Tra i primi viaggi sicuramente quelli nelle favole che mi raccontava mio nonno, le stesse, poche, raccontate con parole sempre uguali, o con diversità minime ad ogni ripetizione. Io non ammettevo variazioni, paure nuove o nuovi stupori. E lui, che lo sapeva, si divertiva a rifare esattamente la stessa voce e la stessa espressione del viso. Allora il viaggio era dentro di me, a scoprire mondi che appena uscivo in strada sparivano.
Poi ricordo un viaggio breve e spiacevole, in una località
balneare della riviera romagnola dove sono stato confinato in una colonia
estiva per circa un mese perché mi faceva bene il mare (il parere del medico
era inappellabile). A suo modo educativo, quel viaggio, anche di scoperte del
corpo, ma enormemente penoso.
E poi molti altri viaggi, tanti da riempirne pagine e pagine
volendo raccontarli tutti ed in modo esaustivo. Si ripropone il problema, nel
raccontare i particolari, uguale a quello di chi vorrebbe disegnare una cartina
geografica in scala 1:1, cioè una piantina del quartiere grande esattamente
come il quartiere, o una piantina della regione grande esattamente come la
regione. In altre parole una semplice spedizione al mare di poche ore
raccontata esattamente in poche ore, non sintetizzata nei suoi aspetti
apparentemente più importanti, o selezionati dalla nostra memoria. Per raccontare
una vita serve una vita.
Chiarito questo punto essenziale, e tralasciando - solo per
non dilungarmi ulteriormente - il viaggio che si compie leggendo un libro, per
nulla da sottovalutare, penso ad un breve spostamento compiuto poco tempo fa,
neppure un vero e proprio viaggio, ma una veloce fuga dai soliti luoghi. La preparazione
è stata già parte del viaggio, ovviamente, ed è durata quasi più del tempo
cronologico intercorso tra partenza e ritorno. La preparazione è il desiderio
di fare qualcosa, di scoprire luoghi o persone o modi di essere. È anche il suo
progetto, il compromesso tra fantasia e realtà, ed è fatta di oggetti solidi, i
bagagli, che trasportano un po’ di quello che dovremmo lasciare.
Poi c’è il viaggio vero e proprio, che sarebbe sbagliato
intendere solo come il raggiungimento di una meta, ma è tutto quello che capita
nel percorso, specialmente gli imprevisti.
Infine c’è quello che avviene dopo, il viaggio rivissuto
nelle immagini fotografiche che abbiamo riportato a casa, necessariamente legate
a pochi momenti specifici, oppure nei ricordi condivisi, o nelle informazioni
che si cercano a posteriori, nei perché scoperti solo dopo, e che ci avrebbero
evitato quella reazione o quella svolta, e forse ci avrebbero tolto il piacere
di quella scoperta.
Da qualche anno il viaggio si può rivivere pure su Google
Earth, anche se non in tutti i paesi è possibile, ma quando questo avviene
sembra di tornare in quel ristorante, in quella piazza, su quella strada. I luoghi
familiari so come appaiono in questo mondo virtuale, li conosco bene, li
ritrovo quando ne sento nostalgia e sono abbastanza forte da reggerne il peso. Così
mi rivedo ancora in viaggio, e metto piccole bandierine per ritrovare quel
campeggio, o quell’autogrill, o quel passo di montagna superato in agosto
mentre iniziava una leggera nevicata. E mi viene da sorridere al pensiero del
mio abbigliamento leggero in quell’atmosfera invernale perché, accidenti, in
agosto non si indossano i doposci.
Silvano C.©
( La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)
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