Pratico medicina ufficiale e creativa, mi tengo aggiornato e fornisco ai miei pazienti ogni cura possibile. Non mi spaventa l’agopuntura, accetto l’omeopatia, mi va bene anche chi per curare utilizza l’olio, i piattini o i fondi del caffè. Capisco che qualche mio collega potrebbe attaccarmi, e che sicuramente pochi mi comprendono veramente, ma io prima di tutto ascolto, e poi decido la via giusta da seguire. Senza escluderne nessuna e sapendo che, ad essere onesto, io non potrò mai vincere tutte le battaglie e alla fine perderò pure la guerra.
Quando vedo che qualcuno ha la forza per curarsi da solo, che ha forti difese psicologiche, fisiche, immunologiche e anche culturali, cerco di affiancarmi. Se trovo resistenze cerco di ragionare, e convincere. Davanti a chi ha perso le speranze tento di trovare aspetti che possono consolare e restituire dignità, e qualche spiraglio.
Non ho scoperto nulla se dico che alcune medicine sono semplici placebo, che curano solo alcuni sintomi ma non aggrediscono il male, e che tuttavia, incredibilmente, ottengono risultati superiori alle attese. Io lo so, ma non lo sa il mio paziente. Sono disonesto se racconto solo parte delle verità? Probabilmente sì.
In realtà non ho molte certezze, una di queste è la convinzione che io debba ottenere la fiducia di chi curo, e che in tal modo le medicine che propongo iniziano ad agire ancora prima di essere somministrate.
Forse è questo che, per ora, mi fa avere tanti malati nella mia sala di attesa. Ma sono persone, non pazienti. Sono persone e non numeri. Già eliminare o ridimensionare la matematica rivalutando altri aspetti è una buona cosa.
Ciao, Viz.
Silvano C.©
(La riproduzione è riservata ma non c'è nessun
problema se si cita la fonte, grazie)
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