martedì 29 ottobre 2013

Sindrome


Avvertì prima un sapore strano in bocca, ma non aveva mangiato nulla da diverse ore, e poi un fastidio crescente a stare tra la gente: parlavano tutti a voce altissima, urlavano.
Telefonò a casa per chiedere se la moglie veniva prima a dargli il cambio nella rivendita di giornali posta all’incrocio tra la Seconda strada e corso Libertà.
Neppure dopo dieci minuti violenti attacchi di vomito lo costrinsero a piegarsi in due dal dolore, e quindi dallo stomaco, passando dall’esofago ed infine dalla bocca gli uscì tutto quanto aveva consumato al mattino, creando dentro il gabbiotto che era il suo spazio di lavoro una pozzanghera puzzolente. Rimase più stupito ed impaurito dal colore strano del suo vomito che non dal fatto di aver rimesso senza alcun apparente motivo, e la moglie lo trovò in quello stato pietoso quando arrivò.
Lei lo fece sedere fuori, in strada, all’ombra, mentre puliva e gettava nella spazzatura quello che aveva raccolto, buttando poi sulla pedana interna dell’edicola un disinfettante profumato.
Fuori il giornalaio si riprese dal fastidio allo stomaco, ma non gli passò il cattivissimo sapore in bocca e si rese conto di avvertire sempre più alto il tono di voce delle persone che passavano, magari distanti decine di metri da lui.
Quando si sentì un po’ meglio, e la moglie vide che aveva ripreso un po’ di colore naturale, si azzardò ad andare verso casa da solo. La strada da fare era poca, due soli isolati, nemmeno un chilometro, e si sarebbe steso a letto, a vedere se il malessere gli passava.

Due settimane dopo la situazione era ancora la stessa. Il mattino si sentiva male poi puntualmente vomitava, sia che avesse mangiato sia che fosse a digiuno, e il sapore cattivo in bocca non lo lasciava più. Non avvertiva più alcun piacere mangiando cose che prima lo attiravano molto. La cosa che era sicuramente peggiorata era il fastidio crescente che ormai provava al suono delle voci umane, che gli arrivava a volumi altissimi, ormai insopportabili. Anche la moglie, unica persona a condividere con lui l’appartamento, visto che erano senza figli, doveva bisbigliare per non creargli fastidio. Lo specialista visto pochi giorni prima non si era sbilanciato con loro esprinendo una diagnosi, esattamente come del resto aveva fatto il medico di famiglia consultato subito dopo i primi sintomi. Lo specialista aveva solo usato la parola “sindrome”, a significare che la cosa era complessa e non ci capiva nulla, cioè non aveva scoperto per quale motivo i sintomi si presentavano in quel modo e da cosa dipendevano.

L’edicolante aveva iniziato di nuovo ad uscire di casa, dopo aver vomitato in casa la solita inspiegabile poltiglia della quale aveva rinunciato a pensare alle possibili cause, per ora, in attesa degli accertamenti ai quali si era sottoposto. Aveva capito che dopo l’attacco violento allo stomaco per il resto della giornata poteva fare praticamente le cose di prima, salvo assaporare un cioccolatino o un pezzetto di pane croccante. L’unico sapore che aveva in bocca era quello amaro e putrido, di pianta medicinale forse, o di carne andata a male, e non c’era modo di eliminarlo. Per le orecchie aveva iniziato a mettere tappi, prima comprati in farmacia, e poi costruiti in casa da solo, semplicissimi, con cera vergine fusa e poi rimodellata a formare dei morbidi coni tronchi che infilava a fondo nel condotto uditivo esterno sino a sigillarlo, ed abbattendo praticamente ogni suono, riuscendo talvolta sentire così il suo stesso battito cardiaco.

Malgrado questo espediente, che per alcuni giorni sembrò dargli sollievo, poco a poco si rese conto che riusciva ad udire ugualmente ancora le parole delle persone, e, stranissimo, senza che questi aprissero la bocca o pronunciassero fisicamente le parole.
Togliendo i tappi, perché ovviamente fece vari esperimenti, gli tornava il rumore infernale delle urla di tutti coloro che lo attorniavano nel raggio di quasi un centinaio di metri. Se entrava in un palazzo molto alto sentiva quello che dicevano sino a vari piani sopra o sotto quello nel quale si trovava, ma rimettendo i tappi il caos di parole gli arrivava in sordina, e non erano più le parole, ormai lo aveva capito, erano i pensieri.

Le analisi cliniche e le visite specialistiche continuavano a dare esito negativo, aveva trascorso solo pochi giorni in day-hospital, ma i posti nelle strutture ospedaliere erano preziosi, lui non peggiorava, non era infettivo, e tutto sommato poteva condurre una vita quasi normale, quindi poco a poco i medici persero interesse per la sua sindrome, e questa rimase una curiosità scientifica e nulla più, destinata ad essere dimenticata. Rimase una curiosità senza seguito tuttavia perché lui per primo giudicò inutile e controproducente spiegare il quarto e più importante sintomo di quella stranezza che lo aveva colpito e cioè la capacità che aveva acquisito di ascoltare i pensieri.

La sua giornata tipo, ad oltre sei mesi da quel primo malessere, si era stabilizzata e il giornalaio aveva trovato un equilibrio che gli aveva permesso di riprendere il lavoro, apparentemente senza mutamenti esteriori. Il mattino la moglie andava all’edicola, lui restava a casa, e dopo aver vomitato in bagno si ripuliva, mangiava qualcosa ed andava a sostituirla. Teneva quasi costantemente i tappi nelle orecchie. Si era allenato ed era diventato bravissimo a non ascoltare i pensieri che non lo interessavano direttamente. Ora era in grado di leggere nella mente solo di coloro che aveva di fronte e vedeva fisicamente. Neppure lui aveva capito come, ma era riuscito ad escludere la massa, ed a fissarsi su una persona per volta o su un gruppo di persone che parlavano tra loro.

Aveva letto i pensieri della moglie, curioso e con sensi di colpa da guardone, scoprendo un paio di suoi amori segreti ed un tradimento non del tutto volontario e comunque ormai passato. Vi aveva letto delle sue insoddisfazioni, del non sentirsi più bella e desiderata come un tempo, della pietà per quel marito che ora un po’ le pesava, ma che non voleva lasciare, perché era tutto sommato un brav’uomo, con molti difetti, ma non peggio di altri, e che a modo suo le voleva bene, anche se non abbastanza. Si era sentito giudicato in modo crudo ma giusto. E da quel momento aveva iniziato a prestare attenzione ad alcuni particolari che sino ad allora aveva ignorato, o che aveva solo dimenticato. Ed il rapporto con la moglie, anche grazie ai suoi fastidi sempre più sopportabili, iniziò a migliorare, e lei riprese a sorridere, come non faceva da anni.

Smise di frequentare alcuni amici, adducendo sempre nuove scuse o motivazioni solo in parte plausibili, concluse alcuni buoni affari con la compravendita di piccoli oggetti di antiquariato, un suo vecchio hobby sino ad allora occasione solo di spese, e stabilizzò la sua situazione finanziaria entrando come socio in una cooperativa libraria che, unica in tutto il quartiere, riusciva, grazie ad alcune sue felici “intuizioni” a proporre sempre libri nuovi o improbabili ma in fondo attesi, che stimolavano chi passava per caso davanti alle vetrine della libreria e spesso facevano varcare la soglia di quell’ambiente che presto divenne troppo angusto per la clientela che aveva iniziato a frequentarla.

Il giornalaio e sua moglie vendettero presto l’edicola e la licenza della rivendita di giornali posta all’incrocio tra la Seconda strada e corso Libertà con un ottimo guadagno, perché era ben avviata ed era in una buona posizione. La moglie, spinta dal marito, iniziò a scrivere un libro. Lui, trascorsa la mattina in casa con lei, si recava ogni pomeriggio nella libreria cooperativa, a consigliare ad ogni cliente il libro giusto, trattando tutti in modo speciale.

L’ormai ex giornalaio aveva anche pensato di utilizzare meglio lo strano potere che gli era capitato, ma poco a poco, prima che potesse realizzare questo proposito, smise di vomitare e il cattivo sapore sparì, e questo secondo sintomo di punto in bianco. Un giorno si alzò con la lingua normale e nessun sapore in bocca, con lo stomaco rilassato, con un silenzio assordante nella testa, e, quando tolse i tappi, si trovò immerso in un normale rumore di vita domestica: passi, interruttore, radio in sottofondo, vicini che parlavano e le loro voci attenuate che arrivavano attraverso le finestre aperte del balcone. Guardando sua moglie non percepì i suoi pensieri con la mente, ma solo con gli occhi e col cuore.

Il pomeriggio, in libreria, malgrado le paure che gli erano aumentate ad ogni passo che lo aveva portato lì da casa sua, si ritrovò di nuovo in un ambiente a sua misura. Alla prima cliente che si avvicinò a lui diede il consiglio giusto, leggendole ancora dentro ma in modo diverso ora. Era nato per essere un libraio, non un giornalaio, e ne aveva fatto una malattia, o meglio, una sindrome, ma poi ne era uscito.



(Il mio grazie a Saramago, al quale mi sono principalmente ed indegnamente ispirato.  Sono consapevole di aver abusato anche solo del suo nome, e ti consiglio di leggere i suoi libri, milioni di volte meglio di questo blog. Un mio grazie inoltre ad Alessia Franco per quello che ha scritto nell'agosto 2012 qui: http://www.dipalermo.it/2012/08/06/quando-il-piccolo-libraio-diventa-il-tuo-psicologo/ . Io cercavo una bella foto di libreria da rubare, ed ho trovato il suo post. Leggi pure quello)


http://www.dipalermo.it/2012/08/06/quando-il-piccolo-libraio-diventa-il-tuo-psicologo/  )

                                                                          Silvano C.©


( La riproduzione è riservata. Ma non c'è nessun problema se si cita la fonte.  Grazie)

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