Col vento che soffia forte ci sono pochi ripari che tengono veramente ma serve resistere. Qualcuno si abbatte e rientra nelle statistiche, nel rischio calcolato. Prima o poi una raffica a tradimento o la stanchezza l’avranno vinta, ma sino a quel momento, differenziando i punti di appoggio e trovando le giuste motivazioni si potrà ancora raccontarlo. Non so se sia il semplice culo a permettere di restare, se magari la volontà possa aiutare sul serio o se a dare una mano siano pure gli altri. Magari un po' tutto questo, e altro ancora. Il dolore più forte scaccia quello di minore intensità, lo fa dimenticare e, distraendo, in parte lo rimuove.
Ho visto uno che era morto, non lo sapeva e nessuno si era curato di informarlo. Faceva la spesa come tutti i giorni e il suo pensiero fisso era la mancanza di una persona che aveva perduto, la sua mente era concentrata solo su quello e tutto il resto gli sembrava secondario. Ho scambiato alcune parole ma non gli ho spiegato che il suo funerale era stato celebrato mesi prima. Ho capito che la sua presenza aveva un fine, mantenere il ricordo. Ho pensato che aveva ragione e che io non ero nessuno per contraddirlo.
Ho sentito che alcuni esperti forestali pensano che parte dei danni prodotti dalla tempesta Vaia, con venti che sono arrivati sino ai 200 km/h, sono stati causati dal tipo di essenze vegetali utilizzate per i boschi che sono stati abbattuti, tutte o quasi uguali tra loro. Secondo loro se le specie di alberi fossero state molto più diversificate non si sarebbe innescato un effetto domino che ha abbattuto un abete dopo l’altro. Alcune specie diverse avrebbero opposto maggiore resistenza e avremmo avuto una devastazione di minore entità. Col vento che soffia non tutti resistono ma nemmeno tutti vengono abbattuti.
Silvano C.©
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