Avvertì prima un sapore strano in bocca,
ma non aveva mangiato nulla da diverse ore, e poi un fastidio crescente a stare
tra la gente: parlavano tutti a voce altissima, urlavano.
Telefonò a casa per chiedere se la
moglie veniva prima a dargli il cambio nella rivendita di giornali posta
all’incrocio tra la Seconda strada e corso Libertà.
Neppure dopo dieci minuti violenti
attacchi di vomito lo costrinsero a piegarsi in due dal dolore, e quindi dallo
stomaco, passando dall’esofago ed infine dalla bocca gli uscì tutto quanto
aveva consumato al mattino, creando dentro il gabbiotto che era il suo spazio
di lavoro una pozzanghera puzzolente. Rimase più stupito ed impaurito dal
colore strano del suo vomito che non dal fatto di aver rimesso senza alcun apparente
motivo, e la moglie lo trovò in quello stato pietoso quando arrivò.
Lei lo fece sedere fuori, in strada,
all’ombra, mentre puliva e gettava nella spazzatura quello che aveva raccolto,
buttando poi sulla pedana interna dell’edicola un disinfettante profumato.
Fuori il giornalaio si riprese dal
fastidio allo stomaco, ma non gli passò il cattivissimo sapore in bocca e si
rese conto di avvertire sempre più alto il tono di voce delle persone
che passavano, magari distanti decine di metri da lui.
Quando si sentì un po’ meglio, e la
moglie vide che aveva ripreso un po’ di colore naturale, si azzardò ad andare
verso casa da solo. La strada da fare era poca, due soli isolati, nemmeno un
chilometro, e si sarebbe steso a letto, a vedere se il malessere gli passava.
Due settimane dopo la situazione era
ancora la stessa. Il mattino si sentiva male poi puntualmente vomitava, sia
che avesse mangiato sia che fosse a digiuno, e il sapore cattivo in bocca non lo
lasciava più. Non avvertiva più alcun piacere mangiando cose che prima lo
attiravano molto. La cosa che era sicuramente peggiorata era il fastidio
crescente che ormai provava al suono delle voci umane, che gli arrivava a
volumi altissimi, ormai insopportabili. Anche la moglie, unica persona a
condividere con lui l’appartamento, visto che erano senza figli, doveva
bisbigliare per non creargli fastidio. Lo specialista visto pochi giorni prima
non si era sbilanciato con loro esprinendo una diagnosi, esattamente come del resto aveva fatto il medico di
famiglia consultato subito dopo i primi sintomi. Lo specialista aveva solo
usato la parola “sindrome”, a significare che la cosa era complessa e non ci
capiva nulla, cioè non aveva scoperto per quale motivo i sintomi si
presentavano in quel modo e da cosa dipendevano.
L’edicolante aveva iniziato di nuovo
ad uscire di casa, dopo aver vomitato in casa la solita inspiegabile poltiglia della quale
aveva rinunciato a pensare alle possibili cause, per ora, in attesa degli
accertamenti ai quali si era sottoposto. Aveva capito che dopo l’attacco
violento allo stomaco per il resto della giornata poteva fare praticamente le
cose di prima, salvo assaporare un cioccolatino o un pezzetto di pane
croccante. L’unico sapore che aveva in bocca era quello amaro e putrido, di
pianta medicinale forse, o di carne andata a male, e non c’era modo di
eliminarlo. Per le orecchie aveva iniziato a mettere tappi, prima comprati in
farmacia, e poi costruiti in casa da solo, semplicissimi, con cera vergine fusa
e poi rimodellata a formare dei morbidi coni tronchi che infilava a fondo nel
condotto uditivo esterno sino a sigillarlo, ed abbattendo praticamente ogni
suono, riuscendo talvolta sentire così il suo stesso battito cardiaco.
Malgrado questo espediente, che per
alcuni giorni sembrò dargli sollievo, poco a poco si rese conto che riusciva ad
udire ugualmente ancora le parole delle persone, e, stranissimo, senza che
questi aprissero la bocca o pronunciassero fisicamente le parole.
Togliendo i tappi, perché ovviamente
fece vari esperimenti, gli tornava il rumore infernale delle urla di tutti
coloro che lo attorniavano nel raggio di quasi un centinaio di metri. Se
entrava in un palazzo molto alto sentiva quello che dicevano sino a vari piani
sopra o sotto quello nel quale si trovava, ma rimettendo i tappi il caos di
parole gli arrivava in sordina, e non erano più le parole, ormai lo aveva
capito, erano i pensieri.
Le analisi cliniche e le visite
specialistiche continuavano a dare esito negativo, aveva trascorso solo pochi
giorni in day-hospital, ma i posti nelle strutture ospedaliere erano preziosi,
lui non peggiorava, non era infettivo, e tutto sommato poteva condurre una vita
quasi normale, quindi poco a poco i
medici persero interesse per la sua sindrome, e questa rimase una curiosità scientifica e nulla più, destinata ad essere
dimenticata. Rimase una curiosità senza seguito tuttavia perché lui per primo
giudicò inutile e controproducente spiegare il quarto e più importante sintomo
di quella stranezza che lo aveva colpito e cioè la capacità che aveva acquisito
di ascoltare i pensieri.
La sua giornata tipo, ad oltre sei
mesi da quel primo malessere, si era stabilizzata e il giornalaio aveva trovato
un equilibrio che gli aveva permesso di riprendere il lavoro, apparentemente
senza mutamenti esteriori. Il mattino la moglie andava all’edicola, lui restava
a casa, e dopo aver vomitato in bagno si ripuliva, mangiava qualcosa ed andava
a sostituirla. Teneva quasi costantemente i tappi nelle orecchie. Si era
allenato ed era diventato bravissimo a non ascoltare i pensieri che non lo
interessavano direttamente. Ora era in grado di leggere nella mente solo di
coloro che aveva di fronte e vedeva fisicamente. Neppure lui aveva capito come,
ma era riuscito ad escludere la massa, ed a fissarsi su una persona per
volta o su un gruppo di persone che parlavano tra loro.
Aveva letto i pensieri della moglie,
curioso e con sensi di colpa da guardone, scoprendo un paio di suoi amori
segreti ed un tradimento non del tutto volontario e comunque ormai passato. Vi
aveva letto delle sue insoddisfazioni, del non sentirsi più bella e desiderata
come un tempo, della pietà per quel marito che ora un po’ le pesava, ma che non
voleva lasciare, perché era tutto sommato un brav’uomo, con molti difetti, ma
non peggio di altri, e che a modo suo le voleva bene, anche se non abbastanza.
Si era sentito giudicato in modo crudo ma giusto. E da quel momento aveva
iniziato a prestare attenzione ad alcuni particolari che sino ad allora aveva ignorato, o che
aveva solo dimenticato. Ed il rapporto con la
moglie, anche grazie ai suoi fastidi sempre più sopportabili, iniziò a migliorare, e
lei riprese a sorridere, come non faceva da anni.
Smise di frequentare alcuni amici,
adducendo sempre nuove scuse o motivazioni solo in parte plausibili, concluse
alcuni buoni affari con la compravendita di piccoli oggetti di antiquariato, un
suo vecchio hobby sino ad allora occasione solo di spese, e stabilizzò la sua
situazione finanziaria entrando come socio in una cooperativa libraria che,
unica in tutto il quartiere, riusciva, grazie ad alcune sue felici “intuizioni”
a proporre sempre libri nuovi o improbabili ma in fondo attesi, che stimolavano
chi passava per caso davanti alle vetrine della libreria e spesso facevano
varcare la soglia di quell’ambiente che presto divenne troppo angusto per la
clientela che aveva iniziato a frequentarla.
Il giornalaio e sua moglie
vendettero presto l’edicola e la licenza della rivendita di giornali posta
all’incrocio tra la Seconda strada e corso Libertà con un ottimo guadagno,
perché era ben avviata ed era in una buona posizione. La moglie, spinta dal marito,
iniziò a scrivere un libro. Lui, trascorsa la mattina in casa con lei, si
recava ogni pomeriggio nella libreria cooperativa, a consigliare ad ogni
cliente il libro giusto, trattando tutti in modo speciale.
L’ormai ex giornalaio aveva anche
pensato di utilizzare meglio lo strano potere che gli era capitato, ma poco a
poco, prima che potesse realizzare questo proposito, smise di vomitare e il cattivo sapore sparì, e questo secondo sintomo di
punto in bianco. Un giorno si alzò con la lingua normale e nessun sapore in bocca, con
lo stomaco rilassato, con un silenzio assordante nella testa, e, quando tolse i
tappi, si trovò immerso in un normale rumore di vita domestica: passi, interruttore, radio in
sottofondo, vicini che parlavano e le loro voci attenuate che arrivavano attraverso le finestre aperte del balcone.
Guardando sua moglie non percepì i suoi pensieri con la mente, ma solo con gli
occhi e col cuore.
Il pomeriggio, in libreria, malgrado
le paure che gli erano aumentate ad ogni passo che lo aveva portato lì da casa
sua, si ritrovò di nuovo in un ambiente a sua misura. Alla
prima cliente che si avvicinò a lui diede il consiglio giusto, leggendole
ancora dentro ma in modo diverso ora. Era nato per essere un libraio, non un
giornalaio, e ne aveva fatto una malattia, o meglio, una sindrome, ma poi ne
era uscito.
(Il
mio grazie a Saramago, al quale mi sono principalmente ed indegnamente
ispirato. Sono consapevole di aver
abusato anche solo del suo nome, e ti consiglio di leggere i suoi libri,
milioni di volte meglio di questo blog. Un mio grazie inoltre ad Alessia Franco per quello che ha scritto nell'agosto 2012 qui: http://www.dipalermo.it/2012/08/06/quando-il-piccolo-libraio-diventa-il-tuo-psicologo/ . Io cercavo una bella foto di libreria da rubare, ed ho trovato il suo post. Leggi pure quello)
Alessia
Franchttp://www.dipalermo.it/2012/08/06/quando-il-piccolo-libraio-diventa-il-tuo-psicologo/ )
Silvano C.©
( La riproduzione è riservata. Ma non c'è nessun problema se si cita la fonte. Grazie)
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