mercoledì 22 gennaio 2014

Magnagat



I’al ciamava magnagat parchè acsì i’aveva scuminzià a ciamar sò nono, apena al jera arivà. I’jeva che i gat i spariva sal rivava lù.

Vivere in un piccolo paese non lo trovava né bello né brutto, quand’era un ragazzino, era del tutto naturale, tutti lo facevano, tutto il suo mondo, ma ora, quando ci pensava, anche se la nostalgia lo riportava quei luoghi, aveva cambiato idea, e se gli avessero offerto la possibilità di ritornare in quei posti non ci sarebbe più tornato.


Non si torna mai indietro, non si può fare, l’unica scelta possibile è non partire mai. Se si resta il tempo e le cose mutano piano, in modo naturale, ma si conserva tutto, anche quello che con gli anni finisce. Si diventa parte del luogo, memoria storica, paesaggio e ombra. Se si parte è finita. Hai un bel dire ci rivedremo, ci ritroveremo, non ti scorderò mai. Tutto sinceramente falso. Passato il momento del pianto, perché a volte viene anche quel momento, io seguo la mia via, tu segui la tua.
Al bivio ci siamo separati, scelta o caso o imposizione, non c’è differenza. Il cuore è destinato a rimanere spezzato, la mente accetta più o meno in fretta questa cosa, ma a volte proprio non la vuol capire, tuttavia si organizza, e si adatta. Neppure se si muore lì, da teste dure per non andare via, si resta veramente lì.

Pensa tutte queste cose Carlo quando in uno scatolone rimasto per anni nascosto non si sa bene come in soffitta nel suo appartamento dopo l’ultimo trasloco di ormai 25 anni prima, trova un suo vecchissimo quaderno delle elementari, il primo o uno dei primi, con intere pagine piene di puntini allineati, astine, quadratini e cerchietti. Un intero quaderno sottile, con la copertina nera, a quadretti, pieno di simboli e di nessuna cifra o nessuna lettera. Si ricorda della maestra Valdi; da qualche parte deve avere ancora la foto: lui seduto in un banco, lei in posa seria accanto a lui, e sullo sfondo una grande cartina dell’Italia delle Regioni. Quelle regioni erano di colore diverso, ma la foto è in bianco-nero, e ricorda ben poco di quel giorno, anzi, nulla. Ora l’immagine dovrebbe essere leggermente sbiadita, o almeno così gli viene in mente senza esserne sicuro. Nemmeno sa dove sia ora.
Si siede sul piccolo sgabello e si appoggia al muro. Chinarsi con la schiena gli fa male, ed è salito non sa più nemmeno per quale motivo, ma le gambe ancora lo reggono, e così la memoria, per quel poco che gli serve. Dirce lo ha salutato ormai dieci anni prima, dopo una malattia fulminante, non ha quasi sofferto, e si è salvata così dallo strazio del vedersi invecchiare, come tocca a lui, ora. Egoisticamente aveva sperato di andarsene prima lui, ma il destino ha deciso altrimenti. In fondo, alla fine, è felice per lei.
I due figli sono ormai lontani da lui, sia il maschio che la femmina si sono fatti la loro vita, si vedono sempre meno, anche i nipoti sono cresciuti, è passata l’età delle visite ai nonni o al nonno, anche perché vivono lontani, troppo lontani. Seicento chilometri o, peggio, milletrecento. Non ci si può far visita quando si vuole.

Rivede una ragazzina, dei tempi della sua lontana infanzia, quando sicuramente aveva meno di dieci anni, in estate in un cortile di una casa non lontana da quella dove allora abitava mentre la madre o la nonna, ora chi se lo ricorda, la lavava e lei stava in piedi in una bacinella, nuda. Lui allora passava o stava lì, per chissà quale motivo. Ricorda l’emozione e la strana eccitazione provata in quell’occasione. L’episodio non si era più ripetuto alla sua presenza, ma evidentemente non era successo quella volta sola, poiché tutto aveva l’aria di una cosa abituale, ordinaria. Abitava a poche centinaia di metri, ma per la sua età e per la sua libertà di movimento era una distanza quasi insormontabile . E poi ricorda un funerale, avvenuto in quel periodo, o poco prima o poco dopo, di una bambina, che era forse lei, la stessa che aveva visto lavare in quel modo davanti a tutti, facendogli provare quell’emozione mai più provata, o raramente provata con quell’intensità. Tutto si confonde nelle mente, ma in fondo che importa, ora. Allora era morta una bambina, più o meno della sua età, erano andati tutti al funerale, aveva visto la bara ed il carro funebre, quello era successo. Il resto conta poco. Deda, o Neda, quel nome, o soprannome che riaffiora ora era forse il suo?
Ricorda poi che qualche sera, durante la settimana, in quel cortile, da un certo momento in poi, una famiglia piazzava un televisore in alto, su un mobile o alcune casse e tutti, dalle case vicine, venivano a vedere la magia di quella strana scatola da dove personaggi che sarebbero divenuti famosi raccontavano di una vita lontana, bella, possibile per ognuno di loro, e scopriva così comici bravissimi, e ballerine, e cantanti, e, prima di ogni cosa, la presentatrice. Alla fine poi si tornava tutti a casa, dopo aver salutato e ringraziato, riportandosi indietro la sedia con la quale si era venuti per vedere la trasmissione della Televisione Italiana.

Ma se at iè stupid at vanzarà sempar un stupid, sa credat, ad puter far al furb?

No, non era mai stato furbo, Carlo, e le volte che ci aveva provato decisamente era stato tanto ingenuo da farsi scoprire e ridere dietro, e comunque non aveva ottenuto quasi mai nulla. Adesso ne è sempre più convinto. Se fosse rimasto non sarebbe mutato nulla, mentre ogni nuovo passaggio da un luogo ad un altro era stata un’occasione per ricominciare, per annullare dicerie e preconcetti, per rifarsi una verginità sociale e di rapporti.
No, mai più come allora, deriso e trattato da femmina, cercando di avere l’attenzione e l’amicizia di alcuni sempre più bravi di lui, sempre più veloci, o più furbi, o più forti. Adesso Carlo ha capito che per alcuni anni non ha vissuto, non sapeva cosa bisognava fare, credeva che la vita fosse come la descrivevano, come la raccontavano, mentre invece anche gli amici, quelli che allora pensava suoi amici, tali non erano. La cattiveria di un ragazzino o di un bambino può arrivare a tali livelli da risultare inconcepibili per un adulto. Solo in seguito lo avrebbero detto educatori e psicologici, studiosi del comportamento e grandi luminari. Ma tutti lo sapevano e lo sanno benissimo, in realtà, e tutti facevano e fanno solo finta di non saperlo.
Allora aveva subito, mentre sarebbe stato facile non farlo, ma a quell’età non sapeva che era possibile, che quasi tutto era possibile, impegnandosi e pronto a pagare il giusto prezzo.
Non tutto ovviamente, ma calibrando le attese molto di quello che conta, e raggiungere così mete apparentemente oltre la sua portata.

Con soddisfazione Carlo ricorda di un cane, feroce ed aggressivo, e della sua paura superata solo quando, di fronte alla necessità, di affrontarlo, finalmente trovò la giusta strategia per farlo. Era comparso da un giorno all’altro, su una strada che doveva percorrere per forza, e la prima volta che lo vide a momenti venne aggredito ma riuscì a scappare, col cuore in gola ed il terrore che lo raggiungesse. Nei giorni seguenti, poiché il cane non era tenuto legato, cercò sempre di passare quando vedeva l’animale lontano dalla strada, e sempre col terrore di non farcela. Poi, finalmente, con l’intuito della disperazione, un giorno portò con sé un pezzetto di pane, e quando il cane ringhiando gli si avvicinò ebbe il coraggio di allungargli il pane, facendogli vedere che glie lo offriva. Il miracolo avvenne, e il cane da allora, invece di ringhiare iniziò a scodinzolare quando lo vedeva arrivare, anche se non aveva pane da dargli. In altre parole, molto prima di leggere di Danilo Mainardi e di Konrad Lorenz, aveva scoperto il concetto di territorialità dei cani ed il loro istinto di avere un capobranco.

Gli manca da morire Dirce, l’unica che lo ha capito e sopportato, lui, insopportabile, depresso e deprimente, sorridente solo a tratti, che lo ha salvato da momenti neri, che ha subito i suoi malumori, ed ora non può nulla per restituirle quello che ha avuto, e non sa neppure se l’abbia veramente meritata.
I suoi sono morti da troppo tempo, non ha parenti ai quali sia legato, ora scrive un diario, non sa neppure per quale motivo, a volte si reca in biblioteca a leggere libri oppure i giornali del giorno. Incontra persone che lo conoscono, ma nulla di particolare, nessuna amicizia importante. Non è mai stato capace di continuità, non ci ha mai creduto veramente con una parte della sua mente, mentre l’altra parte gli faceva notare che era esattamente l’opposto, e tutto dipendeva da lui. Ma quando un minimo di salute rimane e i problemi grossi sono risolti si sopravvive, ed i ricordi aiutano, come le abitudini, del resto.

Magnagat, s’al pàsa par sdrada, al fa ridar tuti, anche senza bisogn ad far gnemt. Le acsì, e al sarà sempar acsì.

La voglia di cercare cose gli passa, senza che se ne renda conto. Rimane sempre seduto, chiude gli occhi e risente le parole dello specialista di poco più di un mese prima. “Lei, carissimo, non è più un ragazzino, lo sappiamo, ma praticamente non ha patologie evidenti salvo le normali usure di vari organi dovute alla sua età. In altre parole ha doloretti e problemi di ogni genere e, appunto per questo, è fondamentalmente sano. Nessuno di questi problemi è di particolare gravità. Con un minimo di fortuna vivrà ancora a lungo.”
Allora aveva vissuto come una liberazione quelle parole, dopo qualche mese di ansie immotivate, ed aveva pure regalato una banconota non propriamente piccola ad un barbone che aveva avuto la ventura di incontrarlo per primo appena sceso in strada uscendo dalla clinica. Non si era chiesto cosa ne avrebbe fatto, ed era consapevole che lui non sarebbe diventato più povero per quella piccola somma regalata e l’altro non sarebbe diventato più ricco. Voleva in qualche modo sdebitarsi col destino, o con non sapeva neppure chi, visto che non era credente, e anche se a volte entrava in qualche chiesa lo faceva solo per occasioni sociali (funerali solitamente) o per una forma mai superata di superstizione.

Pochi giorni dopo aveva aggiornato il suo testamento dal notaio, sentendosi tutto sommato bene fisicamente, e poi si era recato in banca dove aveva aggiustato alcune posizioni e realizzato certe vendite molto consigliate dal giovane vicedirettore che, chiaramente, vedeva in lui un buon cliente da gestire, e quindi tale poterci guadagnare anche un po’ di commissioni, se sapeva giocare bene le sua carte.

Ora pensa a quel poveraccio che da ragazzino, nel suo paese, tutti chiamavano “Magnagat”, mangiagatti, con intento chiaramente offensivo e di derisione crudele della sua miseria e della sua provenienza familiare. Lui ed i suoi non si erano mai integrati e, in un piccolo paese la memoria è lunga, depositata negli angoli delle strade, nei bar, all’uscita della chiesa, nelle botteghe. Ora non è più così ormai. Anche il piccolo paese muta, muore e risorge diverso, un po’ come sobborgo un po’ come dormitorio, il cinema chiude, quel negozio non è più come un tempo, quello spazio prima libero ed aperto è diventato un intero nuovo quartiere, e gli stranieri con la pelle scura sono sempre di più. Adess anch Magnagat algh faria comad, a cl’idioti ch’na volta i’al tuleva in zir. Pensa, ancora in dialetto, perché quando serve, o quando impreca, è in dialetto che lo fa, da sempre.

Del piccolo paese in fondo rimpiange la sua infanzia e le sue illusioni, la sua potenzialità ingenua, esattamente come il reduce rimpiange una guerra, ma non lo rimpiange veramente. La sua prima casa non aveva l’acqua potabile dell’acquedotto, ma il pozzo. Ricorda che la sera si andava alla fontanella, la “pompa”, e che quello era il momento che corrispondeva al passaggio delle informazioni, il primo social. Prima di dell’era internet. E prima che lui iniziasse anche a leggere i giornali.

Ora è passato troppo tempo, è stanco di pensare alle faccende di casa, non ha voglia di cucinare, al telefono la figlia gli ripete di prendere una badante, ora che è ancora lucido, e sa decidere e scegliere. Avrebbe la casa più in ordine, e non sono i soldi che gli mancano. Carlo però vuole essere libero di essere come vuole essere, alzarsi quando è ora per lui, andare dove vuole, e sa perfettamente che non è molto il tempo che gli rimane così.
Un suo ex-collega, di un anno più giovane, ha avuto un ictus, improvviso, inaspettato, senza aver mai avuto sintomi premonitori. È andato a trovarlo alcune volte, ha avuto la netta sensazione che la testa gli funzionasse ancora bene, per sua sfortuna, perché per ogni minima sua esigenza dipendeva in tutto e per tutto dagli altri. Che situazione assurda, inaccettabile.

Carlo si alza, dopo aver rimesso in ordine il quaderno dalla copertina nera, non ricorda ancora per quale motivo era salito in soffitta, ma ora esce e si chiude la porta alle spalle. Scende a piedi di un solo piano, visto che il suo appartamento è al settimo, e che l’ascensore arriva solo agli appartamenti, non alle soffitte. Apre la porta di casa, entra, la richiude dietro alle sue spalle, e poi tranquillo si dirige verso il balcone. Si affaccia, attorno non vede nessuno, sono le sei di mattina, e le luci accese sono poche. In un attimo è oltre la ringhiera e cade nel vuoto.
                                                                    
                                                                                                

                                                                     Silvano C.©


( La riproduzione è riservata. Ma non c'è nessun problema se si cita la fonte.  Grazie)

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