Da piccolo mio figlio credeva che fossi un
falegname.
Ancora oggi io credo che fare il falegname sia
uno dei mestieri più belli, e quindi è un peccato che io non lo sia stato
veramente, o forse è proprio questo non esserlo stato che mi fa sembrare questa
nobilissima arte (che va oltre il mestiere) come tanto desiderabile.
Ovviamente idealizzo, non metto in conto la
ripetitività, le difficoltà, la fatica, e penso solo all’aspetto creativo. Magari
fosse così, e ogni lavoro permettesse di essere liberi, veramente liberi, pur
rispettando le necessarie indicazioni e regole. Fosse vero non esisterebbero
oggetti prodotti in serie tutti uguali tra loro, ognuno sarebbe un pezzo unico,
e solo le macchine ci darebbero telefoni tutti identici, sedie indistinguibili
e auto che si confondono una con l’altra, tanto da farci sbagliare, a volte,
nel riconoscere la nostra.
Sarebbe una cosa nuova, oppure un ritorno ad un
passato non troppo lontano, meno ossessivamente ed ansiosamente spinto alla
velocità ed alla superficialità. Da una catena di montaggio uscirebbero televisori
“creativi”, ognuno con qualche particolare diverso o con un telecomando dotato
di personalità. Ad esempio questo potrebbe decidere che siamo troppo stupidi
per una certa trasmissione, e valutare che invece dovremmo prima capire meglio
alcuni argomenti, trattati in altri programmi. Non male, no?.
Ma non posso distrarmi troppo, ed applicare,
letteralmente, anche in questo caso mentre scrivo, l’anarchia che mi fa andare
alla deriva.
Parlavo del falegname perché vorrei esserlo ogni
volta che vedo un oggetto di legno ben costruito, che rispetta la materia viva
del quale è composto, che si fa accarezzare come un gatto che ci concede il
privilegio. Dimentico quanti telai di finestre o mobiletti in serie è costata
quella libertà, o la difficoltà di avere quel tempo e quel lavoro. E dimentico
che pure io, con gli anni, ho smesso di costruire tanti oggetti, che non sono
tanto abile come vorrei, e che per ottenere certi risultati, oltre a talento e
creatività, servono anche spazi e strumenti, cioè attrezzature.
Mi vien ancora da sorridere quando penso alla
faccia ammirata di un collega al mio annuncio che avevo finito il mio piano di
lavoro. Lui pensava alla programmazione annuale, cioè ad un documento, io
invece gli stavo dicendo che avevo costruito un tavolo, robusto, in cantina,
sul quale poi avrei potuto lavorare con trapano, martello, levigatrice e sega a
nastro. Rimase stupito quando gli spiegai che aveva capito male, colpa dell’ambiguità
di certe parole. Eppure il legno, ancora
oggi, mi affascina, e sono convinto che il mondo abbia perso molto quando mi ha
indirizzato verso altre strade.
Mi restano ancora molte cose da costruire,
tenute da parte per anni, in qualche spazio della mente che contiene tutte le
cose da fare, i progetti che aspettano solo di essere realizzati: un puzzle ad
incastro, una scatola tornita, magari in melo, una vetrinetta, piccola, un
teatrino con il sipario, le quinte ed il fondale, tanti attrezzi da cucina, ed
una replica della poltrona di emergenza, quella di Le Corbusier, in multistrato
marino da 25 mm, ma senza viti, solo ad incastro, esattamente come l’aveva
immaginata lui.
Silvano C.©
(La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)
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