mercoledì 25 giugno 2014

#Quattrocentouno


(prima di leggere qui, se non lo hai già fatto, guarda come è iniziato tutto, qualche mese fa)

Quattrocentouno, in un modo che voglio raccontare a modo mio, riuscì a portare nuovo scompiglio nel piccolo popolo che si era stabilito a Rovereto e dopo la pace che questo aveva faticosamente raggiunta in seguito alla scoperta dei libri e ad un modo abbastanza efficiente per rifornirsi in modo regolare di sempre nuovi volumi.
Qui occorre fare una digressione e spiegare che Quattrocentouno era giovanissimo, fratello minore di Seicentoquattro e di Settecentoquarantrè.
Il primo, adolescente pieno di energie e di desideri di ogni genere, dotato di una notevole intelligenza ed attratto da tutte le ragazze che gli si avvicinavano per un qualsiasi motivo. Riscuoteva un notevole successo e, praticamente una dopo l’altra, in molte cadevano nella sua rete, mentre lui, da bravo pescatore, era paziente e sapeva come attirare la preda che di volta in volta individuava. La sua abilità, invidiata da tutti i coetanei e non solo da loro, consisteva nel saper condurre il gioco in modo da sembrare essere lui ogni volta preda della ragazza di turno. Ovviamente per Quattrocentouno era un modello da imitare, il suo idolo casalingo.
Settecentoquarantrè invece era la sorella maggiore di entrambi, con la testa sulle spalle ed un lavoro alle dipendenze dirette di Uno in qualità di sua segretaria. Uno, ulteriore parentesi nella digressione, sapeva scegliersi senza sbagliare mai i suoi collaboratori, e, malgrado fosse convinto di essere ormai un rudere tenuto al suo posto esclusivamente perché nessun altro era disponibile a darsi da fare per la comunità, godeva di un meritato prestigio e raramente prendeva decisioni avventate. In caso di dubbi cercava sempre i consigli di Novanta, più anziana, economa, pesatrice ufficiale e dotata di grande esperienza e saggezza, e di Settantotto, più giovane, prostituta filosofa, ammirata, caso più unico che raro nella lunga ed onorata storia della sua professione, da tutte le donne del piccolo popolo. In lei vedevano non una rivale, una causa di perdizione o una minaccia a loro stesse, bensì una loro alleata che, in un qualche modo a loro precluso ed usando le sue arti e le sue capacità, costringeva gli uomini ad usare “anche” la loro testa nel modo giusto.
Settecentoquarantrè, per tornare a lei, oltre ad essere la maggiore tra i tre fratelli, sembrava l’unica dotata di buon senso e di predisposizione ad assumersi le proprie responsabilità. I loro genitori infatti, le guide della famiglia, vivevano in un mondo a parte. Il padre, Novantanove, praticamente viveva solo per il lavoro e per le sue assistenti, alla quali faceva una corte continua ma con un successo del tutto deludente. La madre, Centotretrè, quasi ignorata dal consorte del quale a sua volta fingeva di ignorare le continue sbandate per ragazze con la metà dei suoi anni, trascorreva il tempo a cucinare, a leggere, ad intristirsi ed a fingere una felice unione coniugale nei rari momenti di vita sociale. Queste situazioni (e tante altre) nel piccolo popolo non passavano inosservate, e tutti sapevano di tutti, ma ognuno, non si capisce per quale curioso e da approfondire motivo, pensava di essere l’eccezione, il solo caso che agli altri non interessava, o che sfuggiva ai loro occhi ed alle loro lingue.
Padre e madre tornavano perfettamente uniti solo quando occorreva difendere la loro idea di famiglia, un senso di colpa che emergeva, un tentativo di coprire le loro carenze genitoriali, un tardivo orgoglio personale, chi può dirlo?

E così Novantanove e Centotretrè ebbero una reazione scomposta alla notizia che il loro amatissimo Quattrocentouno non aveva superato gli esami da ludotecario, unico in tutta la sua classe, un’onta da lavare col sangue dei suoi insegnanti.  
Settecentoquarantrè tentò, durante un’infuocata riunione serale in famiglia, di far capire che lei da vari mesi li avvisava che il fratello non aveva alcuna voglia di studiare, che aveva notizie di suoi comportamenti maleducati nei confronti sia dei compagni che degli insegnanti, che in alcune occasioni lo aveva visto in giro in posti poco adatti alla sua età, e che spesso faceva il piccolo teppista ed importunava le ragazzine, tentando di imitare il fratello maggiore senza averne però né l’intelligenza né le fortune.
In quell’occasione Seicentoquattro pensò bene di non dire nulla, e di sparire prima ancora che la discussione finisse.
La decisione finale dei due genitori fu che il giorno dopo, entrambi, si sarebbero recati presso la sede della Ludoteca ed avrebbero comunicato la loro intenzione di far ricorso contro le decisioni degli insegnanti. E così avvenne.

Due giorni dopo Settecentoquarantrè venne chiamata da Uno, che voleva da lei spiegazioni su cosa stesse succedendo nella sua famiglia, ma informazioni vere, non il solito sentito dire. Lui voleva capire i fatti ed avere pure l’opinione importante di lei, che sapeva perfettamente in grado di essere obiettiva, anche in casi come quello. E lei gli parlò come si parla ad un nonno, non al suo superiore, dicendogli tutto quello che pensava, e le sue paure relative al fratellino minore, che stava rischiando grosso, ed ai suoi genitori, che di fatto non si amavano più da tempo e che non pensavano per nulla a seguire i loro figli, pieni esclusivamente dei loro problemi e delle loro frustrazioni.

Uno si ritrovò così un nuovo caso da affrontare. La sua piccola comunità sembrava divisa tra chi intendeva dare le colpe solo agli insegnanti della Ludoteca, incapaci di svolgere il loro lavoro, e chi incolpava la famiglia del ragazzo che non aveva superato gli esami ritenendola inadatta ad educare.
Come al solito chiamò a dargli aiuto e sostegno le sue due consigliere di fiducia, Novanta e Settantotto, ma chiese di partecipare alla riunione anche a Ventinove, che da alcuni tempi aveva iniziato a considerare un suo degno successore, una volta che avesse deciso di lasciare il suo posto di guida della comunità. Quel momento si avvicinava, cominciava ad essere stanco, e Ventinove aveva tutte le doti di un buon capo, gli servivano solo maggior fiducia in sé stesso ed esperienza.

All’ora convenuta i 4 saggi si ritrovarono a casa di Uno ed affrontarono il problema con attenzione. Discussero a lungo, e quello che portò via il tempo maggiore non fu il tentativo di raggiungere un’idea o una visione comune, perché tutti loro praticamente erano giunti già, separatamente, salvo piccoli aspetti particolari, a convergere su un giudizio generale. No, la cosa che li prese per ore fu il come avrebbero realizzato la loro opera e risolto il problema. Così si divisero i compiti.
Uno avrebbe avuto il ruolo istituzionale, ed avrebbe gestito il ricorso dei genitori nei confronti della Ludoteca, cioè sarebbe stato il giudice in un incontro tra genitori ed insegnanti.
Novanta si incaricò di contattare Centotretrè, la madre, separatamente e segretamente, e di condurla a più miti e ragionevoli consigli.
Settantotto accettò molto allegramente di affrontare il caso di Novantanove, che del resto conosceva molto bene in veste di prostituta ufficiale, e quindi anche senza veste.
Ventinove invece, supportato anche stavolta dal solito Seicento e dai suoi amici, avrebbe affrontato il caso di Quattrocentouno e di tutte le cattive compagnie che frequentava, senza scordare di dire qualcosa pure al fratello maggiore.

Nel giro di pochissimi giorni il piccolo popolo vide affrontato e risolto nel migliore dei modi possibili un caso che sembrava destinato a lievitare come una torta nel forno.
Uno, in un’unica e memorabile riunione pubblica, decise in modo inappellabile che:
1 - Quattrocentouno avrebbe ripetuto l’anno e si sarebbe impegnato maggiormente per il futuro. Un suo rifiuto non era contemplato.
2 – Gli insegnanti avevano svolto formalmente bene il loro lavoro, ma anch'essi erano responsabili dell’insuccesso del loro alunno, inoltre non avevano saputo dialogare correttamente con la famiglia.
3 – I genitori erano responsabili come se non più degli insegnanti, e dovevano collaborare con la Ludoteca per il bene del figlio, invece di lanciare semplicemente accuse ignorando le loro mancanze.
4 – L’intera comunità, infine, stava sbagliando con i giovani, senza offrire un sistema di valori condiviso e poi richiedere loro un adeguato impegno. Era importante  l’esempio che tutti i membri della comunità offrivano ai giovani.

Novanta incontrò come programmato la madre, fu chiarissima e non lasciò scampo alla povera Centotretrè. La costrinse ad ammettere di non aver seguito il figlio, di non aver cercato di tenere unita la famiglia, di essere più immatura della loro primogenita e di aver lasciato fare al marito quello che semplicemente a lui andava di fare. E, cosa grave, solo per quieto vivere, non per condivisione.

Settantotto con Novantanove decisamente si divertì moltissimo. Tra tutti i 4 che si erano ritrovati quella sera a casa di Uno aveva ricevuto il compito meno difficile. Lo incontrò come per caso mentre usciva dal lavoro, si fece seguire facendo piccolissime allusioni alle quali lui non seppe di no e, quando si ritrovarono seduti in un luogo appartato e discreto, davanti ad un liquore leggero,  non ebbe alcuna difficoltà a fargli capire che non era più un ragazzino come i suoi figli, che aveva moglie e famiglia, che le sue assistenti avevano tutto il diritto di vivere la vita che volevano senza che lui continuasse ad importunarle e che, indipendentemente dai rapporti con sua moglie, nei quali lei non voleva entrare, aveva grosse responsabilità per i suoi figli. Da una moglie ci si può anche separare, in qualche caso, da un figlio mai. Settantotto disse tutte queste cose col sorriso sul suo bel viso, senza mai voler apparire la maestrina che sa tutto, a volte pure ironica, ma mai con cattiveria. Lei cattiva non riusciva proprio ad esserlo. E Novantanove, come il bambino scoperto col dito nella marmellata, arrossì, mentre lei, intenerita, gli accarezzò le mani con le sue, solo per comunicargli calore, vicinanza, condivisione. A lei bastava che lui avesse capito, e lui, a quel punto, aveva capito.

Ventinove si ritrovò il compito più impegnativo sul piano organizzativo, ebbe bisogno di più tempo, ma alla fine ottenne un buon successo. Con i suoi amici iniziò a bloccare letteralmente alcune piccole bande di teppistelli che iniziavano a dar fastidio un po’ a tutti. Le maniere che usò non sempre furono delicate, ma a lui interessava che fossero efficaci, e tali furono.
Con Seicentoquattro fu molto meno duro e riuscì a fargli capire che il fratellino minore aveva bisogno di qualche parola, da parte sua, che lo potesse indirizzare nel modo giusto, sfruttando l’ascendente che aveva su di lui.
Con Quattrocentouno infine fu chiaro e gelido allo stesso tempo. Si calò al suo livello, usò il suo linguaggio, gli disse esplicitamente che da quel momento in poi era un sorvegliato speciale, che era libero di fare quello che voleva ma che avrebbe sempre avuto addosso gli occhi suoi o di qualcuno dei suoi amici. Certi suoi comportamenti scorretti non sarebbero più stati accettati.
Lui non sarebbe più intervenuto direttamente come stava facendo in quel momento parlandogli, ma suo padre e sua madre, da ora in poi, lo avrebbero punito, se fosse stato necessario, come si fa con ogni figlio che non rispetta le regole. E lo avrebbero pure premiato, ovviamente, di fronte al suo impegno serio.

E fu così che alla fine la pace tornò di nuovo nel piccolo popolo.


Nota dolente e seria finale, perché la realtà non è mai come si vorrebbe: La Ludotecadi Rovereto ha chiuso.


                                                                                     Silvano C.©
(PS - Questo è il post n. 401)

( La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)

Nessun commento:

Posta un commento

I commenti offensivi o spam saranno cancellati. Grazie della comprensione.

Post più popolari di sempre

Post più popolari nell'ultimo anno

Post più popolari nell'ultimo mese

Post più popolari nell'ultima settimana