Quanti ultimi giorni di scuola abbiamo vissuto? Eppure
l’ultimo giorno dovrebbe essere uno solo, non tanti come quelli che ha vissuto
lui.
I suoi primi ultimi giorni li ricorda poco, persi nel sole
dell’estate, pieni di nostalgia e di senso di liberazione. Seguiti da stagioni afose
lunghe un anno, interminabili, a scandire i tempi dell’infanzia e
dell’adolescenza. Non ha mai sopportato gli addii, quindi gli ultimi giorni, da
questo punto di vista, ha sempre avuto la tendenza a rimuoverli.
Pensa ai visi indistinti di compagni persi nel tempo, alcuni
più fortunati di lui, altri meno, alcuni probabilmente scomparsi per sempre,
visto che non è più un ragazzino.
A volte confonde queste sensazioni con quelle degli addii
dopo altri periodi, dopo una vacanza, ad esempio, o dopo qualche anno di
università con persone divenute familiari, a volte amici, che vanno per la loro strada.
Poi ripensa agli ultimi giorni di scuola dei suoi alunni,
quando lui a volte portava un piccolo gelato a tutti, se aveva poche classi,
oppure quando distribuiva i compiti per le vacanze. E subito la protesta
esplodeva, perché 200 esercizi erano tanti, tutte quelle pagine da leggere
troppe, che erano vacanze e non un periodo di scuola, che erano stanchi, che
faceva caldo, che dovevano andare con i genitori in giro e non avevano tempo, e
che lui invece non faceva nulla e loro dovevano lavorare.
Poi un pochino si calmavano, quando cominciava a spiegare
che 200 esercizi non erano obbligatori per tutti; le ragazze dovevano svolgere
solo i primi 100, i ragazzi quelli successivi (lavoro già dimezzato in pochi
secondi, non male, no?). Poi iniziava a chiamarli uno per uno ed era ancora più
preciso. Tu Andrea mi farai solo i multipli di 2, tu Federica i multipli di 3,
tu Riccardo, che non sei stato zitto tutto l’anno, 3 sì e 2 no. E così sino
alla fine dell’elenco della classe. La scelta non era dovuta al caso, ovviamente,
ma spiegava che quelli che avevano più difficoltà dovevano cercare di fare un po’
di più, un pochino, per poi ricominciare l’anno nuovo maggiormente sicuri. E gli
altri invece potevano ridurre il lavoro, ma anche no se volevano approfondire oltre
quanto assegnato, e che lui ne avrebbe tenuto conto, quando si sarebbero
rivisti, dopo qualche mese.
Alla fine semplicemente lo scopo era non far addormentare le
loro intelligenze fresche e pronte ad imparare e a ricordare, spugne che
avrebbero portato per tutta la vita alcune nozioni nelle loro menti e le
avrebbero recuperate senza neppure rendersene conto in caso di necessità,
capaci di far calcoli mentali veloci senza usare la calcolatrice, o di non
cascare in banali trucchi matematici.
E poi gli tornano alla mente i suoi ultimi giorni di scuola,
quelli dei saluti ai colleghi, delle cene, degli abbracci, del pensiero a chi
andrà altrove, o in pensione. Le cose sono cambiate negli anni, quanta inutile
burocrazia, quanti progetti formali, quanti tentativi di distaccare le persone dal
loro ruolo, come se ruolo e persona non fosse un’unità indissolubile. Per fortuna
le persone superano il ruolo, vanno oltre, anche quando si vorrebbe l’opposto. L’ottusità
alla fine cade sotto i colpi dell’ironia, e si salva solo chi ha mostrato
umanità.
I suoi ultimi giorni ora sono solo quello, le persone, con la
loro debolezza e la loro disponibilità. Gli altri sono spariti, o diventati
macchiette da deridere ricordandoli.
Gli ultimi giorni di scuola alla fine sono stati solo l’inizio
delle estati in arrivo, è questo quello che conta, e non crede sia possibile vederla
diversamente.
l'immagine usata è di Focus Junior
Silvano
C.©
( La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)
bellissimo, da non perdere, come non è andata persa la dolcezza del ricordo di chi ha raccontato e sicuramente, e maggiormente di chi ha ricevuto quelle attenzioni che diventeranno con il tempo leggenda.. Un lavoro che diventa il ricordo di tanti è quasi l'eternità. Narcisa
RispondiEliminaoggi arriva l'estate astronomica, Narcisa...e rimane il ricordo di tante estati...
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