Innanzi tutto la prendo alla lontana. La riflessione sulle migliori modalità possibili per consumare cibo il più vicino
all’ecocompatibile che ci sia concesso è parte di un insieme più complesso che
comprende: sistema economico di un Paese, risorse disponibili, livello sociale e
di istruzione, stile di vita personale e dell’intera comunità nella quale si
vive e così via. Non è solo il cibo a dover essere sotto esame, è evidente.
Quindi ogni osservazione o punto che tratterò qui di seguito devono tener conto di
questa premessa, che di tanto in tanto verrà richiamata, per qualche approfondimento particolare.
Comprare (e consumare) generi alimentari (e non solo)
prodotti a brevissima distanza da casa ha alcuni indubbi vantaggi, ma non
sempre è possibile e ha pure qualche controindicazione.
Procediamo con ordine, partendo appunto dagli
alimenti. Prima di tutto, se si fa questa scelta, occorre escludere banane,
ananas, pompelmi e così via, e ovviamente anche frutta e verdura prodotta a 100
metri da casa ma ottenuta in serre, magari con riscaldamento o illuminazione
artificiale, e utilizzando fertilizzanti o altri
aiuti all’agricoltura che arrivano da industrie lontane, e che utilizzano
combustibili fossili o energia elettrica o materie prime che vengono a loro
volta da lontano. Bisogna poi evitare di utilizzare troppi mezzi a motore di piccole
dimensioni per spostare piccole quantità di merce perché, alla fine, questi
inquinano non meno di una grossa nave che sposta da un continente ad un altro
quantità enormi di alimenti.
In altre parole frutta e verdura di stagione,
ottenute in modo naturale, tradizionale, con concime magari di origine animale
che viene dalla stalla accanto. Così sarebbe tutto perfetto. E i prodotti di
stagione costano pure meno e sicuramente sono più sani e graditi dal nostro
metabolismo, adattato nei secoli a questo tipo di alimentazione. Escludo
volutamente i prodotti di origine animale, nel ragionamento, perché rischierei
di aprire la questione vegana, che esula per ora dal tema principale, che è Km
0, anche se ovviamente questo lascia aperta una questione non da poco, che
tocca anche la stessa tradizione contadina.
Un vantaggio da tener presente è la promozione della
produzione locale, regionale, tipica, all’opposto della filosofia della grande
distribuzione, che punta alle grandi quantità per abbattere i prezzi. Quindi la
concorrenza, in termini di prezzo al consumatore, è molto forte, e per certi
versi pure sleale da parte delle grosse catene (ma su questo ci ritornerò).
Il concetto di Km 0 punta a far riflettere sulla
produzione (e quindi a ridurla) di gas serra o inquinanti, e questa è una cosa
necessaria in tempi di aumento della popolazione, di sprechi, di interessamento
da parte dello stesso Papa alla questione (che, tuttavia, nel suo caso, va ben
oltre l’aspetto ecologico, ma tocca le selvagge modalità di azione del
capitalismo economico attuale, con riduzione della stessa persona umana a
merce). Un rovescio della medaglia è l’aspetto autarchico della visione, ed il
bisogno di rivedere il modello di sviluppo che, in Italia, ha significato il
benessere economico diffuso a larghi strati di popolazione, nell’immediato
dopoguerra. Volendo applicare alla lettera i principi del Km 0 su vasta scala
si generano indubbiamente problemi di riconversione, che è bene non
sottovalutare.
I gruppi di acquisto solidale (GAS) mirano alla filiera
corta, che è apparentemente la declinazione, sotto un altro punto di vista, del
Km 0, poiché vuole dare un giusto compenso anche ai produttori, non solo ai
consumatori.
In questa ottica però ecco che emerge un primo
problema. Filiera corta significa riconoscere diritti e vantaggi al produttore,
ad ogni produttore (e non solo economici e di qualità per il consumatore),
anche se vive a distanza di migliaia di chilometri. Un esempio di quanto vorrei
far capire è quello offerto da Mandacarù, che ha nel proprio statuto il commercio
equo e solidale, non la distanza fisica tra produttore e consumatore, e quindi
non prevede l’annullamento del necessario trasporto di merci, anche attraverso
i continenti.
Un aspetto che poi mi sta molto a cuore è la questione di
tipo sociale, o più precisamente di livello socio-economico-culturale del
consumatore. Essere consapevoli di un problema non significa essere nelle
possibilità economiche di fare una certa scelta (cioè io posso sapere benissimo
che dovrei curami i denti, ma non è detto che abbia i soldi per il dentista).
Mi spiego meglio. I Discount sono attualmente molto frequentati,
vi si vende di tutto, e praticamente la spesa si può esaurire in uno di questi
punti vendita senza bisogno di andare altrove. Trovo abbastanza difficile
trovare prodotti più economici in un piccolo mercato rionale, col contadino o
il casaro che portano il frutto del loro lavoro. Oppure in un negozio che vende
biologico o applica altre modalità commerciali, non ultimo il piccolo
negozio vicino a casa, che trova sempre più difficoltà a restare in vita. Chi
cerca solo il risparmio, e sono sempre di più quelli ad avere questa esigenza,
non può permettersi il lusso del Km 0, ma preferisce, per forza di cose, il
biscotto prodotto nella comunità europea, magari in Romania, e non certo quello
del fornaio, che probabilmente usa materie prime più controllate e sane, e più costoso.
Poi rifletto su un altro aspetto, che fa parte della
necessità dell’uomo di scoprire, di aprirsi al mondo, di vedere altre culture,
di capire come si vive altrove. Restando solo nella propria città o regione
questo non può avvenire, e si possono anzi far crescere, in tal modo, la paura
per il diverso, la xenofobia ed il razzismo. Quanto costa, in termini di
inquinamento e di produzione di CO2, un viaggio in aereo intercontinentale o
anche solo entro i confini europei? Se dovessimo applicare la stessa logica del Km
0 tutti dovremmo smettere di viaggiare, non solo di consumare prodotti che
vengono da Israele o dal Marocco. E quanti cultori di questa logica nei consumi
poi, in realtà, viaggia, e non poco? Domande alle quali io non so rispondere,
mi limito a farle.
Proseguo nel ragionamento. Se io non mi sposto mai,
consumo solo il radicchio prodotto nel mio orto, esclusivamente il formaggio del mio amico (perché
a questo punto i fornitori diventano pure amici, è una conseguenza logica) poi
non devo lamentarmi se nessuno viene a visitare il centro storico del mio paese
e nessuna industria o attività commerciale locale riesce ad ottenere una maggiore
visibilità a livello nazionale. I confetti di Sulmona, in altre parole, se li
mangino quelli di Sulmona, ed il panforte di Siena resti a Siena. Perché
consumare questi prodotti altrove? Esagero, ovviamente, ma non troppo, perché
il gorgonzola mi piace, anche se non vivo dove si produce.
Cerco di concludere, ora, perché alla fine credo di
aver fatto capire che il tema è complesso, e non riducibile ad uno slogan.
I viaggi, che sono una ricchezza dell’uomo, sono strettamente legati allo scambio delle merci, e sono un valore.
Preservare i negozi di quartiere, i mercati ed i mercatini resta importante per difendere la nostra identità e cultura.
La convivialità che in certe occasioni accompagna il cibo non mantiene solo la tradizione, ma realizza anche uno lo scambio, una mescolanza di esperienze, di culture, di aromi e sapori. Questo dovrebbe portare, in senso più ampio, ad una diffusione di opportunità e di libertà, cioè di diritti, a tutti, non ad una loro riduzione entro i propri confini.
Come ottenere tutto questo, con spinte a volte apparentemente inconciliabili tra loro? La risposta è una sola e semplice, secondo me: non c’è una sola risposta.
I viaggi, che sono una ricchezza dell’uomo, sono strettamente legati allo scambio delle merci, e sono un valore.
Preservare i negozi di quartiere, i mercati ed i mercatini resta importante per difendere la nostra identità e cultura.
La convivialità che in certe occasioni accompagna il cibo non mantiene solo la tradizione, ma realizza anche uno lo scambio, una mescolanza di esperienze, di culture, di aromi e sapori. Questo dovrebbe portare, in senso più ampio, ad una diffusione di opportunità e di libertà, cioè di diritti, a tutti, non ad una loro riduzione entro i propri confini.
Come ottenere tutto questo, con spinte a volte apparentemente inconciliabili tra loro? La risposta è una sola e semplice, secondo me: non c’è una sola risposta.
Le posizioni integraliste da una parte o dall’altra,
se portate alle estreme conseguenze, diventano persino ridicole e, a questo
punto, ovviamente, fai le scelte che ritieni più adatte per te. Grazie di
avermi letto. Se vorrai commentare qui sotto mi farà piacere, ma non chiedermi
di spiegare, fuori da questo blog, quello che ho scritto, o di discuterne. I commenti
sparirebbero, e mi spiacerebbe.
L’immagine usata è: "Flora meretrix" (1590) di
Arcimboldo. L’originale appartiene ad una collezione privata.
( La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)
Questo commento è stato eliminato da un amministratore del blog.
RispondiEliminaciao Silvano, sono d'accordo sul fatto che il tema è complesso. Andiamo per ordine:
RispondiEliminaMolti Paesi del Terzo Mondo (se non tutti) vedono gran parte dei propri terreni messi a coltura intensiva di alimenti non autoctoni, che non permottono la sovranità alimentare del Paese stesso nonché ne depauperano la terra.
È vero che il biologico, l'equo e solidale hanno prezzi quasi doppi delle derrate di massa, ma ciò ci dovrebbe far riflettere sul fatto che forse mangiamo troppo e male, sprecando all'inverosimile. Inoltre con lo sviluppo del km zero non è detto che non possano arrivare i prodotti locali presso le catene di hard discount ed anche GDO. Già in effetti se guardi le referenze degli scaffali di Auchan oppure Eurospin vedrai che trovi pochi, ma presenti prodotti tipici regionali (non solo della Regione del negozio, ma anche prodotti di valore del nostro made in Italy). È proprio il consumo locale e il consumo di prodotti IGP e DOP che porteranno ad un incremento del nostro PIL.
Se già riuscissimo a ridurre del 70% il trasporto su gomma a largo raggio di derrate alimentari ne beneficerebbe non solo l'ambiente circostante, la decongestione del traffico, ma pure il turismo slow food. Basterebbero degli spostamenti a lunga percorrenza su ferrovia, ove possibile, ed organizzare dei percorsi enogastronomici con l'ausilio di mezzi pubblici per godere dei momenti conviviali direttamente nei luoghi di origine del prosciutto, del pistacchio, del cous cous, etc.
Già è in atto questo cambiamento della catena di distribuzione: posti si perderanno nella GD e GDO, ma tanti altri se ne creeranno presso il primo settore e nel terziario di prossimità ( mercatini rionali e botteghe di quartiere, nonché le reti commerciali nei centri cittadini).
Grazie per il tuo post e per avermi dato ospitalità nel risponderti.
Giuseppe
Che devo dire, Giuseppe? Innanzitutto grazie. So che hai avuto difficoltà, che per fortuna hai superato.
EliminaIl tuo commento completa il mio post. Avevo ragione a non voler rispondere fuori dal blog su un tema tanto importante, perché i tuoi argomenti toccano punti che io non ho toccato o ne approfondiscono altri.
Condivido quindi il tuo discorso sullo sfruttamento del terzo mondo con colture intensive non a loro beneficio, è vero che in molte catene della grande distribuzione esistono reparti come quelli che dici, e condivido la necessità di puntare sempre di più su prodotti di qualità certificati (meglio un buon vino, ad esempio, ma consumato poche volte e moderatamente, che uno scadente in contenitori discutibili bevuto a pranzo, a cena e in quantità tutti i giorni). Metto la mia firma pure sotto il discorso del trasporto su gomma, perché la penso allo stesso modo (l’assurdo avviene quando un’acqua minerale trentina, su gomma, viene trasportata in una regione dove già ci sono sorgenti di ottime acque imbottigliate, e viceversa. Oltretutto con una produzione abnorme di bottiglie di plastica). Conservo perplessità e dubbi invece sul fatto che chi non ha accettabili risorse economiche possa fare scelte di un certo tipo, anche se sicuramente una buona educazione alimentare potrebbe aiutare, ad esempio, anche sul piano dell’obesità (in Italia abbiamo i bambini più grassi d’Europa o quasi). Nei Discount ad esempio alcuni cercano una forma di riscatto, vorrebbero imitare i ricchi, o chi si può permettere i prodotti della pubblicità televisiva. Come si spiega altrimenti che su alcune confezioni alimentari certamente non di marca compaia la scritta: LUSSO, oppure che il carrello sia riempito di bevande gasate che imitano quelle più famose. (ovvio che certe bevande gasate sono comunque superflue e deleterie, ma il comprarle lo stesso, e di qualità ancora peggiore, è un indicatore da considerare).
In ogni caso condivido quasi tutto il tuo pensiero, alla fine, ma sono molto pessimista riguardo alla possibilità di raggiungere i risultati che vorremmo. Silvano
Ho eliminato il primo commento non perchè offensivo o per altri motivi innerenti la tematica del post, ma su richiesta specifica dell'autore, che in ogni caso ringrazio per il suo contributo - Silvano
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