Ho comprato tela, colori e pennelli ed ho
iniziato a lavorare sul quadro che immaginavo ieri.
Ammetto che non pensavo fosse tanto difficile
dipingere, trasferire emozioni e realtà, inseparabilmente legate, su una
superficie assolutamente libera, una vera tabula rasa (a due dimensioni, una
terza ottenuta con artifici tecnici ed una quarta lasciata all’abilità dell’artista).
Credevo che tutto mi sarebbe venuto di getto, che ogni cosa avrebbe preso il
suo posto con naturalezza, senza sforzo alcuno da parte mia. Mi illudevo insomma
che il quadro si dipingesse quasi da solo. La mia fretta maledetta, la mia
ansia di arrivare quando ho in testa una meta, la mia paura di far tardi dopo
periodi di indolenza per me quasi fisiologici, o forse zoodiacalmente
determinati. (Ma io poi ci credo all’astrologia? Pensavo di no).
E intanto riflettevo sulla felicità, perché anche
quella vorrei sfiorare o far intuire dal dipinto. Su quella consapevole, in
particolare. Ed ho capito che non sono mai stato, in tutta la mia vita,
consapevolmente felice. Quando soffrivo per qualche motivo, come mi capita
recentemente, è evidente che non potevo e non posso essere felice. Quando poi
lo sono stato, e lo sono stato, potete credermi, non me ne rendevo conto. Vivevo
felice ma senza sapere di esserlo. Appena capivo la mia fortuna, ed intuivo la
felicità che mi stava vicina, subito la incrinavo col timore di perderla.
Ora il quadro è solo accennato. Ho tracciato
pochi segni, in modo timido ed incerto. L’ho fatto con una matita dalla mina
molto grossa e tenera, giusto per rendermi conto dell’idea generale che avevo
in mente. E poi mi sono fermato, volutamente. Devo ancora capire dove voglio
arrivare. Devo riuscire ad inquadrare il soggetto dentro di me, a dare il
giusto spazio a felicità e bellezza, a speranza e paure nascoste neppure
troppo. Giusto. Le paure. È necessario che trovi il modo di esorcizzarle, che
il quadro mi aiuti a farlo. Non credo di poterle annullare mai, ma vorrei trovare
un’arma in più per controllarle in un momento di particolare debolezza.
Forse immagino troppo, e forse invece dimentico
che non sono solo, e che lei viene a trovarmi, quando non me lo aspetto, e mi
regala la sua forza, a piccole dosi. E la sua bellezza, anche, che a volte, quando
sarebbe stato il momento giusto, ho scordato o non ho capito o non le ho detto
abbastanza quanto era bella.
La bellezza è importante che si veda nel quadro,
che sia esplicita, e così mi sento addosso tutti i miei limiti nelle capacità
di rappresentarla.
Non pensare a ciò che non
sai fare, credimi, ricorda tutto quello che invece sai fare, e non scordare lui,
la cosa più bella che abbiamo voluto assieme.
Ecco. È questa la realtà, lo ammetto. Io immagino
di essere un pittore, ma non lo sono. Non sono un artista, al massimo posso
ritenermi un artigiano. Allo stesso modo come non mi posso definire o credere
uno scrittore solo perché scrivo come ora. Credo di essere bravo in tante cose, come piccole riparazioni o anche come falegname, a modo mio. Non eccello
in nessuna ma mi arrangio in tante. Anni fa mi dicevano scherzando che ero uno
da sposare. A volte rispondevo che non sempre ero come sembravo, e che pure io
avevo tanti difetti. È da un po’ che non me lo dicono più. Forse perché vedo
meno persone, forse perché mi sono accontentato di ciò che avevo già fatto
senza tentare il nuovo, o forse perché negli ultimi due anni ho avuto altro per
la testa. Ora risponderei, se me lo dicessero, che io sono già sposato, e che
non mi interessa risposarmi ancora. E direi, onestamente, che non sono il
pittore che immaginavo.
Ancora so immaginare, però, quello sempre, e
ancora non so vedere quello che ho, come quasi sempre.
Questo, ammettilo, io te l’ho
sempre detto. Tu non apprezzi ciò che hai. Cosa pensi che abbiano gli altri più
di te? Non credi che ciò che tu ammiri e vorresti sia solo uno specchietto
furbo di chi non ti dice tutto? Non cambi mai, o forse poco a poco stai
iniziando. E sarebbe ora.
Silvano C.©
(La
riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte,
grazie)
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