Nella vita, prima o poi, dopo aver imparato volenti o
nolenti alcune cose, arriva puntuale il momento nel quale vogliamo o dobbiamo
trasmettere quanto abbiamo appreso. E da quel momento in poi la nostra
responsabilità acquista una sempre maggior consapevolezza, si affina anche,
osservando gli effetti delle nostre azioni, del nostro esempio, del nostro
“insegnamento”.
Alcuni iniziano prestissimo, da bambini, mettendo in comune
con altri le loro scoperte. Tra questi i “furbi” iniziano a capire il grosso
vantaggio che tale pratica può loro offrire, e il mondo si divide subito in due
categorie di persone. Non in modo manicheo però, nel senso che non credo in un
bene assoluto o in un una assoluta mancanza di buona fede. No, piuttosto credo
che ognuno di noi sia una miscela variabile di queste due componenti, e che nel
tempo i dosaggi mutino, per cause tra le più diverse. Ma in ogni caso la
differenza rimane. O si dice una cosa perché si vuole plagiare o fregare chi ci
ascolta, oppure la si dice per trasmettere con onestà il proprio pensiero. Non
esiste una terza via. Esistono, invece, l’ho detto, persone che a volte si
comportano in un modo ed altre in modo diverso. Siamo umani.
Da quando ho raggiunto un certo grado di responsabilità, e
quindi progressivamente nel tempo, con alti e bassi, e conservando sempre una
base insopprimibile di immaturità, ho cominciato a voler preservare, nei limiti
del possibile, gli altri dal dolore.
Ad esempio ho odiato profondamente chi obbligava mia moglie
a percorrere giornalmente centinaia di chilometri in strada, con tutti i
conseguenti pericoli, per poter svolgere il suo lavoro. Mi immaginavo disastri
e conseguentemente la mia vendetta, feroce, irrazionale, contro la stupidità di
chi tale situazione aveva favorito. Poi ho desiderato un figlio, l’ho voluto,
lo abbiamo avuto, ma volevo avere per lui una vita non con una partenza in
salita, ed eravamo pronti, io e mia moglie, ad un eventuale aborto terapeutico
nel pieno rispetto della legge 194 in caso di analisi prenatali sfavorevoli per
alcuni indicatori. Ho visto troppi innocenti soffrire sin dalla loro nascita e
destinati ad una vita difficile per accettare di metterne al mondo un altro. E
potrei continuare, su questo, a lungo, ma mi fermo, perché una certa mia idea
di fondo credo sia chiara.
Vengo al titolo del post, e sarebbe pure ora, data la lunga
premessa.
Io, ogni volta che ho potuto, ho tentato di mettere i giovani in condizioni di sicurezza, evitando gli errori che io avevo compiuto, spiegando cosa evitare, chi ascoltare, cercando di essere, per quanto possibile, coerente (ovviamente senza riuscirci).
Io, ogni volta che ho potuto, ho tentato di mettere i giovani in condizioni di sicurezza, evitando gli errori che io avevo compiuto, spiegando cosa evitare, chi ascoltare, cercando di essere, per quanto possibile, coerente (ovviamente senza riuscirci).
Ma ho seguito un’illusione, me ne rendo conto sempre più
chiaramente. Vivere significa sbagliare, fare puntualmente la scelta errata,
pagare in qualche modo sulla propria pelle, e, a questo punto, forse, l’idea di
partire tutti con le stesse opportunità e di evitare gli stessi errori,
facilitando il progresso individuale, sociale e dell’intera specie è una
fantasia irrealizzabile. Si impara nonostante gli altri, nonostante la falsità che
gira tra amici, tra compagni di scuola, tra contatti in rete, tra parenti e
colleghi di lavoro. E si impara, poco a poco, a riconoscere chi è onesto e chi ci vuol solo fregare.
Io, confesso, non ho ancora imparato.
( La riproduzione è riservata. Ma non c'è nessun problema se si cita la fonte. Grazie)
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