri sopravvissero, e non tutti
abbracciarono la fede del nuovo impero italiano. Ad esempio Renzo Ravenna
invitò a Ferrara Cesare Battisti, nel 1914, e questo fa capire quanto quelle
persone, in quegli anni, prima e dopo la prima guerra mondiale, fossero
coinvolte nella nostra storia, e come sia difficile oggi dare giudizi su allora.
In
questo primo post inserisco solo poche immagini, relative al monumento agli
alpini, a Rovereto, ed all’obice Skoda posizionato davanti al Municipio, sempre
di Rovereto, a due passi dal Museo della Guerra.
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Silvano
C.©
(La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)
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