Vedo
passare, se socchiudo un po’ il vetro antico, tanta gente. Alcuni li conosco,
cioè li conoscevo, prima. Altri sono divenuti familiari ed ho imparato a prevedere
quasi ogni loro movimento. Come siamo, come siete prevedibili.
Astenio
non è astemio, ma pensa di passare inosservato nel suo abbondare con le dosi, e
non è così. Quando esce dal bar i commenti degli amici diventano offensivi, e
se li potesse sentire forse non li penserebbe tanto amici.
Anna
si guarda riflessa nella vetrina della farmacia, lo fa immancabilmente ogni
volta che ci passa davanti, da sola. Si ammira di profilo, e controlla come le sporge
il culo, quando è vestita leggera come in questi giorni. È una sua debolezza, e
lo è anche di tanti altri. Direi me compreso, se potessi.
Arturo
è sempre più depresso, quando passa con la casacca gialla di Poste Italiane. Si
sente un residuato bellico, non ricorda quando ha consegnato per l’ultima volta
una cartolina illustrata da Ibiza, da Cesenatico o Vidiciatico. E la rabbia gli sale quando vede il corriere
Tnt.
Da
alcuni mesi all’angolo della strada, quasi al limite di dove posso arrivare a vedere,
staziona, dalle otto a mezzogiorno, una donna che non parla mai, della quale
non so il nome, vestita con abiti informi, giovane, forse, o forse no. Ha solo
un cartello scritto in stampatello sgrammaticato: aiuta me senza lavore è senza
casa.
Non
faccio in tempo a vedere chi passa in auto, sono troppi e vanno troppo veloci. In
bicicletta però ne riconosco tanti. Marisa l’estetista, ad esempio. O Marcello,
con Stefano, che vanno a studiare in biblioteca. E anche una bella vigilessa,
pure lei in bicicletta, ma ancora non ho capito come si chiama.
Non vedo più Omar, che lavorava in un negozio di scarpe. Ora quella
vetrina è chiusa, la saracinesca abbassata, e ci sono fogli di giornale
attaccati con il nastro adesivo sui vetri interni. Tra la saracinesca e la
porta a vetri si sono accumulati rifiuti di ogni genere.
La
padrona l’ho vista poche volte, era Omar che faceva tutto, in negozio. Non è
bastato.
Mi
si allarga il cuore quando vedo passare quei due, quelli mi fanno di nuovo
sperare, e rimpiangere quello che non ho più. Ma è un rimpianto grato, non
invidia, perché sono felice per loro, e li vampirizzo quanto posso. Lei è di
origini italiane, di ottima famiglia, suo padre è un primario ospedaliero. Lui un
immigrato ancora senza cittadinanza, in Italia da quando aveva meno di un anno.
Si sono conosciuti a scuola, un paio di anni fa, ed ora superano di poco i
trenta in due. Si chiamano Manuela e Tarik.
Io
vedo passare tanta gente, e la vedo da una finestra in alto. Nessuno mai alza
lo sguardo verso di me, e se lo facesse non vedrebbe nulla, forse solo un’ombra,
e mi scambierebbe per un riflesso di luce sui vetri, che, ho mentito prima, non
si possono aprire.
Silvano C.©
(La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)
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