giovedì 27 agosto 2015

Dalla finestra




Vedo passare, se socchiudo un po’ il vetro antico, tanta gente. Alcuni li conosco, cioè li conoscevo, prima. Altri sono divenuti familiari ed ho imparato a prevedere quasi ogni loro movimento. Come siamo, come siete prevedibili.

Astenio non è astemio, ma pensa di passare inosservato nel suo abbondare con le dosi, e non è così. Quando esce dal bar i commenti degli amici diventano offensivi, e se li potesse sentire forse non li penserebbe tanto amici. 

Anna si guarda riflessa nella vetrina della farmacia, lo fa immancabilmente ogni volta che ci passa davanti, da sola. Si ammira di profilo, e controlla come le sporge il culo, quando è vestita leggera come in questi giorni. È una sua debolezza, e lo è anche di tanti altri. Direi me compreso, se potessi.

Arturo è sempre più depresso, quando passa con la casacca gialla di Poste Italiane. Si sente un residuato bellico, non ricorda quando ha consegnato per l’ultima volta una cartolina illustrata da Ibiza, da Cesenatico o Vidiciatico.  E la rabbia gli sale quando vede il corriere Tnt. 

Da alcuni mesi all’angolo della strada, quasi al limite di dove posso arrivare a vedere, staziona, dalle otto a mezzogiorno, una donna che non parla mai, della quale non so il nome, vestita con abiti informi, giovane, forse, o forse no. Ha solo un cartello scritto in stampatello sgrammaticato: aiuta me senza lavore è senza casa.

Non faccio in tempo a vedere chi passa in auto, sono troppi e vanno troppo veloci. In bicicletta però ne riconosco tanti. Marisa l’estetista, ad esempio. O Marcello, con Stefano, che vanno a studiare in biblioteca. E anche una bella vigilessa, pure lei in bicicletta, ma ancora non ho capito come si chiama. 

Non vedo più Omar, che lavorava in un negozio di scarpe. Ora quella vetrina è chiusa, la saracinesca abbassata, e ci sono fogli di giornale attaccati con il nastro adesivo sui vetri interni. Tra la saracinesca e la porta a vetri si sono accumulati rifiuti di ogni genere.
La padrona l’ho vista poche volte, era Omar che faceva tutto, in negozio. Non è bastato.

Mi si allarga il cuore quando vedo passare quei due, quelli mi fanno di nuovo sperare, e rimpiangere quello che non ho più. Ma è un rimpianto grato, non invidia, perché sono felice per loro, e li vampirizzo quanto posso. Lei è di origini italiane, di ottima famiglia, suo padre è un primario ospedaliero. Lui un immigrato ancora senza cittadinanza, in Italia da quando aveva meno di un anno. Si sono conosciuti a scuola, un paio di anni fa, ed ora superano di poco i trenta in due. Si chiamano Manuela e Tarik.

Io vedo passare tanta gente, e la vedo da una finestra in alto. Nessuno mai alza lo sguardo verso di me, e se lo facesse non vedrebbe nulla, forse solo un’ombra, e mi scambierebbe per un riflesso di luce sui vetri, che, ho mentito prima, non si possono aprire.


                                                                                                        Silvano C.©   


(La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)

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