Nella casa popolare si ritrovarono famiglie provenienti da
zone rurali, abituate a vivere in ampi spazi aperti, senza servizi igienici in
casa, a parlare a voce alta perché in campagna serve farsi sentire anche da
lontano. Persone abituate a portare le scarpe pesanti, a muoversi in casa come
se attorno a loro i primi esseri umani vivessero a centinaia di metri, se non
a chilometri.
Fu la prima urbanizzazione del dopoguerra, quella che
trasformò un popolo di contadini in uno di operai che allora servivano per le
industrie che avrebbero dovuto rendere l’Italia uno dei Paesi più
industrializzati al mondo. Una rivoluzione ed un’occasione di miglioramento
economico per milioni di italiani che dalle campagne andarono a vivere nelle
periferie delle città oppure dal sud, ancora prevalentemente agricolo,
migrarono verso il nord dove c’erano le grandi fabbriche.
Un popolo di barbari iniziò a civilizzarsi, a pensare al
motorino e poi all’auto, e l’educazione civile subì una mutazione genetica,
costretta a fare i conti con le nuove regole condominiali di convivenza, rese
più difficili da osservare e prima ancora da capire a causa delle costruzioni,
a quei tempi, sicuramente meno rispettose di alcuni parametri abitativi
moderni, primo tra tutti, per far capire la portata delle modifiche alle quali
erano costretti i contadini di allora, l’isolamento acustico. In altre parole
chi camminava in casa con scarponi o scarpe coi tacchi disturbava i vicini, chi
parlava a voce alta in casa disturbava i vicini, chi teneva radio o televisore
ad alto volume disturbava i vicini, chi occupava il cortile con la sua auto e
accendeva il motore per scaldarlo la mattina presto disturbava i vicini, chi
chiamava dalla strada urlando o fischiando quelli dei piani alti disturbava i
vicini, e lascio continuare a piacere, perché chi ha provato o prova le gioie del
condominio non ha bisogno di altri esempi.
Da alcuni anni i barbari ci stanno invadendo ancora, i
partiti xenofobi trattano i nuovi arrivati esattamente come nelle grandi città
del nord un tempo si trattavano i nostri connazionali del sud, e tutti ci
rendiamo conto, se viviamo a contatto con queste persone, di quante analogie ci
siano tra loro adesso e noi allora. Dovranno passare almeno un paio di
generazioni prima che questa ondata di uomini e donne provenienti da altri
Paesi si possa integrare, si civilizzi secondo i nostri parametri, capisca
esattamente dove è arrivata, e nel frattempo le forze dell’egoismo ottuso o
dell’accoglienza incondizionata si scontreranno, troveranno terreno fertile per
le loro contrapposizioni nelle aree degradate del nostro Paese, sfrutteranno
contro i più poveri la tragedia della crisi, mettendo gli ultimi contro i
penultimi, dando a qualcuno colpe che non ha, perché, da sempre, noi abbiamo
bisogno di un colpevole, di un capro espiatorio. Una riflessione non dico
filosofica o antropologica, ma soltanto sulle mutazioni avvenute in noi stessi
e nei nostri conoscenti negli ultimi 50 anni è troppo difficile da fare,
studiando storia non ci si arriva mai, ed è più facile fare un po’ di sano
razzismo.
( La riproduzione è riservata. Ma non c'è nessun problema se si cita la fonte. Grazie)
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