lunedì 30 giugno 2014

Io non gioco, devo solo comprare una cosa


Esce non prestissimo, ma l’aria è fresca malgrado l’estate astronomica, e non minaccia neppure pioggia, cosa rara in queste strane ore di passaggio epocale. Esce e parte di buon passo, perché così poi può dire di aver fatto movimento, ed al primo incrocio vede un ex collega, più anziano di lui, che non ha mai visto nei paraggi.
Strano, pensa, lui abita al capo opposto della città, che ci fa in questa zona?
- Ciao, Augusto, cosa fai qui?  A momenti non ti riconoscevo. -
- Nulla, faccio due passi, vado in tabaccheria. -
- Vai in quella tabaccheria? Io la evito anche se è la più vicina per me, non mi piace, si approfittano della povera gente, hanno un mucchio di slot e ci fanno i soldi. Il proprietario gira con un SUV che è più grosso di quel pullman che passa ora. Non li sopporto. -
- Ma io quando ci vado non vedo quasi nessuno a giocare. -
Ma allora ci vai spesso, che ci vai a fare tanto lontano da casa tua?  
- Credimi, è una bisca, con le slot, i gratta e vinci e accettano giocate di ogni genere, con diversi televisori sempre accesi su certi siti sportivi dedicati alle scommesse ... -
- Ma io non gioco, devo solo comprare una cosa, ciao eh, ci vediamo…-
- Ciao, Augusto. -
E ricorda che, tanti anni prima quando ci lavorava assieme, ogni tanto quello gli proponeva di giocare entrando in qualche sistema con una piccola quota, e che lui rispondeva prendendolo in giro e ringranziandolo di pagare così al suo posto un po’ di tasse.
Non me l’hai raccontata giusta, Augusto. Tu paghi ancora un po’ di tasse al posto mio, ma ora, più di allora, paghi maggiormente i gestori senza scrupoli di locali come quello che non si accontentano di un piccolo guadagno e, ancor peggio, paghi chi ha il permesso dal nostro Stato schizofrenico di operare sul territorio nazionale con giochi e scommesse e di restituire solo le briciole all’Italia, che ne risulta ulteriormente impoverita.

                                                                                                     Silvano C.©


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domenica 29 giugno 2014

#Brustlina 22


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quello che è...
La moda imperante 
del parlare elegante           
esibita da chi alberghiera frequenta
prevede l’allungo del brodo verbale
con "quello che è" sparato gioviale.
Ma, penso io, certamente sbagliando,
che bisogno c’è di "quello ch'è" il pollo
se il pollo sei tu, di pollo satollo?
                                                                    Silvano C.©
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sabato 28 giugno 2014

Lotte (Iselotte)

Il suo nome è Iselotte, ma tutti la chiamano Lotte, sin da quando era piccola.
Capelli biondo chiaro, occhi azzurri, carnagione pallida, pelle delicata, 19 anni da pochi giorni e un lavoro da poche ore. Studi abbandonati, forse dopo aver capito che in realtà a  Rosenheim le possibilità di impiego ci sono, ma solo se ci si accontenta di lavori non troppo specializzati, e quindi ora è commessa, ovviamente in prova, in un minimarket alimentare e di generi diversi in pieno centro, a dieci minuti di bicicletta dalla casa di famiglia.
Non intende andare via dalla cittadina natale dove vede abbastanza frequentemente quattro amiche con le quali si trova bene. Loro però non hanno capito la sua scelta, hanno tentato di dissuaderla, le hanno ripetuto che suo padre non ha bisogno di tutti i soldi che possiede, e che può benissimo mantenerla all’università a Monaco e farla laureare in economia, perché lei è portata per quel tipo di studi.
La ragazza però non sembra sentirle quando le fanno quel discorso, e neppure spiega che il motivo che la trattiene è stare vicino al padre vedovo; non sarebbe vero, o sarebbe vero solo in parte. Del resto Lotte ha un carattere un po’ strano, chiuso, e sembra pochissimo interessata ai ragazzi che ruotano attorno al loro gruppo, quando sono assieme.

Lotte dopo un paio di mesi, quando inizia la stagione estiva ed il negozio comincia ad essere frequentato anche da turisti, viene assunta in modo stabile. La coppia di proprietari l’ha presa in simpatia ed è soddisfatta della sua meticolosità nel lavoro e di come sa trattare i clienti. Le amiche vanno in vacanza, chi con il ragazzo e chi con la famiglia, e lei rimane senza i contatti frequenti ai quali era abituata, ma non sembra cercare alcuna alternativa, e sta bene da sola.
La mattina presto arriva al minimarket, sistema la merce prima dell’apertura, controlla il magazzino, e poi rimane sino alla pausa pranzo al servizio dei clienti, oppure in cassa. Per mangiare torna sempre a casa, dove è lei che cucina per il padre, e solitamente lo fa la sera, così a mezzogiorno deve solo scaldare in fretta, mangiare con lui, rassettare e poi tornare al lavoro. La sera invece porta qualche cosa dal negozio, solitamente verdura e formaggi o salumi, quindi la preparazione è più veloce.

Sono una famiglia felice, malgrado la perdita della moglie. Il padre ha da poco compiuto cinquantacinque anni e lavora nel suo studio di architetto, nella villetta in periferia, e riceve poca gente, quasi solo i clienti. E la figlia non vuole domestici, vuole essere lei a curare la casa ed a seguire il padre. È una donna, ormai, e sa come organizzarsi.

Tutto sembra perfetto quando, una notte, il padre andando in bagno inciampa e cade, fratturandosi un polso, quello della mano destra, indispensabile nel suo lavoro. La corsa al pronto soccorso della Heckscher-Klinik risolve tutto in poche ore con una radiografia e poi un’ingessatura che dovrà tenere per circa 25 giorni.
Ora Lotte ottiene una piccola riduzione di orario sul lavoro, per stare più vicina al padre, ma la cosa sarà temporanea, quindi non ci sono difficoltà.
Pochi mesi dopo, quando l’incidente è ormai dimenticato, il padre, mentre rientra in casa dal giardino perché in autunno il freddo si fa sentire e rimanere fuori non è più piacevole come poco tempo prima, perde l’equilibrio e batte la testa contro lo stipite della porta-finestra. È solo in casa, ma il colpo non è forte, e quindi semplicemente si siede sul divano e aspetta che la testa smetta di girargli per poi andare in cucina e cercare del ghiaccio da mettere sulla fronte dove sente un inizio di bernoccolo crescere. Spesso gli capita di perdere l’equilibrio, negli ultimi tempi, e deve decidersi a farsi vedere da uno specialista. Quando la figlia torna a casa lui racconta la cosa ma non drammatizza, e tutto finisce con l’invito di lei a stare più attento.

La prima neve arriva presto, alla fine di novembre, e intanto il padre di Lotte si sente sempre peggio, ha quasi smesso di lavorare, ha fatto un controllo in clinica ma non hanno trovato nulla di particolare, quindi rimane spesso a guardare la televisione, e ad aspettare che la figlia torni dal lavoro per mangiare o scambiare due parole con lei.
La ragazza intanto ha quasi abbandonato le amiche, e praticamente vive frequentando solo la casa e il negozio. Raramente, e sempre da sola, va a vedere qualche film al Citydome, e poi torna a casa presto.

Verso la fine dell’inverno il padre peggiora visibilmente e velocemente, non è quasi più capace di muoversi da solo e viene ricoverato in clinica per controlli più approfonditi. La figlia lo accompagna, gli sta vicina quanto può, e gli dedica tutto il suo tempo libero.
Dopo circa un mese di ricovero, mentre la primavera sembra voler arrivare ma è ancora incerta, Lotte viene convocata dal direttore della clinica. Lei si presenta nel suo studio all’orario indicato nel bigliettino avuto da un’infermiera. A riceverla non è solo il medico, ma una donna magra, alta, viso affilato e duro, che si qualifica come ispettrice della polizia.
Dopo un breve colloquio la ragazza viene presa in custodia da due agenti e portata nel carcere di Stadelheim, a Monaco.

Una criminologa scrive, nella cartella di Iselotte Schull, che le donne solitamente non torturano le vittime prima di ucciderle e non provano piacere ad assistere alle loro sofferenze. Nel caso specifico tuttavia il lento avvelenamento della vittima (il padre), morta dopo una lunga agonia, può essere sicuramente considerato una forma di tortura.
L’odio profondo dell’assassina, tanto a lungo dissimulato, tale da farle progettare e poi mettere in pratica il suo lento omicidio, è dovuto al bisogno di vendetta causato dalle violenze sessuali subite dalla ragazza ad opera del padre durante la sua infanzia e, unitamente a questo e forse ancor prima di questo, alla perdita della madre suicidatasi con barbiturici una volta capito cosa stava facendo il marito alla figlia. La ragazza ha fatto uso per la sua azione criminale di prodotti a base di veleno ai quali ha avuto libero accesso durante i suoi mesi di lavoro nel minimarket.

(I fatti sono di pura fantasia, solo le fotografie si riferiscono veramente a Rosenheim e sono mie. L'ultima è la fontana con le età della donna)
                                                                                                 Silvano C.©


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venerdì 27 giugno 2014

Lotte







«Non fuggo piú davanti a te,  figlio di Peleo, come or ora

corsi tre volte intorno alla grande rocca di Priamo, e non seppi

sostenere il tuo assalto; adesso il cuore mi spinge

a starti a fronte, debba io vincere o essere vinto.

Su invochiamo gli dei: essi i migliori testimoni saranno e custodi dei patti;

io non intendo sconciarti orrendamente, se Zeus

mi darà forza e riesco a strapparti la vita;

ma quando, o Achille, t’abbia spogliato l’inclite armi, 
 
renderò il corpo agli Achei: e anche tu fa’ così».



E guardandolo bieco, Achille piede veloce disse:

«Ettore, non mi parlare,  maledetto, di patti:

come non v’è fida alleanza fra uomo e leone,

e lupo e agnello non han mai cuori concordi,

ma s’odiano senza riposo uno con l’altro,

così mai potrà darsi che ci amiamo io e te; fra di noi

non saran patti, se prima uno, caduto,

non sazierà col sangue Ares,  il guerriero indomabile.

Ogni bravura ricorda; ora sì che tu devi esser perfetto con l’asta e audace a lottare!

Tu non hai via di scampo, ma Pallade Atena

t’uccide con la mia lancia: pagherai tutte insieme

le sofferenze dei miei, che uccidesti infuriando con l’asta». 

(Inizio del duello tra Ettore ed Achille, dall’Iliade, di Omero)

Anna, Luca, Maria, Paolo, Giovanna, Elena, Giorgio, Primo e tutti i loro parenti si scontrano con le richieste sempre più onerose della RSA che, anno dopo anno, rivede al rialzo le sue rette per assistere gli ospiti.  Così si ipoteca anche il futuro dei loro figli e nipoti senza avere alternative, perché, se potessero, preferirebbero rimanere nelle loro case, assistiti in modo diverso. Del resto il bilancio della struttura non può essere in passivo, chi dovrebbe pagare per gli anziani ricoverati se non loro stessi ed i loro familiari?

Anna, Luca, Maria, Paolo, Giovanna, Elena, Giorgio e Primo lavorano in una cooperativa che cura le pulizie della RSA, ed hanno già dovuto accettare una riduzione di orario nei mesi scorsi, con conseguente riduzione di stipendio. Ora l’appalto è stato vinto da un’altra cooperative, che è disposta a mantenerli al lavoro, nelle stesse mansioni, ma con un orario ancora più ridotto ed uno stipendio ormai ai limiti della sopravvivenza.

Anna, Luca, Maria, Paolo, Giovanna, Elena, Giorgio e Primo lottano in modo feroce e subdolo contro lo Stato ladrone, non in campo aperto, ovviamente, ma nell’ombra, in nero, e non sono disponibili a cedere il loro giusto guadagno, conquistato col loro lavoro ed il loro rischio, facendosi tassare in modo assurdo per non avere in cambio i servizi che uno Stato moderno dovrebbe fornire ai suoi cittadini.

Anna, Luca, Maria, Paolo, Giovanna, Elena, Giorgio e Primo appartengono ad un gruppo sempre più ridotto di servitori dello stato, deciso a trovare gli evasori, quelli che esportano i capitali, che non fatturano, che hanno rapporti con la malavita. Cercano di fare in modo che pure questi paghino per le scuole pubbliche, la sanità, le forze dell’ordine e la giustizia, per i vigili del fuoco e per l’assistenza agli anziani ed a chi ne ha bisogno.

Anna, Luca, Maria, Paolo, Giovanna, Elena, Giorgio e Primo combattono contro una pioggia torrenziale che ha sommerso il magazzino del loro negozio procurando danni enormi, contro la grandine che ha distrutto in pochi minuti il lavoro di un anno intero, contro l’acqua che ha isolato il loro paese, contro il fulmine che ha incendiato il loro fienile e contro il fango che ha invaso la loro casa.

Rovereto, in questi giorni, è stato colpito da pioggia e grandine in quantità tali da creare danni a troppe persone. E sempre in questi giorni a Rovereto i lavoratori addetti alle pulizie di due case di riposo protestano contro la cooperativa vincitrice dell’appalto che intende ridurre le ore pagate per il loro servizio.

                                                                                     Silvano C.©


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giovedì 26 giugno 2014

Disco RM


Non è la prima volta, è in qualche modo preparato. Dire che è eccitato sarebbe troppo ma è un’esperienza abbastanza esclusiva, quindi vuole sfruttarne ogni attimo, visto che non sa se avrà ancora altre occasioni per viverla.
All’ingresso l’elegante cassiera gli fa pagare il biglietto, non esattamente popolare, ma cosa sono i soldi di fronte a questa opportunità?

Quando finalmente viene il suo turno il gran cerimoniere lo fa entrare e gli ripete poche istruzioni, prima del viaggio.
E poi, finalmente, è dentro, dove i Queen iniziano subito col tema di Flash Gordon seguiti da altri, della musica House, e fa fatica a non battere il tempo, a non muoversi, a non seguire il ritmo, ma si lascia trasportare, ad occhi chiusi, in un mondo di suoni e di vibrazioni, dimenticando il fuori, sentendo il peso del suo corpo sparire, immerso in un trip estraniante.
 
Poi, dopo un tempo indefinito, tutto finisce, è riportato al suo presente. Freddie Mercury si è allontanato nelle profondità del passato con la principessa Aura e lui si ritrova nella parte sotterranea della clinica dove è appena stato sottoposto alla risonanza magnetica.


                                                                                     Silvano C.©


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mercoledì 25 giugno 2014

#Quattrocentouno


(prima di leggere qui, se non lo hai già fatto, guarda come è iniziato tutto, qualche mese fa)

Quattrocentouno, in un modo che voglio raccontare a modo mio, riuscì a portare nuovo scompiglio nel piccolo popolo che si era stabilito a Rovereto e dopo la pace che questo aveva faticosamente raggiunta in seguito alla scoperta dei libri e ad un modo abbastanza efficiente per rifornirsi in modo regolare di sempre nuovi volumi.
Qui occorre fare una digressione e spiegare che Quattrocentouno era giovanissimo, fratello minore di Seicentoquattro e di Settecentoquarantrè.
Il primo, adolescente pieno di energie e di desideri di ogni genere, dotato di una notevole intelligenza ed attratto da tutte le ragazze che gli si avvicinavano per un qualsiasi motivo. Riscuoteva un notevole successo e, praticamente una dopo l’altra, in molte cadevano nella sua rete, mentre lui, da bravo pescatore, era paziente e sapeva come attirare la preda che di volta in volta individuava. La sua abilità, invidiata da tutti i coetanei e non solo da loro, consisteva nel saper condurre il gioco in modo da sembrare essere lui ogni volta preda della ragazza di turno. Ovviamente per Quattrocentouno era un modello da imitare, il suo idolo casalingo.
Settecentoquarantrè invece era la sorella maggiore di entrambi, con la testa sulle spalle ed un lavoro alle dipendenze dirette di Uno in qualità di sua segretaria. Uno, ulteriore parentesi nella digressione, sapeva scegliersi senza sbagliare mai i suoi collaboratori, e, malgrado fosse convinto di essere ormai un rudere tenuto al suo posto esclusivamente perché nessun altro era disponibile a darsi da fare per la comunità, godeva di un meritato prestigio e raramente prendeva decisioni avventate. In caso di dubbi cercava sempre i consigli di Novanta, più anziana, economa, pesatrice ufficiale e dotata di grande esperienza e saggezza, e di Settantotto, più giovane, prostituta filosofa, ammirata, caso più unico che raro nella lunga ed onorata storia della sua professione, da tutte le donne del piccolo popolo. In lei vedevano non una rivale, una causa di perdizione o una minaccia a loro stesse, bensì una loro alleata che, in un qualche modo a loro precluso ed usando le sue arti e le sue capacità, costringeva gli uomini ad usare “anche” la loro testa nel modo giusto.
Settecentoquarantrè, per tornare a lei, oltre ad essere la maggiore tra i tre fratelli, sembrava l’unica dotata di buon senso e di predisposizione ad assumersi le proprie responsabilità. I loro genitori infatti, le guide della famiglia, vivevano in un mondo a parte. Il padre, Novantanove, praticamente viveva solo per il lavoro e per le sue assistenti, alla quali faceva una corte continua ma con un successo del tutto deludente. La madre, Centotretrè, quasi ignorata dal consorte del quale a sua volta fingeva di ignorare le continue sbandate per ragazze con la metà dei suoi anni, trascorreva il tempo a cucinare, a leggere, ad intristirsi ed a fingere una felice unione coniugale nei rari momenti di vita sociale. Queste situazioni (e tante altre) nel piccolo popolo non passavano inosservate, e tutti sapevano di tutti, ma ognuno, non si capisce per quale curioso e da approfondire motivo, pensava di essere l’eccezione, il solo caso che agli altri non interessava, o che sfuggiva ai loro occhi ed alle loro lingue.
Padre e madre tornavano perfettamente uniti solo quando occorreva difendere la loro idea di famiglia, un senso di colpa che emergeva, un tentativo di coprire le loro carenze genitoriali, un tardivo orgoglio personale, chi può dirlo?

E così Novantanove e Centotretrè ebbero una reazione scomposta alla notizia che il loro amatissimo Quattrocentouno non aveva superato gli esami da ludotecario, unico in tutta la sua classe, un’onta da lavare col sangue dei suoi insegnanti.  
Settecentoquarantrè tentò, durante un’infuocata riunione serale in famiglia, di far capire che lei da vari mesi li avvisava che il fratello non aveva alcuna voglia di studiare, che aveva notizie di suoi comportamenti maleducati nei confronti sia dei compagni che degli insegnanti, che in alcune occasioni lo aveva visto in giro in posti poco adatti alla sua età, e che spesso faceva il piccolo teppista ed importunava le ragazzine, tentando di imitare il fratello maggiore senza averne però né l’intelligenza né le fortune.
In quell’occasione Seicentoquattro pensò bene di non dire nulla, e di sparire prima ancora che la discussione finisse.
La decisione finale dei due genitori fu che il giorno dopo, entrambi, si sarebbero recati presso la sede della Ludoteca ed avrebbero comunicato la loro intenzione di far ricorso contro le decisioni degli insegnanti. E così avvenne.

Due giorni dopo Settecentoquarantrè venne chiamata da Uno, che voleva da lei spiegazioni su cosa stesse succedendo nella sua famiglia, ma informazioni vere, non il solito sentito dire. Lui voleva capire i fatti ed avere pure l’opinione importante di lei, che sapeva perfettamente in grado di essere obiettiva, anche in casi come quello. E lei gli parlò come si parla ad un nonno, non al suo superiore, dicendogli tutto quello che pensava, e le sue paure relative al fratellino minore, che stava rischiando grosso, ed ai suoi genitori, che di fatto non si amavano più da tempo e che non pensavano per nulla a seguire i loro figli, pieni esclusivamente dei loro problemi e delle loro frustrazioni.

Uno si ritrovò così un nuovo caso da affrontare. La sua piccola comunità sembrava divisa tra chi intendeva dare le colpe solo agli insegnanti della Ludoteca, incapaci di svolgere il loro lavoro, e chi incolpava la famiglia del ragazzo che non aveva superato gli esami ritenendola inadatta ad educare.
Come al solito chiamò a dargli aiuto e sostegno le sue due consigliere di fiducia, Novanta e Settantotto, ma chiese di partecipare alla riunione anche a Ventinove, che da alcuni tempi aveva iniziato a considerare un suo degno successore, una volta che avesse deciso di lasciare il suo posto di guida della comunità. Quel momento si avvicinava, cominciava ad essere stanco, e Ventinove aveva tutte le doti di un buon capo, gli servivano solo maggior fiducia in sé stesso ed esperienza.

All’ora convenuta i 4 saggi si ritrovarono a casa di Uno ed affrontarono il problema con attenzione. Discussero a lungo, e quello che portò via il tempo maggiore non fu il tentativo di raggiungere un’idea o una visione comune, perché tutti loro praticamente erano giunti già, separatamente, salvo piccoli aspetti particolari, a convergere su un giudizio generale. No, la cosa che li prese per ore fu il come avrebbero realizzato la loro opera e risolto il problema. Così si divisero i compiti.
Uno avrebbe avuto il ruolo istituzionale, ed avrebbe gestito il ricorso dei genitori nei confronti della Ludoteca, cioè sarebbe stato il giudice in un incontro tra genitori ed insegnanti.
Novanta si incaricò di contattare Centotretrè, la madre, separatamente e segretamente, e di condurla a più miti e ragionevoli consigli.
Settantotto accettò molto allegramente di affrontare il caso di Novantanove, che del resto conosceva molto bene in veste di prostituta ufficiale, e quindi anche senza veste.
Ventinove invece, supportato anche stavolta dal solito Seicento e dai suoi amici, avrebbe affrontato il caso di Quattrocentouno e di tutte le cattive compagnie che frequentava, senza scordare di dire qualcosa pure al fratello maggiore.

Nel giro di pochissimi giorni il piccolo popolo vide affrontato e risolto nel migliore dei modi possibili un caso che sembrava destinato a lievitare come una torta nel forno.
Uno, in un’unica e memorabile riunione pubblica, decise in modo inappellabile che:
1 - Quattrocentouno avrebbe ripetuto l’anno e si sarebbe impegnato maggiormente per il futuro. Un suo rifiuto non era contemplato.
2 – Gli insegnanti avevano svolto formalmente bene il loro lavoro, ma anch'essi erano responsabili dell’insuccesso del loro alunno, inoltre non avevano saputo dialogare correttamente con la famiglia.
3 – I genitori erano responsabili come se non più degli insegnanti, e dovevano collaborare con la Ludoteca per il bene del figlio, invece di lanciare semplicemente accuse ignorando le loro mancanze.
4 – L’intera comunità, infine, stava sbagliando con i giovani, senza offrire un sistema di valori condiviso e poi richiedere loro un adeguato impegno. Era importante  l’esempio che tutti i membri della comunità offrivano ai giovani.

Novanta incontrò come programmato la madre, fu chiarissima e non lasciò scampo alla povera Centotretrè. La costrinse ad ammettere di non aver seguito il figlio, di non aver cercato di tenere unita la famiglia, di essere più immatura della loro primogenita e di aver lasciato fare al marito quello che semplicemente a lui andava di fare. E, cosa grave, solo per quieto vivere, non per condivisione.

Settantotto con Novantanove decisamente si divertì moltissimo. Tra tutti i 4 che si erano ritrovati quella sera a casa di Uno aveva ricevuto il compito meno difficile. Lo incontrò come per caso mentre usciva dal lavoro, si fece seguire facendo piccolissime allusioni alle quali lui non seppe di no e, quando si ritrovarono seduti in un luogo appartato e discreto, davanti ad un liquore leggero,  non ebbe alcuna difficoltà a fargli capire che non era più un ragazzino come i suoi figli, che aveva moglie e famiglia, che le sue assistenti avevano tutto il diritto di vivere la vita che volevano senza che lui continuasse ad importunarle e che, indipendentemente dai rapporti con sua moglie, nei quali lei non voleva entrare, aveva grosse responsabilità per i suoi figli. Da una moglie ci si può anche separare, in qualche caso, da un figlio mai. Settantotto disse tutte queste cose col sorriso sul suo bel viso, senza mai voler apparire la maestrina che sa tutto, a volte pure ironica, ma mai con cattiveria. Lei cattiva non riusciva proprio ad esserlo. E Novantanove, come il bambino scoperto col dito nella marmellata, arrossì, mentre lei, intenerita, gli accarezzò le mani con le sue, solo per comunicargli calore, vicinanza, condivisione. A lei bastava che lui avesse capito, e lui, a quel punto, aveva capito.

Ventinove si ritrovò il compito più impegnativo sul piano organizzativo, ebbe bisogno di più tempo, ma alla fine ottenne un buon successo. Con i suoi amici iniziò a bloccare letteralmente alcune piccole bande di teppistelli che iniziavano a dar fastidio un po’ a tutti. Le maniere che usò non sempre furono delicate, ma a lui interessava che fossero efficaci, e tali furono.
Con Seicentoquattro fu molto meno duro e riuscì a fargli capire che il fratellino minore aveva bisogno di qualche parola, da parte sua, che lo potesse indirizzare nel modo giusto, sfruttando l’ascendente che aveva su di lui.
Con Quattrocentouno infine fu chiaro e gelido allo stesso tempo. Si calò al suo livello, usò il suo linguaggio, gli disse esplicitamente che da quel momento in poi era un sorvegliato speciale, che era libero di fare quello che voleva ma che avrebbe sempre avuto addosso gli occhi suoi o di qualcuno dei suoi amici. Certi suoi comportamenti scorretti non sarebbero più stati accettati.
Lui non sarebbe più intervenuto direttamente come stava facendo in quel momento parlandogli, ma suo padre e sua madre, da ora in poi, lo avrebbero punito, se fosse stato necessario, come si fa con ogni figlio che non rispetta le regole. E lo avrebbero pure premiato, ovviamente, di fronte al suo impegno serio.

E fu così che alla fine la pace tornò di nuovo nel piccolo popolo.


Nota dolente e seria finale, perché la realtà non è mai come si vorrebbe: La Ludotecadi Rovereto ha chiuso.


                                                                                     Silvano C.©
(PS - Questo è il post n. 401)

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Viva l’Italia


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Trovo decisamente discutibile mettere le bandiere tricolori solo per qualche partita di calcio della nostra nazionale e ritirarle appena la squadra non ha il successo sperato. 
Mi verrebbe voglia di esporre la bandiera a mia volta, quella che metto alla finestra, da inguaribile idealista, il 25 aprile di ogni anno, ma adesso, se il mio gesto non potesse venire interpretato come un festeggiamento per l’esclusione dei nostri giocatori dal torneo mondiale, cioè come se fossi felice della nostra sconfitta (che sarebbe assolutamente falso) e quindi come se io tifassi CONTRO l’Italia.
No, non mi piace per nulla tutto questo, è un saltare sul carro del vincitore, ancora una volta, nostro vizio antico: io sono italiano se vinciamo qualche partita di calcio, altrimenti mi vergogno di esserlo. Allora voglio essere più chiaro, io sono orgoglioso di essere italiano, e mi vergogno di avere come compatrioti persone fatte in questo modo. Tuttavia, come fa pronunciare Billy Wilder in un suo famoso film (e pure scrivere sulla sua tomba) vorrei ricordare che nessuno è perfetto, e non lo siamo neppure noi italiani, ovviamente, quindi per ora evito altri giudizi negativi su costoro.
Io faccio il tifo per l’Italia in Europa, perché ottenga più considerazione e si muova da posizioni di forza e coesione interna, vorrei che fosse più rispettata in India e negli Stati Uniti, o in Cina, e, per tornare al calcio, vorrei che nessuno morisse per aver seguito la propria squadra in trasferta.
Mi piacerebbe, per finire, che il calcio, il ciclismo, e tutte le altre discipline sportive abbandonassero il doping e le scommesse, il flusso eccessivo di denaro che entra nelle tasche di televisioni private o di falsi idoli. 
Abbiamo bisogno d'altro.
Viva l’Italia.

                                                                                     Silvano C.©


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lunedì 23 giugno 2014

Ogni tanto un Blog muore


Ogni tanto un blog muore, senza scandali o tragedie, e soprattutto senza lasciare vedove inconsolabili. Evidentemente se ne può fare a meno e se ne poteva fare a meno anche prima; l’autore o l’autrice del blog hanno esaurito la voglia di seguirlo, hanno perso le idee per strada, oppure hanno raggiunto il loro scopo ultimo ed ora il blog è solo una perdita di tempo, una forma di volontariato onerosa e senza soddisfazioni o sbocchi ulteriori.
Da anni a fasi alterne mi affeziono a qualche blog, e questo anche quando non ne avevo ancora di miei. Ogni tanto vedo che l’autore o l’autrice ha successo, ottiene la pubblicazione di un libro, poi magari di un secondo e poi, e poi… e poi …il blog muore, non viene più aggiornato, o addirittura viene dimenticato.
È il caso di Carolina Cutolo, che aveva un blog, Pornoromantica,  inattivo da anni.
E poi Aldo Boraschi. Pure il suo AlBlog è inattivo dallo scorso marzo.
Della Cutolo ho comprato il libro, a suo tempo, ma non mi sarebbe dispiaciuto leggere ancora di lei sul blog.  Di Boraschi invece non ho comprato nulla, e non so se dovrei.
Mi fa piacere invece leggere ogni tanto il blog di MichelaMarzano, che stimo e della quale ho letto alcuni libri. Non lo aggiorna spessissimo, ma lo fa. 
E mi piace molto il blog di Elena Bibolotti, Bibolotty Moments, che continua ad essere attivo, spero per molto tempo ancora, e della quale ho letto quanto ha pubblicato sino ad ora in libreria. Mi spiace solo che abbia abbandonato, per ora, i social, ma capisco il suo bisogno di riflettere e di capire.

Un blog è una bestia strana, è uno spazio privato che ognuno usa a suo piacere o interesse. Io ho scoperto attivamente questo mondo molti anni fa, durante un corso di aggiornamento, ed in quegli anni non sospetti il relatore portò ad esempio il blog di Beppe Grillo come blog ben fatto, curato, seguito, aggiornato. Ora è chiaro che quelle erano prove generali di ben altro di un semplice blog, e che dietro a Grillo c’era chi lo aiutava e gli dava consigli tecnici che io mi posso solo sognare.
Del resto da allora ho creato vari blog, alcuni rimasti come scheletri nella rete, visto che ho persino dimenticato il loro nome o le credenziali di accesso.
Semplici esperimenti insomma, alcuni usati per qualche mese per verificare le potenzialità del mezzo. Un altro paio usati più a lungo, e poi chiusi, finito il mio interesse. Uno addirittura a quattro mani, di vita brevissima, chiuso pure quello.
Ora questo, sul quale mi diverto, dove scrivo quello che mi passa per la testa, dove raccolgo un po’ di miei interessi, e che viene letto da diverse persone se devo credere ai dati relativi alle statistiche delle visualizzazioni di pagine. Questo mi basta, non mi interessano più da tempo Facebook o Twitter per approfondire i temi o per discutere oltre un certo limite. In particolare Twitter non è nato per questo scopo, e Facebook fagocita e si appropria del lavoro di chi vi apre gruppi o pagine, modificandoli unilateralmente, e quindi mi ha stancato.
Un blog inteso come diario aperto come questo quindi, senza velleità di pubblicazioni future, mi va bene e per adesso mi basta.

                                                                                     Silvano C.©


( La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)

#Brustlina 21


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Tre soli esempi per cercare di far capire due idee personali, in questo caso legate.
 
Innanzitutto mi sembra fondamentale non scordare mai da dove veniamo, cioè il bisogno di onestà, che si traduce nel cercare l’originale e non le imitazioni, specialmente quando si tratta di arte (musica nei tre esempi citati sotto, musica popolare, che tutti in qualche modo conoscono).

Subito dopo è preferibile non essere mai troppo sicuri nelle proprie conclusioni, e dar modo a chi viene dopo di esprimersi, operare distinguo, capire le motivazioni. È una semplice operazione commerciale, una sorta di imitazione a buon livello cioè, oppure è, a suo modo, un omaggio ed una espressione di propria creatività personale, o ancora, semplicemente, l’usare i propri mezzi che, per caso e non per scelta, assomigliano a quelli di qualcun altro famoso da più tempo?

Io però non rispondo a questa domanda, preferisco che tu clicchi sui nomi dei cantanti o dei gruppi, ascolti i vari brani che ho scelto (ma puoi anche spaziare a tuo piacere tra quelli che preferisci), e poi ti faccia la tua idea. 




Audio2                                     oppure     Lucio Battisti

MarioBiondi                           oppure      Barry White


Ovviamente gli esempi potrebbero essere decine e più, ma troppi neppure li conosco.    E, come sempre, grazie di leggermi.

                                                                    Silvano C.©


( La riproduzione è riservata. Ma non c'è nessun problema se si cita la fonte.  Grazie)

domenica 22 giugno 2014

Guardiani seduti


Informativa sulla privacy

Guardiani seduti, aconfessionali ed apolitici,
liberi nel pensiero,
uniti nel matrimonio.
Seduti a distanze precise gli uni dagli altri
testimoniate con la potenza della presenza.
Difensori di libertà,
di ogni persona, contro ogni odio,
ogni violenza, ogni insulto.
Omofobi sono gli altri, quelli che difendono l’innaturalmente diverso.



Eppure, rifletto, quando mai io ho creduto a chi si è definito apolitico? Mai, è la risposta (almeno da quando ho iniziato a capire). Allo stesso modo come non ho mai creduto a chi si è definito non di destra né di sinistra. Solo giochi di parole per nascondere le proprie vere scelte, quasi sempre di destra e reazionarie.
E aconfessionali? Affermazione ancor più divertente se poi, leggendovi meglio, vedo che aderite a quanto detto da Papa Francesco. Pure lui aconfessionale? Ed ora chi si incarica di dirglielo? Ma lui merita rispetto, quindi meglio lasciarlo fuori da tutto questo.
Uniti nel matrimonio, un padre ed una madre, magari 7 figli (visto che sulla Terra siamo pochi), ovviamente negando l’amore tra donna e donna, o tra uomo e uomo, come dei a giudicare gli altri, alcuni nascondendo svastiche e gagliardetti poco edificanti nei propri cassetti.
Liberi di manifestare lo siete, certo, non potete dire il contrario. Vivete in uno Stato laico (non abbastanza, secondo me, ma laico) non nazista, non comunista e dittatoriale, e neppure col controllo vigile dell’inquisizione. 
Non siete liberi però di imporre a nessuno l’aberrazione del vostro pensiero unico, per ora, e mi auguro per sempre.

L’immagine che illustra il post è del tutto estranea al tema trattato. L’ho trovata qui.

Ad integrazione del post aggiungo il testo della Proposta di Legge a prima firma Scalfarotto dove ognuno può trovare conferma dek fatto che non è previsto in alcun modo pena detentiva o similare per la semplice manisfestazione di un'opinione, anche nel caso si trattasse di un pregiudizio, ma viene sanzionata l'istigazione a delinquere. Nella presentazione risultano chiari i riferimenti alla Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo, ispiratrice di tale Proposta. 
 Proposta di Legge Scalfarotto
 Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo
 ed infine il
Parere della Prima Commissione Permanente, che limita non poco tale proposta


                                                                                     Silvano C.©


L’amico del giaguaro

Informativa sulla privacy

Attorno sono allegri, si vede che si divertono, scherzano tra loro, si conoscono da chissà quanto tempo, e chiaramente sono molto più simpatici di lui, maschi o femmine che siano.
Lui è al mare per curarsi, è stato il medico ad “ordinarlo” ai suoi:
– Questo bambino ha bisogno di respirare aria diversa, portatelo al mare, in estate. –
Facile da dire per il Dottor Leoni che ha una bella casa, gira in auto, veste bene e la sua famiglia sembra avvolta da una sorta di mistero sacrale, praticamente inavvicinabile nelle penombre della casa signorile. Eppure i suoi fanno quello che possono, e si separano per curare il figlio, il loro unico figlio. Si separano nel senso che la madre lo accompagna al Lido di Canaletto dove hanno affittato una stanza uso cucina in un seminterrato, con il bagno in comune con altre tre stanze come la loro, ed il padre li raggiunge solo durante il fine settimana, per poche ore, arrivando in corriera il sabato attorno a mezzogiorno (grandi feste ed abbracci) e ripartendo poi con lo stesso mezzo il pomeriggio del giorno dopo (pianti e magone).

I tempi dei bambini sono incomprensibili per gli adulti, e pure la loro sofferenza. Semplicemente le cose si fanno in un certo modo perché è così, e non si discute. Quindi tutto è scandito da orari precisi, non sembra neppure una vacanza, ma la scaletta rigorosa che si deve rispettare da parte di tutti gli ospiti di un collegio.
Sveglia prestissimo, poi passeggiata in spiaggia prima che il Sole si alzi sul serio e renda ogni cosa infuocata, ricerca di conchiglie, sguardi ai pochi bambini in giro a quell’ora strana, odore di salmastro, alghe, acqua bassa per la marea, sabbia umida ma libera dal mare anche se con la memoria delle onde che c’erano prima e che ci saranno di nuovo tra poche ore, e granchi che scappano, gabbiani che urlano, scogli improvvisamente più vicini, ma ugualmente lontani e non raggiungibili.
Poi il ritorno a casa, la colazione, e ancora di nuovo in spiaggia, stavolta sotto la tenda che sembra la vela quadrata di un'antica nave, perché gli ombrelloni ancora non sono arrivati, come oggi, e due sedie a sdraio, pericolosissime. Qualcuno ha raccontato che, pare, sia successa una disgrazia pochi anni prima, con una bambina che ha avuto una mano amputata da una straio che si sarebbe chiusa sotto il peso del padre mentre lei stava giocando proprio tra i legni che sostenevano il genitore. La sdraio quindi merita rispetto ed attenzione, e lui non può modificarne l’inclinazione, quando è sistemata come deve stare.
In realtà è la noia a farlo star male, non servono le buste di fumetti insoliti che la madre gli compra ogni tanto la sera, oppure la paletta per scavare buche enormi; lui non può allontanarsi. Non sa nuotare, si può perdere, potrebbe capitare ogni genere di imprevisto, come ad esempio cadere in qualche avvallamento sommerso ed annegare in pochi centimetri di acqua.
Gli altri però vanno dove vogliono. Corrono tra gli spruzzi, giocano con un pallone, maschi e femmine fanno piccoli gruppi, ridono, e neppure lo vedono. Evidentemente è molto diverso, forse ridicolo, o inguardabile, o più semplicemente non hanno alcun bisogno di lui; dovrebbe essere lui a fare il primo passo, forse, ma come accidenti si fa non è chiaro. Cosa si deve dire, cosa si fa, come ci si presenta? Impossibile.

La sera del sabato però la famiglia si riunisce. In centro, puntualissimo, inizia in uno dei pochi bar che lui conosce la trasmissione che gli piace da morire: L’amico del giaguaro. Quella sera tutto sparisce. Pisu, Bramieri e Del Frate, e poi la cosa più fantastica mai assaggiata prima: la cioccolata in tazza. Incredibile che in estate, col caldo ed i gelati che gli altri consumano, la cioccolata in tazza sia così buona. Eppure è così. Non ci sono spiegazioni. 
Inizia poi per noia, o forse per una segreta predisposizone, a spiare gli altri, a cercare di capire, perché per essere curioso lo è e lo è sempre stato, e spia bambini ed adulti, nei rari momenti di libertà, prima di andare a letto, le sera. 
E' una valvola di sfogo alla sua incapacità di rapporti.
Ma non è piacevole tutto questo, non è alla luce del sole, come gli piacerebbe, ed avverte un ché di morboso e di proibito, e vorrebbe altro, mentre il mese di ferie trascorre lentamente senza alcun fatto nuovo.

Tre giorni prima della fine del soggiorno al Lido di Canaletto, nella casa della famiglia Carveda, in quel sottoscala dove avverte in modo tangibile il senso di inferiorità sociale (come se ve ne fosse ulteriore bisogno), poco prima che arrivi il padre per l’ultima volta e poi ripartire tutti con la corriera, avviene il fatto inatteso e sperato.  Per non si sa bene quale motivo, viene avvicinato da una ragazzina del gruppo che per 20 giorni almeno lui ha solo guardato da lontano, senza osare avvicinarsi. I due giorni che restano lo ripagano di tanti pensieri stupidi che aveva fatto crescere lentamente dentro la sua mente. Tutto è diverso, e può essere diverso. 
Come si possa modificare quello che lui vorrebbe cambiare ancora, razionalmente, non lo capisce, ma intanto brucia quelle ore, che spariscono in fretta e poi gli lasciano dentro il vuoto.

                                                                                     Silvano C.©


( La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)

sabato 21 giugno 2014

Un #assassino






TITOLO IV
Del reo e della persona offesa dal reato

Capo I
Della imputabilità



 Art. 90. Stati emotivi o passionali.
                 Gli stati emotivi o passionali non escludono nè diminuiscono l'imputabilità.


Quindi, se so capire cosa intende questo testo giuridico fondamentale, continuare a parlare di delitti passionali o con motivazioni passionali è del tutto fuorviante ai fini della creazione nell’opinione pubblica di un sano e cosciente rifiuto di ogni forma di violenza.

Quando una televisione o una radio, pubbliche o private che siano, un giornale, un blog, un profilo su un social, una pagina qualsiasi raggiungibile in rete, un relatore ad una conferenza, uno scrittore in una sua pubblicazione e così via usano l’aggettivo passionale commettono un grave errore di comunicazione educativa o almeno corretta.
Fanno passare in qualche modo l’idea che ci sia passione, cioè una forte spinta emotiva spesso associata nella nostra mente a caratteristiche giudicate positive (passione per lo sport, per la musica, per la lettura, per l’arte, per i francobolli o per il cinema…).

In realtà si tratta spesso solo di omicidi, che colpiscono quasi sempre una certa tipologia di soggetti.
Non per nulla esiste da tempo il termine infanticidio, che indica l’uccisione di un bambino nell’età della prima infanzia.
Ora molti non accettano il termine femminicidio, con motivazioni perfettamente corrette, perché è e resta un omicidio, tuttavia la parola poco a poco entra nella lingua parlata e scritta, e sarà solo il tempo a deciderne il successo dal punto di vista linguistico. Il mio inutile parere è che, linguisticamente, abbia la stessa dignità di infanticidio, o di uxoricidio
È uno specificare, non un ghettizzare, e serve a rendere chiaro di che tipo di omicidio si tratta.

In ogni caso rifiuto qualsiasi giustificazione che richiami sentimenti come amore, delusione, paura di essere lasciati, gelosia o altro. Nessuna giustificazione, ma solo un vocabolario che inchiodi i colpevoli, o i presunti colpevoli, senza dar loro alcun appiglio per apparire accettabili. 
Assassini sono, assassini restano.

                                                                                     Silvano C.©


( La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)

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