Non
alludo a vacanze al mare senza tessuti addosso, e sarebbe pure la stagione
adatta per parlarne. No, quel tipo di vacanza appartiene ormai ad altri tempi.
Pensavo
piuttosto a quello che resta di noi dopo, dopo la morte. Nel breve volgere di
pochi anni ho perso persone fondamentali nella mia vita.
Il
colpo più grosso dal quale credo che non mi risolleverò completamente mai è
quello dell’addio forzato alla mia compagna di una vita intera. Ed ora tento di
accettare quello che devo accettare, tento di lamentarmi il meno possibile, mi
sforzo di piangere poco a poco di meno, mi invento improbabili giustificazioni,
capisco che per certi versi è andata come doveva andare, ma mi incazzo sempre e
molto se penso a quanto avremmo potuto fare per alcuni anni ancora, se lei non
avesse dovuto partire per il luogo dal quale non si torna.
Ma
cosa rimane alla fine di tutti noi, una volta che abbiamo lasciato ogni cosa
materiale su questa terra e siamo rimasti nudi, come quando siamo nati? Non esiste
una risposta unica, si arriva troppo sul personale, e le possibilità di dire
una cosa corretta non so che probabilità abbiano di essere credibili.
La
livella di Totò non guarda in faccia a nessuno, non tien conto del valore in
vita. Solo per chi è ricordato restano segni, per tutti gli altri resta il
nulla insondabile, descritto in tanti modo diversi, vagheggiato, sperato e
temuto.
Eppure
la forza della vita non si interrompe, malgrado tutto. Trasforma sentimenti e
invita a continuare come se chi ha dovuto partire in realtà fosse solo in un
altro posto, non andato via veramente.
Ci
serve consolarci, altrimenti non costruiremmo quelle città di morti che hanno
nomi che non mi piacciono.
Vorrei
passeggiare finalmente su prati ampi, dove io possa incontrare chi è andato via
sei mesi fa, due anni fa, dieci anni fa, trenta anni fa e sedermi, all’ombra di
un salice o di un pioppo in questa estate che sta iniziando. Sedermi e
scambiare due parole, dire poche cose, raccontare una novità, togliere o
togliermi una curiosità.
Così
sarebbe tutto diverso, ed avrei un luogo che mi mette in contatto con chi cerco
e non vedo da tanto tempo. Sarebbe naturale salutarsi dopo, ognuno di nuovo
pronto a continuare altrove le proprie faccende.
Sarei
soddisfatto per aver fatto sorridere mio padre dopo avergli raccontato un episodio buffo, e sarei felicissimo di vedere Vittoria mentre mi dice, una
volta ancora, che le cose alla fine si sistemeranno e che devo solo andare piano
in auto, perché di problemi ne abbiamo già abbastanza.
Sarei
soddisfatto ma non è possibile. La meta che ci aspetta non ha pietà per chi
resta. Non so neppure se ne abbia per chi l’ha raggiunta, non so nulla.
Immagino
prati circondati da alberi, panchine, piccole radure per chi vuole godere del
sole, e nessuna differenza tra vivi e morti. Chi vuole può andare ogni giorno. Chi
non ne sente il bisogno non ci va e non cambia nulla, perché è giusto sempre e
comunque rispettare la sensibilità di ognuno.
Oltre non posso spingermi, e non intendo dare regole napoleoniche valide solo per i vivi. Chissà cosa ne pensa ora Napoleone delle sue disposizioni, se l’igiene urbana doveva avere tanto peso in questi casi, come lui riteneva in vita. Io non capisco ma non posso che adeguarmi. E continuare a venire a trovarti, Viz, dove non sei.
Oltre non posso spingermi, e non intendo dare regole napoleoniche valide solo per i vivi. Chissà cosa ne pensa ora Napoleone delle sue disposizioni, se l’igiene urbana doveva avere tanto peso in questi casi, come lui riteneva in vita. Io non capisco ma non posso che adeguarmi. E continuare a venire a trovarti, Viz, dove non sei.
Silvano C.©
(La
riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte,
grazie)
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