La
mattinata intera Annibale Annibali la trascorse correndo trafelato da un
ufficio all’altro per risolvere un problema di attribuzione indebita (secondo
lo scrivente) di una parte della sua pensione che gli era sufficiente appena
per vivere e passare un po’ di soldi ai due figli, entrambi sposati e con figli
a loro volta ma con lavori precari e sottopagati. Senza il suo aiuto loro
avrebbero faticato a vivere dignitosamente, e certamente non avrebbero avuto la
possibilità di vedere il futuro in modo meno nero.
Verso
le tredici, lontano da casa e con un appuntamento già fissato per le
quattordici che avrebbe dovuto essere risolutivo, col capufficio e responsabile
dell’amministrazione e dell’applicazione corretta di ogni norma (manco fosse il
Vangelo), decise di mangiare nella prima trattoria alla mano che non proponesse
pizzette, insalatone, megapanini con bibita allegata obbligatoria, kebab o
piatti etnici. Ne trovò una che appena entrato quasi lo stese al pavimento per
l’odore di fritto che sembrava gelatina sospesa nell’aria. Ma in fondo quell’odore
gli ricordava in parte certi piatti che da piccolo gli preparava sua nonna, e
decise che quel posto andava bene. Oltretutto iniziava a far tardi.
Mangiò
col nervoso, quindi mangiò tanto, di tutto, e molto male. Eppure i piatti,
malgrado l’odore stagnante un po’ repellente, non erano malvagi ma solo molto difficili
da digerire. Uscì appesantito ma intenzionato a chiarire di lì a una ventina di
minuti la sua situazione. Aveva un documento che avrebbe potuto ribaltare la
situazione a suo vantaggio ma che nessuno, in tutta la mattina, si era degnato
di cercare di capire.
Arrivò
puntuale, anzi, con quasi dieci minuti di anticipo. Lui era fatto così. Al solito
fu fatto accomodare, e, come si aspettava, gli venne detto che avrebbe dovuto
aspettare il suo turno probabilmente più a lungo del previsto. Si decise di
stare tranquillo, prima dell’incontro, e pensò a cose piacevoli, come vacanze,
balletti teatrali, amici e donne. Attese a lungo, e si sforzò di non protestare
quando il ritardo divenne di oltre trenta minuti.
Finalmente
fu ammesso nell’ufficio-sala-serra-soggiorno del capufficio, ed iniziò
ascoltando lo sfogo immancabile di quell’uomo che deteneva in quel momento il
potere su di lui. Voleva apparire umano, disponibile, aperto nel cercare ogni
soluzione possibile nell’interesse del cittadino. Usò la parola cittadino
almeno dieci volte in tre minuti, e nove volte la parola regolamento. Poi,
quando fu il suo turno, Annibale espose il suo caso, riuscì a tirar fuori dalla
cartelletta il documento che riteneva risolutivo e ad appoggiarlo sulla
scrivania all’attenzione del potere.
La
razione del capufficio lo lasciò esterrefatto. Questi lesse con evidente
attenzione tutto il foglio, fronte e retro. Controllò le intestazioni, il
destinatario e le firme in calce, oltre alla data ed al luogo di emissione:
Roma.
Dopo
averlo analizzato in tal modo però uscì col discorso più assurdo che Annibale
si sarebbe mai aspettato di sentire con le sue orecchie.
Il
documento dimostrava, senza dubbio alcuno, che il pensionato aveva
perfettamente ragione, e che non avrebbe dovuto subire alcuna decurtazione
della sua pensione, tuttavia il fatto stesso che il documento esistesse
dimostrava anche che in un altro ufficio, maggiormente competente di quello che
aveva scritto quelle parole a favore del cittadino, un altro funzionario,
evidentemente più qualificato, aveva pensato che la decurtazione era corretta,
senza peraltro fornire, nella breve facciata senza retro che aveva stilato a
sua volta, alcuna spiegazione né aver citato alcun elemento concreto o articolo
o norma a sostegno del suo parere negativo.
Il
capufficio quindi concluse che, malgrado il pensionato davanti a lui avesse
diritto a godere dell’assegno intero, la trattenuta che gli era stata
annunciata avrebbe continuato ad essere applicata. Lui non avrebbe avvallato un
provvedimento che, malgrado fosse non solo giusto ma anche logico, sarebbe
stato in contrasto con un parere fumoso di un collega sulla carta più
competente. E lo congedò.
Fu
scendendo le scale col morale a pezzi e il nervoso a mille che Annibale non si
trattenne. La fece silenziosa, lunga, liberatoria, interminabile e mefitica. Al
suo confronto una decina di fialette di acido solfidrico sarebbero sembrate Chanel
di un numero qualsiasi. Uscì dall’edificio mentre la sua scoreggia poco a poco
occupava ogni spazio aereo a disposizione, penetrando anche nel circuito di
aria condizionata. Tempo dieci minuti e l’intero stabile di quattro piani
venne evacuato. Ogni impiegato dovette lasciare il lavoro che stava facendo. Per
errore venne bloccato anche un server che controllava tutti i computer di
quella sede e quando, oltre due ore dopo, venne riacceso, la pratica di
Annibale venne semplicemente ed automaticamente inserita nel database delle
richieste accolte.
Il
mese successivo il pensionato ricevette la sua pensione intera, con gli
arretrati indebitamente sottratti del periodo precedente.
Silvano C.©
(La
riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte,
grazie)
Nessun commento:
Posta un commento
I commenti offensivi o spam saranno cancellati. Grazie della comprensione.