domenica 28 maggio 2017

Il mondo ed il mio ombelico




Contemplando orgogliosamente ed un po’ egoisticamente il mio ombelico non di rado mi sfugge quello che capita attorno ad esso, cioè alla vita di tanti altri. Non posso sapere e capire di tutti, è ovvio, ma di qualcuno in più certamente sì. Ho perso Vittoria oltre cinque mesi fa e il mondo mi è cascato addosso. Prima vivevo in una bolla con lei, anche prima che fosse chiaro ad entrambi che stava male e che lei combatteva la guerra fondamentale per la sua vita. L’ha persa, quella guerra, dopo alcune battaglie che ci hanno fatto sperare in un esito diverso.
La cosa mi è apparsa subito talmente enorme che a lungo non ho parlato o pensato ad altro. Ancora oggi non ci credo e mi illudo che sia un processo reversibile.

Ma non è così che funziona. Tutti gli altri, invariabilmente, hanno sofferto come me, più di me, meno di me, ma per nessuno è stata una passeggiata. Ed io penso al mio ombelico. Mi concentro sul mio dolore e non vedo quello altrui. Eppure in alcuni casi l’ho toccato, l’ho visto, l’ho conosciuto. Ho notato il viso tirato, senza speranze e duro di queste persone. Il mio guaio è che poi vedo anche altri, quelli che sanno dissimulare, minimizzare, tenere tutto o quasi dentro e non sbandierare ai quattro venti quanto soffrono. Questo lo so benissimo, anche di questo ho esperienze, tuttavia mi illudo che per loro tutto vada bene, mi convinco che è quella la realtà oggettiva. Ma sono solo più saggi degli altri, non più fortunati.

Le mie scelte di vita, quando ho deciso di stare con lei, di isolarmi molte volte dagli altri, di ingelosirmi quasi sempre a sproposito, di evitare spesso i vecchi amici per supposti ostacoli insuperabili si sono rivelate per quello che sono: sbagliate. Non era necessario scegliere, bastava, o sarebbe bastato, essere un po’ più disponibili e meno rigidi. Con lei non ne sentivo la necessità. Lei mi bastava. E quello che non mi bastava non mi creava problemi, non a me almeno.

Ora le cose sono mutate. Non sono un esemplare di una specie protetta, ma un comunissimo essere umano con pregi e difetti, un po’ miope e troppo orgoglioso. Un fatto recentissimo mi ha fatto capire molto bene il concetto. Oltre alla mia elaborazione del lutto, insopportabile in certi momenti, devo decidermi a cambiare modo di vedere il mondo e lasciare gli atteggiamenti centripeti (se ne fossi capace, ma capace ancora non ne sono). Mi spiace per tutti quanti negli anni ho deluso. Mi spiace per la mia ottusità. Vorrei salvare tutto di lei, ed una parte di me, ma solo quella giusta.

Il mio blog, che uso ormai per capire a che punto sono arrivato, che interessa sempre e solo i soliti, è mutato e forse muterà, spero, certificando infine che ho raggiunto quell’apertura che mi convinco sempre più che mi manchi.
Tu Viz so che te la stai ridendo. In parte mi assecondavi, e alcune cose le approvavi pure. Altre invece le criticavi. Mi auguro che ora, dove non sei, mi possa aiutare. Da solo ho la testa troppo dura per cambiare in fretta.
E sicuramente ciò non avverrà domani. Anche per questo serve tempo.



                                                                        Silvano C.©  
 (La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)

sabato 27 maggio 2017

… e se…




È più di un anno che il pensiero mi tormenta, molto più di un anno.
È un pensiero che quando si affaccia demolisce ogni ostacolo, ogni logica, e devo tentare con la razionalità, con la pietà, con l’autodifesa e con ogni mia risorsa di allontanarlo, perché non mi uccida.

E se fosse stato possibile fare in modo diverso? Se cioè fosse stato possibile, iniziando per tempo, non so quanto tempo prima, attaccare il tumore invasivo e crudele che ti ha portata via, mentre tu alla vita c’eri legata?
Questo post mi costa ancor più di tabù, ed ogni tanto il suo tema riaffiora.

Non voglio risposte, sia chiaro. Le temo tutte. E non cerco neppure responsabili, perché in quel caso lo siamo tutti. Tu per prima eri precisa in modo incredibile nel tenere sotto controllo i tuoi parametri, non ti sfuggiva quasi nulla. Il nostro medico ci ha seguito. Gli specialisti ai quali ci siamo affidati hanno fatto il possibile, hanno rispettato i protocolli. Alcuni controlli hanno avuto contrattempi, non per colpa tua, probabilmente semplici coincidenze senza effetto, mi auguro. Forse io ho sottovalutato ed avrei dovuto intervenire, ma mi fidavo dei medici e di te. Ad un certo punto tu però hai perso la testa. Avevi persino pensato al tribunale del malato. Ne abbiamo parlato. Non avevamo alcuna possibilità di ottenere nulla di più. Ti ho convinta anche a rivolgerci però ad uno specialista a pagamento, cosa che ogni tanto abbiamo fatto, non era un’eccezione.

Ora tuttavia non voglio immaginare che qualche cosa sia andata storta per colpa, per disinteresse, per leggerezza. Se lo sospettassi ne resterei distrutto, senza forze, demolito. Voglio pensare che ogni cosa, malgrado qualche ritardo, abbia seguito i suoi binari. Credo che sia destino, in parte, che quello che ti ha uccisa sia normale, sia parte della vita. Sono morte per motivi simili persone più seguite, più giovani di molti anni, persone che si sono rivolte inutilmente a luminari ed anche a santoni. Si muore insomma. E tu poi fumavi, e ti dicevamo di smettere. Ma non hai colpe. Non ne puoi avere. Non te ne voglio attribuire. Forse ti dovevo amare di più e prima. O forse non sarebbe bastato neppure quello.

Basta, Viz, non posso continuare. Tu non ci sei più ma io parlo ancora con te. Fammi capire quando vuoi che smetta o controlli questa mia ansia di capire che ora purtroppo risulta del tutto inutile. Dimmelo per favore, fammi stare in pace, almeno sotto questo aspetto, il resto poi verrà, col tempo.



                                                                        Silvano C.©  
 (La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)

venerdì 26 maggio 2017

Non esistono cura, prevenzione, corazza o riparo




Una tesi consolatoria capace di generare non pochi sensi di colpa è quella secondo la quale stare vicini ai propri cari praticamente sempre, in ogni momento dei tanti bisogni della vita, sia utile per non dover poi pentirsi di non averlo fatto, e preservi in qualche modo da un assillo che impiega poco a farsi strada dentro, peggio di un tarlo, peggio di un parassita mimetizzato nel tessuto vivente del suo ospite.

Ci credo sempre meno. Il dolore riaffiora sempre, come le feci nell’acqua limpida. Solo la corrente è in grado di disperderlo, cioè il tempo, ma secondo i suoi ritmi, non i nostri. Alla lunga star troppo vicini a qualcuno, in certe occasioni, è persino controproducente, è asfissiante. Abbiamo tutti bisogno, chi più chi meno, della nostra libertà.
Abbiamo anche bisogno di vicinanza, di complicità, di qualcuno col quale condividere anche la più stupida delle idee che ci passa per la mente, oppure per consigliarci su temi importanti.
Abbiamo bisogno di raggiungere un equilibrio tra esigenze opposte.

Ora, oggi, in questi minuti, cosa cambierebbe se io venti anni fa fossi andato ad un pranzo con tutta la famiglia? Non ci sono andato, avevo i miei motivi, forse ho creato delusione, e col passare del tempo ho anche avuto modo di spiegarmi. Però non sono andato. E cosa muta ora che i miei sono morti, che mia moglie è morta, che mio fratello è lontano? Avrei forse un ricordo piacevole in più? Non so cosa me ne farei.

A modo mio ho amato i miei, e ci ho pure litigato in modo folle. Eppure li ricordo in altre occasioni. Ad esempio ho rimosso certe cerimonie ufficiali o quasi. Credo anche di averne le foto, ma non le guardo ormai più.  E di Vittoria cosa dovrei dire? Che rimpiango ogni momento che non ho vissuto con lei quando avrei potuto? È vero, lo rimpiango perché lo rivorrei ora, da rivivere, ma non per ricordarlo. Se vedo alcune sue foto, quasi tutte ormai, crollo e non so trattenere le lacrime. Non sono pronto ancora per lasciarla andare ma lei è già andata, non aspetta me. Io la trattengo, e lei mi parla, ma non so cosa avrei dovuto fare di diverso rimanendo me stesso.

Lei rispettava la mia libertà, e così mi voleva. Avrebbe voluto anche altre cose, che non le ho dato, ma ha accettato che io non le facessi, ha preferito sapermi più forte e con meno problemi. Ha taciuto talvolta per proteggermi, come già ho ripetuto tante volte. Quello che è avvenuto prima ormai conta nulla. È importante come ci raccontiamo la nostra verità, come la capiamo lentamente, come siamo aiutati a ricostruirla, come riusciamo ancora a guardarci nello specchio e a non vederci come mostri.

Sono deluso da troppe cose che capitano a me ed a tanti altri. Sono incazzato col destino che le ha rubato il suo diritto di vedere andare finalmente in porto alcuni progetti. E quegli stessi progetti ora sono cose diverse, hanno un sapore amaro quando finalmente li assaporo.

Ad un’amica ho raccontato che in fondo noi due non abbiamo avuto una vita infelice malgrado le enormi difficoltà incontrate ogni tanto. Abbiamo viaggiato quanto basta, abbiamo conosciuto quanto volevamo, io l’ho amata meno di quanto avrei potuto, secondo lei, ma molto di più a modo mio. Non possiamo lamentarci se non del fatto che ci è mancata la ciliegina sulla torta, la conclusione che aspettavamo da tempo, cioè la possibilità di invecchiare assieme. Quella ci è stata negata, ed io non me do pace.
Di tutto il resto non posso che ringraziare sia lei, per quanto ha saputo darmi, sia il destino, per avercelo concesso.
Mi viene da piangere al pensiero di essere stato tanto fortunato.


                                                                        Silvano C.©  
 (La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)

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