La mattinata non era iniziata malissimo. Bene no,
quello da mesi so che non è così, ma neppure una tragedia. Ti sei organizzato
per una passeggiata lunga ma, sulla carta, affrontabile. Ti sei persino
stampato un pezzetto di cartina. Poi, al solito, sei passato dove ancora non
hai capito che non sono, ed eviti persino di pronunciarne il nome. Lo dici solo se
sei costretto.
E da quel momento tutto è precipitato. Hai avuto
il coraggio di accusarmi, di dire che è colpa mia se me ne sono andata, che tu
non sei mai stato perfetto ma che hai sempre fatto il possibile, che da anni (da
sempre, lo ammetto) mi accompagnavi ovunque era necessario, per visite,
ospedali, ricoveri ed accertamenti. Mi hai detto in modo esplicito che ti ho
abbandonato. Che quando ne avrai bisogno tu io non ti aiuterò. E poi hai
iniziato a ragionare, finalmente. Stavi camminando, questo ti aiutava a
distrarti, a rilassarti. Hai capito l’enormità della cazzata che avevi anche
solo pensato. Se sono morta di tumore, di troppi tumori, quasi una enciclopedia
del tumore, non è colpa mia. O forse in parte è anche colpa mia, chi lo sa, ma
certamente io non sono morta per abbandonarti al tuo destino. Io non volevo
morire, ma vivere, e possibilmente continuare a fare cose con te, magari
viaggi.
Sottotraccia però eri sempre arrabbiato con me. Hai
incontrato un gruppo che camminava spedito, organizzato, con gambe più giovani,
ben affiatato e con molto più fiato di te. Hai chiesto un’informazione. Per un po’
ti sei sentito capito, poi loro hanno proseguito col loro passo, e tu non
potevi che seguirli col pensiero e con l’invidia. Le tue gambe non ce la
facevano. Tu devi camminare al tuo passo. A proposito, come ti sono sembrati
quei bastoncini da trekking che ho comprato? Pensavo che li avrei usati io, ma
non ne ho avuto il tempo. Belli no? E funzionano pure.
Per un po’ camminando piano e da solo ti sembrava
di poter arrivare a qualsiasi obiettivo. Poi hai raggiunto quel primo grosso
paesino. Hai chiesto informazioni. Non ti tornavano, ma hai voluto proseguire. Quel
gruppo che ti aveva superato certamente aveva le idee più chiare, ma tu stavi
da solo, e non volevi neppure prendere le cartine e controllare. Alla fine ti
sei perduto. Hai visto un masso, in mezzo al sentiero che poi hai lasciato. Lo ricordo
come se lo vedessi ora. Mi hai chiesto di farmi vedere, perché tanto nessuno lo
avrebbe notato, stavamo da soli. Eri convinto che sarebbe stato possibile, ti
sarebbe bastato un sorriso.
Già, un sorriso. Ma io non potrò mai più farmi
vedere come vorresti, e tu insisti a non volerlo capire. Sei quasi da ricovero,
se continui. Dovresti curarti, e lo dico sul serio. E poi spiegami. Per quale
motivo insisti a non far foto? Ti porti appresso la fotocamera che ti ho
regalato nel 2015, a Natale, quando vivevamo un’apparente e ansiosa normalità. La
porti con te ma poi non la usi quasi mai. E se la usi poi non metti in ordine
le foto.
Ieri hai visto quelle zone del Leno, quelle ora
interrotte da una frana, e sono ancora molto belle, ma non c’era nessuno? Nessuno
ora ci può arrivare. Viste dall’altro fanno impressione, no? E poi, quando hai
capito che sulla provinciale dove eri finito non arrivavi dove
volevi, hai saggiamente deciso di tornare indietro. Per fortuna la testa in
questo senso ti funziona. Provarci, sempre, ma lasciar perdere se alla fine la
cosa diventa impossibile o troppo difficile.
Non sei più abituato alle camminate in montagna. Non
sei più giovane. Non posso dire di aver provato soddisfazione, mentirei, ma ora
vorrei che tu riflettessi sulle tante volte, specie negli ultimi tempi, quando
io non ce la facevo più e tu insistevi, mi dicevi di camminare piano ma di non
fermarmi. E litigavamo, puntualmente. Spero tu abbia almeno ora il coraggio di
chiedermi scusa. Io non so se le accetterò, le tue scuse, e neppure se posso
farlo. Se fossi ancora viva credo che te la farei pesare e poi ti perdonerei.
Ieri mi hai fatto un po’ pietà. Durante la discesa
eri incerto, le gambe ti facevano male, iniziavi a dubitare che saresti mai
arrivato di nuovo a valle. E poi non hai più incontrato nessuno. E se cadevi
e ti facevi male? La prossima volta, se continui orgogliosamente a voler fare
tutto da solo, cerca solo sentieri più battuti, e, prima di azzardarti ad
imprese più difficili delle tue forze, pensaci due volte, ed allenati un po’ di
più. Non so se vuoi ora il mio perdono. Non so più capire neppure io cosa vuoi,
o vorresti.
Mi manchi da morire, Viz.
Silvano C.©
(La
riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte,
grazie)
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