lunedì 3 agosto 2015

La stanza che non c'è




Ho un amico immaginario, che chiamerò Simone. È alquanto sfuggente, cioè non viene spesso a farmi visita, e quando capita mi racconta, a modo suo, cose sempre nuove ma per certi aspetti molto familiari.

Raramente mi parla di casa sua, che ovviamente non ho mai visto, ma l’ultima volta che è venuto era palpabile la spinta a narrarmi di questa, e di una scoperta recente che non sapeva spiegarsi.

Come al solito l’ha presa molto alla lontana, ed ho dovuto pazientare prima di capire cosa aveva veramente in testa.
Se lo avessi interrotto con domande su quelli che lui solitamente usa come argomenti di apertura avrei irrimediabilmente deviato il corso dei suoi pensieri, lui forse avrebbe perso la motivazione per continuare, magari si sarebbe spazientito ed io non avrei saputo nulla mentre lui non sarebbe arrivato alla vera questione. Calma, ed attesa, ma grande attenzione per cogliere il momento di passaggio, quello dell’inizio del vero racconto. Sarebbe stato imperdonabile, ai suoi occhi, una mia caduta di interesse da quel punto in avanti. In alcune pause studiate, o forse del tutto naturali per lui, io devo dar segno di capire, oppure di chiedere spiegazioni, in caso contrario.
Devo dar prova di seguirlo, insomma, per meritare che continui a raccontarmi.

Sua moglie sembra che recentemente abbia smarrito un paio di scarpe da trekking, comprate ad una svendita la scorsa primavera, messe da parte in un posto solito, ma poi sparite nel nulla. La cosa è risultata ancor più fastidiosa perché, avendo bisogno di quelle scarpe, e non avendone altre dello stesso tipo a disposizione, ha dovuto comprarne un paio nuovo, e stavolta non scontate.

Suo figlio raccoglie e conserva i regali che gli amici gli fanno, ma non è molto ordinato, e tiene la sua stanza in uno stato discutibile. Alcuni giorni fa cercava un gioco da tavolo, una scatola che lui ricorda bene, anche perché era rimasto incuriosito quando l’aveva vista la prima volta; gli ricordava un po’ il Monopoli ed un po’ il Risiko. Bene. Sparita nel nulla. Aveva dato una mano per cercarla, pure con una scala per guardare nei punti più in alto. Fatica inutile.

Simone in persona poi si era messo in testa di provare a far foto con il cavalletto e l’autoscatto, in modo da annullare gli effetti del movimento della mano sulla fotocamera, e ovviamente era andato nel sottotetto dove conserva da anni la sua vecchia reflex ormai in disarmo, dopo l’avvento del digitale. Accanto alla reflex tutti gli obiettivi, il cavetto flessibile, i filtri e l’oggetto della ricerca: il cavalletto. O meglio, l’idea del cavalletto. Quello, che il mio amico è certissimo dovesse stare in quel posto, lì non c’era. Altri tentativi di trovarlo si erano dimostrati del tutto infruttuosi.

Io mi sono dimostrato correttamente partecipe per queste vicissitudini, cercando di capire meglio i particolari, ma mi sono reso conto che quanto sino a quel momento narrato era solo la premessa.
Infatti lui ha continuato dicendomi che aveva trovato poi ogni cosa, ma senza la corrispondente aria soddisfatta che avrebbe dovuto avere in quel caso.

Gli ho chiesto spiegazioni precise stavolta, perché non capivo più il senso di tutto quanto stava dicendomi. Ed allora finalmente è stato chiaro.

Lui aveva trovato ogni cosa esattamente la notte prima. Si era alzato dal letto con un’intuizione che doveva verificare subito, e si era mosso con sicurezza nel corridoio senza accendere i faretti perché la debole luce che filtrava da fuori grazie all’illuminazione di città era sufficiente a farlo muovere senza difficoltà. All’angolo aveva aperto la porta, era entrato, stavolta aveva pigiato sull’interruttore e aveva visto subito la scatola azzurra del gioco che cercava il figlio, le scarpe nuove, ancora nella scatola, della moglie, il suo cavalletto appoggiato sul pavimento con i suoi tre solidi piedi. Ed aveva visto anche un album di fotografie, un frullatore ad immersione, un libro di Henri Laborit, un cordless, una scatola di minutaglie da ferramenta e tanto altro. Soddisfatto aveva spento la luce e chiuso la porta, poi era tornato a letto.

Il mattino dopo, appena alzato, non aveva più trovato quella stanza. Io l’ho guardato stupito e non ho fatto domande. Non servivano.


                                                                                                         Silvano C.©   


(La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)

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