Una voce fuori campo annuncia il suo nome e quando sposta la
tenda e sale sul piccolo palco, circondato da 5 archi concentrici di piccoli
tavolini e sedie, la sala è quasi al completo. La maggioranza del pubblico è
maschile ma non mancano diverse donne, come tradizionalmente avviene in
particolare durante i fine settimana al “Sex Party Club Segreto”.
All’inizio del suo numero Titù si presenta con un
abbigliamento quasi da impiegata, severo e grigio, e con gli occhiali che
indossa la si potrebbe benissimo scambiare per un’insegnante, una manager,
un’avvocata… Scende sempre dal palco, per i primi minuti, e gira tra i tavolini,
sfiora i maschi già eccitati, ammicca alle donne, assaggia da un bicchiere che
un ragazzo magro e imbarazzatissimo tiene tra le mani, per giocare un po’ con
lui.
Non protrae oltre l’attesa però e risale sul palco. La
musica ora aumenta di volume e inizia a ballare ed a spogliarsi, senza fretta,
con calma quasi indolente e mosse che conosce bene, che ha eseguito mille
volte. Sa mettere in risalto ciò che ai maschi piace, e quando non indossa
quasi più nulla ritorna di nuovo tra il pubblico, sfiorando tutti come un
predatore che annusa le sue prede. Qualcuno allunga una mano, è una sorta di
consuetudine, e lei lascia fare. Si allontana solo se si sente infastidita, e
in ogni caso si tratta di pochi secondi, perché è molto abile in quel gioco che
un po’ le piace, purché rimanga sotto il suo controllo.
Per la parte finale del suo numero è di nuovo sul piccolo
palco, dove ora è apparsa una sedia che prima non c’era. In pochi movimenti si
sfila gli ultimi indumenti e finalmente è del tutto nuda. Usa la sedia per
muoversi, sedersi e poi alzarsi, mostrarsi in tutte le posizioni per quindici
lunghi minuti, sino a quando la voce fuori campo ripete il suo nome, come a
chiedere applausi che però non arrivano. Lei saluta sorridendo, mentre la luce
si abbassa, e scompare dietro la tenda.
Lo cacciano quasi a pedate, ubriaco da far schifo, i
pantaloni sporchi del suo vomito e macchiati da una larga chiazza della sua
urina. Si trascina nel parco, non troppo lontano da quel locale pieno di rumore
e fumo, con una musica alta che disturba i vicini che però non dicono nulla e,
attorno, prostitute, spacciatori, magnaccia e
piccoli delinquenti. Ogni tanto la polizia passa, ma raramente si ferma.
L’ultima volta che una pattuglia ha bloccato un paio di ragazzi, un italiano ed
un senegalese, con addosso qualche grammo di roba, il giorno dopo quelli erano
di nuovo in libera uscita, e adesso, quando la stessa pattuglia passa, perché è
di turno, loro, e tanti altri, sembra ridano dei poliziotti. Andrea intanto sta
male sul serio, non ha una casa dove tornare, e neppure in quel bar di
emarginati viene accettato. Si allontana quanto basta perché le luci di un
faretto non lo mostrino a un chilometro di distanza e si nasconde sotto una
specie di grosso cespuglio, tra i rifiuti, e si addormenta.
Walter, perché pensa di essersi chiamato Walter, tanto tempo prima, si sta
sistemando in quella vecchia auto abbandonata dove ormai si rifugia da tre
mesi. Le coperte che ha recuperato da una campana di abiti usati sono ormai
luride e puzzolenti, ma adesso non servono, non fa freddo. Con la buona
stagione fare il barbone non è neppure troppo male, e per mangiare ormai sa
come organizzarsi. Della sua vita precedente con moglie e figli conserva tracce solo in certi incubi ad occhi aperti. Pensa a fatica che la moglie ad
un certo punto è sparita. Non potrebbe dire però se è scappata e per quale
motivo: colpa sua, un amante, stanca di fare la cameriera di tutti? Forse è morta. E se è morta non ne ricorda
certamente le circostanze. In ogni caso non c’è più. Poi lui ha perso il
lavoro, quello se lo ricorda bene, e poi…e poi nulla…Lui ha lasciato gli amici
o gli amici hanno lasciato lui. Lui ha scordato i figli o i figli lo hanno
scordato. Ora non fa differenza.
Quando Sonia esce dal retro del locale sono già passate le
due di notte. Non le piace camminare da sola in quella zona isolata; ha già
avuto due brutte esperienze che
vorrebbe evitare di ripetere. Tiene una mano nella borsetta, e in pugno stringe
la bomboletta. In un minuto è alla sua auto, parcheggiata in un piazzale ben
illuminato, e si rilassa; nessuno attorno. Sale e parte verso il suo
monolocale, in periferia. È preoccupata perché quel lavoro, per certi aspetti
sicuramente schifoso, è una fonte di guadagno alla quale non sa rinunciare, e
le trasmette emozioni non propriamente innocenti ma indubbiamente anche momenti
piacevoli. All’inizio pensò che non ci sarebbe mai riuscita, e le prime volte
furono veramente difficili, dovendo vincere molte resistenze dentro di lei. Da
quasi due anni però si è abituata, e trova il lavoro un modo per liberare il
suo lato oscuro, al quale ora non vorrebbe rinunciare. Ed è preoccupata perché dovrà farlo invece, tra non molto. Aspetta un bambino, è al terzo mese, e non
vuole abortirlo. Tra un mese, forse due, non spera in tre, non potrà più salire
sul palco. Sa che la sua vita cambierà, lo sa e per adesso non vuole pensarci.
Parcheggia l’auto nel suo posto, nel piano interrato del condominio, sale con
l’ascensore e in meno di venti minuti è a letto che dorme.
Ha deciso di andare davanti ad un supermercato per chiedere
l’elemosina, ma non resiste neppure cinque minuti. Due che controllano il posto
lo fanno allontanare mostrandogli un coltello che per un attimo brilla al sole.
Non è gradito come concorrente al recupero delle monete nei carrelli o come
questuante che infastidisce chi potrebbe comprare una cintura, un bracciale
etnico o un portafogli in pelle conciata male. Vaga per la strada, raccoglie un
mozzicone di sigaretta non consumata sino in fondo, poi trova una lattina abbandonata
su un muretto. La scuote, c’è ancora birra, la beve. Arriva ai
giardinetti, trova un panchina libera, si siede, e alcuni bambini che stavano
giocando vicini vengono fatti allontanare dai genitori. Nessuno lo vuole a meno
di 10 metri di distanza. Ma lui ha bisogno di altro, non certo di compagnia,
solo non ha soldi.
Quando si sveglia per il rumore che arriva da oltre il
muretto dove si trova la macchina il sole già è abbastanza alto. Ha fame, e
dopo essersi nascosto dietro un cespuglio per le necessità urgenti si avvia
verso il centro, cercando di camminare diritto, memore forse di un'antica
dignità, o più probabilmente perché così gli sembra di piacersi di più riflesso
nelle vetrine. Trova i suoi soliti bidoni, ma non c’è molto. Recupera solo un
pezzo di pane secco, un po’ ammuffito, ma può bastare. Sino alla mezza non ha
nulla da fare, deve solo aspettare che apra quella sala dove potrà avere un
pasto, e allora cammina a caso, cercando di non infastidire nessuno, guardando
tutti quelli che corrono. Chissà dove andranno, chi li aspetterà, cosa faranno?
In realtà non gli interessa nemmeno. E non gli interessano neppure le donne.
Una volta forse sì, ma ora no. In una piazzetta trova un pianoforte, in un
posto dove è passato altre volte, ed è sicuro che non c’era mai stato prima.
Sta per continuare il suo camminare a vuoto, ma una mano sulla spalla sembra
spingerlo verso quel piano, e poi a sedersi, sullo sgabello, di fronte alla
tastiera.
I tasti bianchi, e quelli neri, gli sono familiari. Avvicina
le sua mani, meccanicamente, e quelle si muovono da sole, come se non
aspettassero altro, e creano musica. Non suoni, o peggio, rumori fastidiosi, ma
musica.
Attorno alcuni si fermano, incuriositi, o, sarebbe più
giusto dire, incantati dal pifferaio di Hamelin. Uno di loro è un ragazzino,
che col suo telefono riprende dieci minuti dell’esecuzione, gli ultimi, prima
che il barbone che forse si chiama Walter, probabilmente infastidito, si
allontani dalla piazzetta sparendo nei vicoli attorno.
Due giorni dopo un video su youtube inizia a richiamare
molti curiosi, e dieci giorni dopo sembra virale, si diffonde, con un
passaparola, e ottiene migliaia e migliaia di contatti.
Passa un altro mese. I contatti sono ormai nell’ordine dei
milioni.
Non trascorre tutto il mese però prima che Walter venga
individuato (perché si chiama veramente Walter, ora è sicuro) e che le cose
inizino a cambiare.
E la situazione comincia sul serio a mutare. Prima per lui, ovviamente, ma poi anche per Sonia, sua figlia, e infine per Andrea, suo figlio.
Tutto inventato? Certo, è chiaro, è normale pensarlo; in realtà la
storia parte da qui.
Silvano C.©
( La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)
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