Vivere è il dovere di chi vive, la necessità che
da sola giustifica questa situazione temporanea che ci tocca per un tempo
limitato.
La cosa si complica se si cercano risposte ad
altre domande e ci si pongono tanti perché. Ad esempio, qual è il modo giusto
di vivere? Godersela sinché è possibile e ridurre al minimo ogni tipo di nostro
impegno nei confronti degli altri oppure sacrificarci anche nelle nostre
aspirazioni più semplici, umane, accettabili?
Come al solito io non ho una risposta, o almeno
non ne ho una sola. Ad esempio per chiarire il senso della mia domanda di fondo
un metodo è partire da un’altra domanda, dirimente: chi ricordiamo ora, tra chi
ci ha lasciato, con maggior piacere e, aggiungo, con più gratitudine?
Mi sembra facile pensare che se si tratta di
persone a noi care sono coloro che ci hanno lasciato di più, e non solo in
termini economici (anche se pure questo aspetto è importantissimo). Ad esempio
io ammiro il senso del dovere di mio padre, la dedizione di mia madre, la
disponibilità dei miei nonni. Di tutti loro poi mi è rimasta, dentro, la capacità
di sacrificarsi per noi, la volontà di lasciarci qualche cosa, la necessità di
non usare solo per sé stessi quanto erano riusciti a mettere da parte durante
la loro vita.
Non parlando di grandi personaggi ma di uomini e
donne comuni, incapaci di costruire castelli e grandi palazzi oppure di fondare
grandi imprese di loro resterà poco, nella storia. La loro storia siamo noi,
sino a quando vivremo e saremo loro grati, portandoli nel nostro ricordo.
Dalla polvere che ormai sono, da quella che
saremo noi stessi, verrà per un certo tempo un alito di vita residua, preziosa
e sempre più difficile da mantenere o avvertire. E dopo spariranno e spariremo
per sempre.
Il pensiero di aver viaggiato tanto quindi, di
aver visto tante opere d’arte, di aver conosciuto migliaia di persone, di aver
goduto di mille piaceri leciti e non leciti che differenza farà quando saremo
racchiusi nella terra o nel legno, nel marmo o nel cemento, con la
consapevolezza che non sempre quella sarà la nostra dimora definitiva?
Io ora mi sento di ammirare solo chi ha saputo
dare, chi ha pensato agli altri. Ammiro chi ha aiutato i genitori, i figli, i
compagni, le sorelle ed i fratelli. Ammiro che si è speso per chi ne aveva
bisogno. Provo tristezza e profonda pena per chi ha investito ogni cosa nel suo
apparire e nel suo solo piacere. E non la vedo in modo religioso, in questo
caso, ma semplicemente umano, o più propriamente biologico.
Certi esseri, per la scienza, sono parassiti,
rubano senza dar nulla in cambio. Altri, come ad esempio le api, tutte sorelle
tra loro, sanno sacrificarsi per mantenere vivo e duraturo nel tempo il loro
alveare. La vita è varia e prevede entrambe le possibilità, assieme a
tantissime altre. La mia preferenza, nel caso, mi sembra evidente.
Ciao, Viz. Ho iniziato i grandi lavori. Lo hai visto anche
tu. Lui mi aiuta. Il piccolo appartamento tanto a lungo desiderato, poi
terremotato, ora sembra di nuovo nostro. Tu hai scelto con noi pavimenti e
piastrelle. Tu hai detto cosa pensavi di porte ed infissi. Tu avevi il diritto
di vederlo finito, e mi avrebbe fatto piacere spiarti mentre sistemavi i letti.
Non è più possibile. Più di un tumore si è coalizzato per portarti via, e non
sono trascorsi neppure tanti mesi. Avremmo potuto vivercelo un po’ assieme. Non
ci è stato concesso. So che ora inizi a sorridere, lo so. So che tu sei sempre
qui con noi. Ed io lo riarrederò pensando a come ti piacerebbe, sempre secondo
le nostre possibilità. Nel dubbio, lo sai, dovrò chiedertelo. Non sei ancora
libera di andar via per sempre. Lo decideremo assieme il momento, se verrà.
Silvano C.©
(La
riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte,
grazie)
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