lunedì 20 febbraio 2017

tabù




Mi spiace. Non leggere se non vuoi. Io devo scriverlo, ne sento il bisogno, ma tu non hai il dovere di leggere. A me basta averlo scritto.

Senta, arrivati a questo punto non possiamo più fare molto per lei. Io pensavo di affidarla alle cure palliative.

In settimana organizziamo un incontro a casa vostra. Ci sarà il vostro medico curante, l’infermiera del centro ed una dottoressa, sempre del centro.

Ecco, noi le diamo questa cartella, con le terapie da seguire. E poi questo contenitore con i medicinali dovreste tenerlo a disposizione (Tra i medicinali è presente la morfina). Noi verremo varie volte durante la settimana. Per ogni problema siamo reperibili sempre o noi o il personale di turno.

Posso parlale in modo diretto? Lo sa vero che non le rimane molto? In che senso, quanto esattamente? Nessuno può dirlo, ma poco, pochi mesi, forse meno.

Va bene, ho capito. Io devo seguire queste terapie per mantenere sotto controllo il dolore, ma non è che devo morire domani, no?

Senta. Mi spiace doverla fermare per strada, visto che la vedo. Ma lei ha capito la situazione? Lo sa vero che si sta lentamente spegnendo?

Sarebbe il caso che veniste per un breve incontro al centro. Dobbiamo parlare. Dovete capire come stanno le cose.

Io so che non va bene. Però vorrei sperare che queste cure servano non solo in modo palliativo, ma anche per darle di nuovo la forza e la resistenza per affrontare cure più serie, che curino almeno in parte la malattia. Io ho bisogno di sapere che si sta lottando ancora. Mi serve.

Ma lei ha triturato anche queste. Queste non vanno triturate, sono a lento rilascio, e vanno deglutite intere. Quante gocce di morfina ha preso poi?

Noi possiamo venire al bisogno, ma non siamo in grado di anticipare l’ora. Dipende dalle urgenze e dalla situazione giorno per giorno.

Il dolore come va? Aumentiamo la dose o restiamo a quella che ci hanno segnato? Ci hanno consigliato un cerotto, che dura tre giorni, così non serve deglutire compresse dure e grosse, che spesso ti vanno di traverso.

Non lo voglio quel cerotto. Mi vengono le allucinazioni. Mi sembra di avere gli incubi da sveglia. Va bene. Allora noi non diciamo nulla, e da domani, quando scade, ritorniamo alla vecchia terapia. Se poi si arrabbiano fa lo stesso.

Mi spiace. Ma nel suo caso questo non possiamo fornirlo. La sua speranza di vita non lo giustifica. Se vuole può ottenere un assegno di accompagnamento. Ho capito. Ma per l’assegno serve che lei firmi quella carta? Certo, serve la sua firma. Allora no, grazie. Non è giusto. Lei ci tiene alla sua patente, e se viene dichiarata inabile perde la patente di guida. È vero che da molti mesi non guida, ma io non voglio.

Usciamo, oggi. Andiamo al mercatino. Usiamo la carrozzina. Almeno l’abbiamo presa per un motivo, no?

Buoni quei dolci, vero? E poi è stato piacevole fare un giro in centro, mi pare.

Se volete lei può essere ospitata nella nostra struttura. Verrebbe seguita e ci sarebbe posto pure per i familiari. No grazie. Perché non dovrebbe restare a casa sua?

Noi le ordiniamo l’ossigeno. Potrebbe servire per facilitarle la respirazione. Ma la bombola è pesantissima. Come la sposto?  Forse ho trovato una soluzione. Ho comprato un carrellino di quelli con la borsa per la spesa. Tolta la borsa il carrellino è perfetto per portare la bombola.

Le parole non dette, lasciate solo intuire, perché nessuno sa come dirle, sono semplici e brutali. Noi la possiamo solo accompagnare verso la morte. Possiamo controllare il dolore e tenerla sempre più sedata. Se dorme è meglio.

Tutto poi precipita, in modo rapidissimo. L’aiuto a mettersi a letto (lei rifiuta l’aiuto dell’infermiera). Poche ore e si addormenta. Quando la chiamo non risponde. Quando lui esce non lo saluta. La richiamo ancora e muove una mano per toccarsi i capelli. Altre poche ore e, il mattino dopo, se ne va. Io me lo aspettavo e non lo sapevo. Poi cerco di prepararla, in qualche modo. Lei mi sorride, in modo un po’ ironico, sembra mi prenda in giro. E ogni cosa in seguito prende la strada obbligata della burocrazia e delle scelte finali. 
Io rimando al massimo il momento dell’ultimo saluto.

E ogni cosa finisce. Gli ultimi regali mai dati. Le feste incombenti non più feste. Le cose che non voglio spostare. E le mille parole non dette, i gesti non fatti, le sfuriate inutili, le speranze sfumate. La morte non ha pietà. O forse sì.



                                                                                           Silvano C.©  
 (La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)

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