lunedì 6 febbraio 2017

Béatrice




In un giorno senza tempo, vagando senza sapere esattamente dove andare e che fare, mi ritrovai a passare accanto ad una radura di periferia, l’unica rimasta libera in città per i luna park itineranti e per i circhi.
Aria di smobilitazione, molti spazi vuoti, strutture di metallo già in parte caricate su grossi autocarri.
Da quanto tempo non vado al circo? Da anni. Non ricordo l’ultimo spettacolo visto, o forse sì, ora che ci penso. Ma fu spettacolo senza magia, quella degli anni giovanili. Per ogni cosa c’è il suo tempo.

Una sola tenda stava ancora intatta, accanto ad una roulotte, e sembrava dimenticata. Non molto grande, con l’aspetto di un grosso gazebo a base quadrata chiuso sui tre lati da tessuto pesante a strisce di colori diversi e con una scritta sopra l’unico ingresso, protetto da un telo rosso. Un nome: Béatrice.

Mi avvicinai curioso, perché comunque dovevo passare a pochi metri per proseguire il mio percorso. Sotto il nome a caratteri molto grandi stava, in un angolino, la parola chiromancien, chiromante. Stavo per passare oltre, quando mi sentii chiamare, e la voce veniva da dentro la tenda, senza alcun dubbio.
-        Sì, ti sto aspettando. Entra. -

Rimasi bloccato, convinto però di non aver capito bene. Una donna minuta, di età indefinibile ma certamente sopra i trenta, vestita con jeans fuori moda e una felpa di cotone liso, senza nulla che la facesse sembrare la classica indovina, spostò il telo rosso e mi guardò senza mostrare emozioni. Stava tranquilla, distaccata, anonima e quasi impersonale. Mi ricordava molte persone assieme, e nessuna in particolare.
-        Stupito di come sono vestita? Ti aspettavi una sottana da zingara e un fazzoletto in testa con orecchini e collane e tutto il resto? –
-        Ma veramente no. Io non mi… -
-        Entra! Tra meno di un’ora devo smontare tutto, e poi partiamo. –
-        Scusa, cosa vuol dire entra? Che entro a fare? –
-        Tu vuoi quella risposta e io non intendo parlare qui. –
-        Che risposta? –
-        Entra! –

Ammetto che non ha senso, ma entrai. Buio quasi completo, a parte il chiarore di una piccola candela. E poi gli occhi si adattarono e vidi meglio il tavolino, e due sedie. Mi accomodai dove mi indicava.
-        Io non vedo il tuo futuro. So che vuoi sapere di quello, ma io non lo conosco. Io non racconto favole. –
-        … -
-        Non mi credi, e non sai che ci fai qui. Ti anticipo che quando uscirai mi lascerai la tua offerta. Basteranno 10 Euro, giusto per salvare le apparenze ed i ruoli. Potevo chiederne 100, ma non mi servono. –
-        Scusa, ma… -
-        Sei un pirla, per usare le tue stesse parole. –
La guardai più stupito che offeso.
-        Il tuo futuro non lo conosco ma ti posso dire che tu non sei solo. Non lo sei, oppure lo sei come tanti. Tu piuttosto vuoi essere solo, o restarci. Cerchi pure scuse per dare ad altri la colpa di non cercarti. Però, e lo sai, non rispondi a chi ti cerca, a chi ti scrive, e non fai molto per cercare a tua volta. –
-        Ma come sai che…? -
-        Ora non offendermi. So che hai subito una perdita. So come ti senti. So anche però che gli altri non hanno colpe. E so che hai paura del futuro, che lo vorresti conoscere, e vorresti sicurezze, e che lei tornasse da dove non si torna, e che non accetti il vuoto. Devo continuare con quello che so? –
-        No, non serve. –
-        E ora vuoi che ti dica quello che devi fare o lo capisci da solo? –
-        Forse lo capisco da solo. Grazie. –
-        Allora esci e vai per la tua strada, e prima di uscire lasciami la tua offerta.
Mi alzai, e prima di uscire lasciai 10 Euro sul tavolino. Lei mi guardò e aggiunse:
-        Dimenticavo, il mio vero nome non è Béatrice. Sono rumena, mi chiamo Speranță.

Ritornai sui mie passi e presi la strada del ritorno. Era quella la mia strada? Cioè la mia strada era la strada del ritorno? Rimasi con questa domanda a metà tra lo stupido e la battuta, e poi iniziai a distrarmi vedendo gente e guardandomi attorno.
Arrivai a casa, appoggiai all’appendiabiti il giaccone e misi la mano in tasca per recuperare il cellulare. Lo trovai con una banconota da 10 Euro. Esattamente quella banconota.

Poi, con un dubbio che mi stava venendo, cercai una risposta in alcuni versi di Dante, trovati prendendo spunto da quello che mi era successo, o che avevo creduto mi fosse successo:

Ahi quanto ne la mente mi commossi, 
quando mi volsi per veder Beatrice, 
per non poter veder, benché io fossi 
presso di lei, e nel mondo felice!     

                                                                       Silvano C.©  
 (La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)

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