(prima di leggere qui, se non lo hai già fatto, guarda
come è iniziato tutto, qualche mese fa)
Quattrocentouno, in un modo che voglio raccontare a modo mio, riuscì a portare nuovo scompiglio nel piccolo popolo che si era stabilito a Rovereto e dopo la pace che questo aveva faticosamente raggiunta in seguito alla scoperta dei libri e ad un modo abbastanza efficiente per rifornirsi in modo regolare di sempre nuovi volumi.
Quattrocentouno, in un modo che voglio raccontare a modo mio, riuscì a portare nuovo scompiglio nel piccolo popolo che si era stabilito a Rovereto e dopo la pace che questo aveva faticosamente raggiunta in seguito alla scoperta dei libri e ad un modo abbastanza efficiente per rifornirsi in modo regolare di sempre nuovi volumi.
Qui occorre fare una digressione e spiegare che
Quattrocentouno era giovanissimo, fratello minore di Seicentoquattro e di
Settecentoquarantrè.
Il primo, adolescente pieno di energie e di desideri di ogni
genere, dotato di una notevole intelligenza ed attratto da tutte le ragazze che
gli si avvicinavano per un qualsiasi motivo. Riscuoteva un notevole successo e,
praticamente una dopo l’altra, in molte cadevano nella sua rete, mentre lui, da
bravo pescatore, era paziente e sapeva come attirare la preda che di volta in
volta individuava. La sua abilità, invidiata da tutti i coetanei e non solo da
loro, consisteva nel saper condurre il gioco in modo da sembrare essere lui
ogni volta preda della ragazza di turno. Ovviamente per Quattrocentouno era un
modello da imitare, il suo idolo casalingo.
Settecentoquarantrè invece era la sorella maggiore di
entrambi, con la testa sulle spalle ed un lavoro alle dipendenze dirette di Uno
in qualità di sua segretaria. Uno, ulteriore parentesi nella digressione,
sapeva scegliersi senza sbagliare mai i suoi collaboratori, e, malgrado fosse
convinto di essere ormai un rudere tenuto al suo posto esclusivamente perché
nessun altro era disponibile a darsi da fare per la comunità, godeva di un
meritato prestigio e raramente prendeva decisioni avventate. In caso di dubbi
cercava sempre i consigli di Novanta, più anziana, economa, pesatrice ufficiale
e dotata di grande esperienza e saggezza, e di Settantotto, più giovane,
prostituta filosofa, ammirata, caso più unico che raro nella lunga ed onorata
storia della sua professione, da tutte le donne del piccolo popolo. In lei
vedevano non una rivale, una causa di perdizione o una minaccia a loro stesse,
bensì una loro alleata che, in un qualche modo a loro precluso ed usando le sue
arti e le sue capacità, costringeva gli uomini ad usare “anche” la loro testa
nel modo giusto.
Settecentoquarantrè, per tornare a lei, oltre ad essere la
maggiore tra i tre fratelli, sembrava l’unica dotata di buon senso e di
predisposizione ad assumersi le proprie responsabilità. I loro genitori infatti,
le guide della famiglia, vivevano in un mondo a parte. Il padre, Novantanove,
praticamente viveva solo per il lavoro e per le sue assistenti, alla quali
faceva una corte continua ma con un successo del tutto deludente. La madre, Centotretrè,
quasi ignorata dal consorte del quale a sua volta fingeva di ignorare le
continue sbandate per ragazze con la metà dei suoi anni, trascorreva il tempo a
cucinare, a leggere, ad intristirsi ed a fingere una felice unione coniugale
nei rari momenti di vita sociale. Queste situazioni (e tante altre) nel piccolo
popolo non passavano inosservate, e tutti sapevano di tutti, ma ognuno, non si capisce
per quale curioso e da approfondire motivo, pensava di essere l’eccezione, il
solo caso che agli altri non interessava, o che sfuggiva ai loro occhi ed alle
loro lingue.
Padre e madre tornavano perfettamente uniti solo quando
occorreva difendere la loro idea di famiglia, un senso di colpa che emergeva, un
tentativo di coprire le loro carenze genitoriali, un tardivo orgoglio
personale, chi può dirlo?
E
così Novantanove e Centotretrè ebbero una reazione scomposta alla notizia che
il loro amatissimo Quattrocentouno non aveva superato gli esami da ludotecario,
unico in tutta la sua classe, un’onta da lavare col sangue dei suoi insegnanti.
Settecentoquarantrè tentò, durante
un’infuocata riunione serale in famiglia, di far capire che lei da vari mesi li
avvisava che il fratello non aveva alcuna voglia di studiare, che aveva notizie
di suoi comportamenti maleducati nei confronti sia dei compagni che degli
insegnanti, che in alcune occasioni lo aveva visto in giro in posti poco adatti
alla sua età, e che spesso faceva il piccolo teppista ed importunava le
ragazzine, tentando di imitare il fratello maggiore senza averne però né l’intelligenza
né le fortune.
In quell’occasione Seicentoquattro
pensò bene di non dire nulla, e di sparire prima ancora che la discussione
finisse.
La decisione finale dei due
genitori fu che il giorno dopo, entrambi, si sarebbero recati presso la sede
della Ludoteca ed avrebbero comunicato la loro intenzione di far ricorso contro
le decisioni degli insegnanti. E così avvenne.
Due giorni dopo Settecentoquarantrè
venne chiamata da Uno, che voleva da lei spiegazioni su cosa stesse succedendo
nella sua famiglia, ma informazioni vere, non il solito sentito dire. Lui voleva
capire i fatti ed avere pure l’opinione importante di lei, che sapeva perfettamente
in grado di essere obiettiva, anche in casi come quello. E lei gli parlò come
si parla ad un nonno, non al suo superiore, dicendogli tutto quello che
pensava, e le sue paure relative al fratellino minore, che stava rischiando
grosso, ed ai suoi genitori, che di fatto non si amavano più da tempo e che non
pensavano per nulla a seguire i loro figli, pieni esclusivamente dei loro
problemi e delle loro frustrazioni.
Uno si ritrovò così un nuovo caso
da affrontare. La sua piccola comunità sembrava divisa tra chi intendeva dare
le colpe solo agli insegnanti della Ludoteca, incapaci di svolgere il loro
lavoro, e chi incolpava la famiglia del ragazzo che non aveva superato gli
esami ritenendola inadatta ad educare.
Come al solito chiamò a dargli
aiuto e sostegno le sue due consigliere di fiducia, Novanta e Settantotto, ma
chiese di partecipare alla riunione anche a Ventinove, che da alcuni tempi
aveva iniziato a considerare un suo degno successore, una volta che avesse
deciso di lasciare il suo posto di guida della comunità. Quel momento si
avvicinava, cominciava ad essere stanco, e Ventinove aveva tutte le doti di un
buon capo, gli servivano solo maggior fiducia in sé stesso ed esperienza.
All’ora convenuta i 4 saggi si
ritrovarono a casa di Uno ed affrontarono il problema con attenzione. Discussero
a lungo, e quello che portò via il tempo maggiore non fu il tentativo di
raggiungere un’idea o una visione comune, perché tutti loro praticamente erano
giunti già, separatamente, salvo piccoli aspetti particolari, a convergere su
un giudizio generale. No, la cosa che li prese per ore fu il come avrebbero
realizzato la loro opera e risolto il problema. Così si divisero i compiti.
Uno avrebbe avuto il ruolo
istituzionale, ed avrebbe gestito il ricorso dei genitori nei confronti della Ludoteca,
cioè sarebbe stato il giudice in un incontro tra genitori ed
insegnanti.
Novanta si incaricò di contattare Centotretrè,
la madre, separatamente e segretamente, e di condurla a più miti e ragionevoli
consigli.
Settantotto accettò molto
allegramente di affrontare il caso di Novantanove, che del resto conosceva molto
bene in veste di prostituta ufficiale, e quindi anche senza veste.
Ventinove invece, supportato anche
stavolta dal solito Seicento e dai suoi amici, avrebbe affrontato il caso di Quattrocentouno
e di tutte le cattive compagnie che frequentava, senza scordare di dire
qualcosa pure al fratello maggiore.
Nel giro di pochissimi giorni il
piccolo popolo vide affrontato e risolto nel migliore dei modi possibili un
caso che sembrava destinato a lievitare come una torta nel forno.
Uno, in un’unica e memorabile riunione
pubblica, decise in modo inappellabile che:
1 - Quattrocentouno avrebbe
ripetuto l’anno e si sarebbe impegnato maggiormente per il futuro. Un suo rifiuto non era contemplato.
2 – Gli insegnanti avevano svolto formalmente
bene il loro lavoro, ma anch'essi erano responsabili dell’insuccesso del loro
alunno, inoltre non avevano saputo dialogare correttamente con la famiglia.
3 – I genitori erano responsabili
come se non più degli insegnanti, e dovevano collaborare con la Ludoteca per il
bene del figlio, invece di lanciare semplicemente accuse ignorando le loro mancanze.
4 – L’intera comunità, infine, stava
sbagliando con i giovani, senza offrire un sistema di valori condiviso e poi richiedere loro un adeguato impegno. Era importante l’esempio che tutti i membri della comunità offrivano ai giovani.
Novanta incontrò come programmato
la madre, fu chiarissima e non lasciò scampo alla povera Centotretrè. La costrinse
ad ammettere di non aver seguito il figlio, di non aver cercato di tenere unita
la famiglia, di essere più immatura della loro primogenita e di aver lasciato
fare al marito quello che semplicemente a lui andava di fare. E, cosa grave,
solo per quieto vivere, non per condivisione.
Settantotto con Novantanove
decisamente si divertì moltissimo. Tra tutti i 4 che si erano ritrovati quella
sera a casa di Uno aveva ricevuto il compito meno difficile. Lo incontrò come
per caso mentre usciva dal lavoro, si fece seguire facendo piccolissime
allusioni alle quali lui non seppe di no e, quando si ritrovarono seduti in un
luogo appartato e discreto, davanti ad un liquore leggero, non ebbe alcuna difficoltà a fargli capire
che non era più un ragazzino come i suoi figli, che aveva moglie e famiglia, che
le sue assistenti avevano tutto il diritto di vivere la vita che volevano senza
che lui continuasse ad importunarle e che, indipendentemente dai rapporti con
sua moglie, nei quali lei non voleva entrare, aveva grosse responsabilità per i
suoi figli. Da una moglie ci si può anche separare, in qualche caso, da un
figlio mai. Settantotto disse tutte queste cose col sorriso sul suo bel viso,
senza mai voler apparire la maestrina che sa tutto, a volte pure ironica, ma
mai con cattiveria. Lei cattiva non riusciva proprio ad esserlo. E Novantanove,
come il bambino scoperto col dito nella marmellata, arrossì, mentre lei,
intenerita, gli accarezzò le mani con le sue, solo per comunicargli calore,
vicinanza, condivisione. A lei bastava che lui avesse capito, e lui, a quel
punto, aveva capito.
Ventinove si ritrovò il compito
più impegnativo sul piano organizzativo, ebbe bisogno di più tempo, ma alla
fine ottenne un buon successo. Con i suoi amici iniziò a bloccare letteralmente
alcune piccole bande di teppistelli che iniziavano a dar fastidio un po’ a
tutti. Le maniere che usò non sempre furono delicate, ma a lui interessava che
fossero efficaci, e tali furono.
Con Seicentoquattro fu molto meno
duro e riuscì a fargli capire che il fratellino minore aveva bisogno di qualche
parola, da parte sua, che lo potesse indirizzare nel modo giusto, sfruttando l’ascendente
che aveva su di lui.
Con Quattrocentouno infine fu
chiaro e gelido allo stesso tempo. Si calò al suo livello, usò il suo linguaggio,
gli disse esplicitamente che da quel momento in poi era un sorvegliato
speciale, che era libero di fare quello che voleva ma che avrebbe sempre avuto
addosso gli occhi suoi o di qualcuno dei suoi amici. Certi suoi comportamenti
scorretti non sarebbero più stati accettati.
Lui non sarebbe più intervenuto
direttamente come stava facendo in quel momento parlandogli, ma suo padre e sua
madre, da ora in poi, lo avrebbero punito, se fosse stato necessario, come si
fa con ogni figlio che non rispetta le regole. E lo avrebbero pure premiato,
ovviamente, di fronte al suo impegno serio.
E fu così che alla fine la pace tornò di nuovo
nel piccolo popolo.
Nota
dolente e seria finale, perché la realtà non è mai come si vorrebbe: La Ludotecadi Rovereto ha chiuso.
Silvano C.©
(PS - Questo è il post n. 401)( La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)
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