Senta,
arrivati a questo punto non possiamo più fare molto per lei. Io pensavo di
affidarla alle cure palliative.
In
settimana organizziamo un incontro a casa vostra. Ci sarà il vostro medico
curante, l’infermiera del centro ed una dottoressa, sempre del centro.
Ecco,
noi le diamo questa cartella, con le terapie da seguire. E poi questo
contenitore con i medicinali dovreste tenerlo a disposizione (Tra i medicinali
è presente la morfina). Noi verremo varie volte durante la settimana. Per ogni
problema siamo reperibili sempre o noi o il personale di turno.
Posso
parlale in modo diretto? Lo sa vero che non le rimane molto? In che senso,
quanto esattamente? Nessuno può dirlo, ma poco, pochi mesi, forse meno.
Va
bene, ho capito. Io devo seguire queste terapie per mantenere sotto controllo
il dolore, ma non è che devo morire domani, no?
Senta.
Mi spiace doverla fermare per strada, visto che la vedo. Ma lei ha capito la
situazione? Lo sa vero che si sta lentamente spegnendo?
Sarebbe
il caso che veniste per un breve incontro al centro. Dobbiamo parlare. Dovete capire
come stanno le cose.
Io
so che non va bene. Però vorrei sperare che queste cure servano non solo in
modo palliativo, ma anche per darle di nuovo la forza e la resistenza per
affrontare cure più serie, che curino almeno in parte la malattia. Io ho
bisogno di sapere che si sta lottando ancora. Mi serve.
Ma
lei ha triturato anche queste. Queste non vanno triturate, sono a lento
rilascio, e vanno deglutite intere. Quante gocce di morfina ha preso poi?
Noi
possiamo venire al bisogno, ma non siamo in grado di anticipare l’ora. Dipende dalle
urgenze e dalla situazione giorno per giorno.
Il
dolore come va? Aumentiamo la dose o restiamo a quella che ci hanno segnato? Ci
hanno consigliato un cerotto, che dura tre giorni, così non serve deglutire
compresse dure e grosse, che spesso ti vanno di traverso.
Non
lo voglio quel cerotto. Mi vengono le allucinazioni. Mi sembra di avere gli
incubi da sveglia. Va bene. Allora noi non diciamo nulla, e da domani, quando
scade, ritorniamo alla vecchia terapia. Se poi si arrabbiano fa lo stesso.
Mi
spiace. Ma nel suo caso questo non possiamo fornirlo. La sua speranza di vita
non lo giustifica. Se vuole può ottenere un assegno di accompagnamento. Ho capito.
Ma per l’assegno serve che lei firmi quella carta? Certo, serve la sua firma. Allora
no, grazie. Non è giusto. Lei ci tiene alla sua patente, e se viene dichiarata
inabile perde la patente di guida. È vero che da molti mesi non guida, ma io
non voglio.
Usciamo,
oggi. Andiamo al mercatino. Usiamo la carrozzina. Almeno l’abbiamo presa per un
motivo, no?
Buoni
quei dolci, vero? E poi è stato piacevole fare un giro in centro, mi pare.
Se
volete lei può essere ospitata nella nostra struttura. Verrebbe seguita e ci
sarebbe posto pure per i familiari. No grazie. Perché non dovrebbe restare a
casa sua?
Noi
le ordiniamo l’ossigeno. Potrebbe servire per facilitarle la respirazione. Ma la
bombola è pesantissima. Come la sposto? Forse
ho trovato una soluzione. Ho comprato un carrellino di quelli con la borsa per
la spesa. Tolta la borsa il carrellino è perfetto per portare la bombola.
Le
parole non dette, lasciate solo intuire, perché nessuno sa come dirle, sono
semplici e brutali. Noi la possiamo solo accompagnare verso la morte. Possiamo
controllare il dolore e tenerla sempre più sedata. Se dorme è meglio.
Tutto
poi precipita, in modo rapidissimo. L’aiuto a mettersi a letto (lei rifiuta l’aiuto
dell’infermiera). Poche ore e si addormenta. Quando la chiamo non risponde. Quando
lui esce non lo saluta. La richiamo ancora e muove una mano per toccarsi i
capelli. Altre poche ore e, il mattino dopo, se ne va. Io me lo aspettavo e non
lo sapevo. Poi cerco di prepararla, in qualche modo. Lei mi sorride, in modo un
po’ ironico, sembra mi prenda in giro. E ogni cosa in seguito prende la strada
obbligata della burocrazia e delle scelte finali.
Io rimando al massimo il momento dell’ultimo saluto.
Io rimando al massimo il momento dell’ultimo saluto.
E
ogni cosa finisce. Gli ultimi regali mai dati. Le feste incombenti non più
feste. Le cose che non voglio spostare. E le mille parole non dette, i gesti
non fatti, le sfuriate inutili, le speranze sfumate. La morte non ha pietà. O forse
sì.
Silvano C.©
(La
riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte,
grazie)
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