Lo
ricordo come se fosse ora. Era il primo giugno 2049, un martedì, il giorno
della settimana ideale per mettersi in viaggio, senza i soliti vacanzieri dei
fine settimana.
Nel periodo precedente avevamo fatto visita ai nostri genitori, che vivevano in
Emilia, e stavano tutti bene malgrado le loro non tenere età. Quando ne
avrebbero avuto bisogno avevamo già programmato per i quattro anziani ogni tipo
di aiuto, in casa loro, e problemi economici non ne avrebbero avuti dopo una
vita di attenzioni e di risparmi.
La
mattina della partenza andammo a salutare la nostra unica figlia dicendole che
saremmo stati via un po’, e lei se lo aspettava, perché spesso le facevamo
questo tipo di sorprese.
Anche
lei stava bene. Separata da anni da un marito che definire deficiente è quasi
romantico, un lavoro come coordinatrice in una palestra dove praticamente era
indispensabile e con una bellissima figlia, Sara, che cresceva
meravigliosamente e prometteva grandi cose.
Eravamo
quasi felici, e partimmo con pochi bagagli in auto, malgrado le nostre
abitudini solitamente diverse.
Prima
tappa il luogo dove ci eravamo conosciuti. Tutto cambiato in peggio, una vera
delusione.
Seconda
tappa il suo paese natale, tra i monti dell’appennino, rimasto meno modificato
nel tempo. Quella fu una sosta di tre giorni piacevole.
Poi
girammo senza una vera e propria meta in vari piccoli borghi dell’Italia
centrale, perfettamente ricostruiti dopo i terremoti di vari anni prima.
La
sera pernottavamo nel primo posto che ci intrigava lungo la strada, e se il
soggiorno era piacevole lo prolungavamo del tempo che ci faceva comodo. Alla fine
spendevamo meno del previsto, ed i soldi non ci mancavano per i piccoli
desideri che potevano venire a me o a lei. Compravamo di solito piccolissimi
oggetti, ma che ci ricordassero un’emozione di quei giorni.
Lei,
al solito, teneva aggiornato un suo diario personale dove registrava le ore di
partenza e di arrivo, i chilometri percorsi, le tappe, i fatti da ricordare…
Io
ogni tanto mi voltavo a guardarla, ma solitamente non dicevo nulla. Mi bastava
osservare per un attimo il suo viso impegnato e sereno.
Fu
mentre stavamo percorrendo quella curva sul lago che successe, all’improvviso. Un grosso masso ostruiva la carreggiata. Io tentai si scansarlo, sterzai
bruscamente, l’auto scavalcò facilmente il leggero guard-rail e si inabissò
quasi all’istante, visto che tutti i finestrini erano aperti. Avemmo solo il tempo di guardarci, una frazione di secondo. In quel punto il
lago raggiunge la sua profondità massima di quasi 300 metri. Noi, e l’auto,
non fummo mai più ritrovati.
Così, Viz, se avessimo potuto essere aiutati dal destino: andarcene assieme e lasciare solo il nostro ricordo, in pace con tutto e tutti. Ormai non è più possibile.
Rimarrà un sogno, una fantasia, per sempre.
Silvano C.©
(La
riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte,
grazie)
Nessun commento:
Posta un commento
I commenti offensivi o spam saranno cancellati. Grazie della comprensione.