venerdì 31 luglio 2015

I bulimici della rete


Mi riesce difficile dire tutto quanto vorrei sul tema che mi accingo a trattare, quindi accetto preventivamente il fatto che per forza di cose sarò parziale, di parte, a volte impreciso, non sistematico e pure un po’ umorale e poco oggettivo. Io lo accetto, e spero che pure tu mi perdoni, quando scoprirai quanto sia vero quanto appena affermato.
Prima di tutto odio i luoghi comuni, e appena mi rendo conto di caderci, tento di uscirne, oppure di denunciarli, se vedo che qualcuno li ritiene corretti.

Un luogo comune che mi sembra vada sfatato è che le persone anziane, o, più correttamente, i diversamente giovani, non abbiano competenze informatiche e quindi non navighino sufficientemente in rete o necessitino di strumenti semplificati per farlo. Nulla di più falso. Ci sono ultrasessantenni che tengono un blog, utilizzano i social, mettono foto sulle piattaforme giuste, collaborano a enciclopedie on line, sanno benissimo come districarsi tra le icone di uno smartphone ed hanno competenze professionali che i giovani si sognano di avere (Sicuramente quelle legate alla loro esperienza che, fosse anche solo per un fatto di età, non hanno ancora).
Questi non più giovani usano poco le nuove tecnologie, o meglio, possiedono pochi di questi nuovi strumenti? Questo è possibile, ma la logica alla base del fenomeno è la stessa che spiega come mai anche chi vorrebbe comprarsi una Mercedes poi ripiega sull’auto di una casa automobilistica più economica: è semplicemente un fattore economico. Essere aggiornati con gli strumenti nuovi costa, e gli strumenti invecchiano in fretta. Gestire gli strumenti nuovi costa, se non altro come contratto di utenza. Chi ha un contratto di telefonia fissa inclusivo di tutto se vuole gestire anche un telefono mobile e intelligente deve avere un altro contratto, che non è gratuito, ed ha limiti nel traffico. Se tu che leggi mi dimostri che non devo spendere nulla di più rispetto al mio contratto all inclusive, e non devo neppure integrare con qualche extra il mio contratto attuale (che per le mie esigenze va benissimo) allora posso pure cambiare idea, altrimenti conservo la mia originale.

Ma ora lascio i luoghi comuni, e vengo al tema principale, quello del titolo. Io della rete ne ho bisogno, fosse anche soltanto per leggere la posta elettronica. Ma ne ho bisogno principalmente perché così mantengo contatti con persone importanti, persone che magari non ho mai incontrato di persona, e che magari potrò incontrare, come recentemente mi capita sempre più spesso, a volte quando meno me lo aspetto. Quindi la rete, in quest’ottica, è tutto tranne che virtuale, perché le persone sono sempre reali. Per alcune persone io sono un numero, è vero. Io tratto alcune persona da numero, vero pure questo. Non mi nego però la potenzialità di interagire, e in quest’occasione vengono meno il mio o l’altrui essere numeri. Del resto chi può negare che anche solo camminando per le strade di una città di medie dimensioni le altre persone che vedo siano numeri, sino a quando non avviene qualche cosa che ci metta in contatto? La logica è la stessa. Quando torno a casa delle centinaia o migliaia di persone incrociate per puro caso non mi resterà quasi nulla, scompariranno nella massa della gente (pessima parola, che però in questo caso ha un senso ben chiaro).

Nella vita però bisogna darsi tempi, spazi, priorità, valori. E occorre fare scelte. Se sono ad una cena tra amici, non posso usare uno smartphone per interagire con altre persone assenti ed ignorare gli occhi di chi mi sta accanto, di fronte, o che posso andare io a trovare, alzandomi dal mio posto per avvicinarmi, e scambiare due parole. È cafone, stupido, limitante, fortemente autolesionista avere un comportamento simile, che tuttavia sembra sempre più diffuso. Addirittura ormai si guida l’auto con gli occhi sullo schermo di pochi pollici, e si rischiano incidenti, altro che vietato telefonare alla guida, siamo all’irresponsabilità 3.0.

Quello di staccare, ogni tanto, è essenziale, vitale, necessario, doveroso e segno di rispetto, anche nei confronti di quelli che, per qualche ora, ci trovano irraggiungibili. Che succederà mai, se per un pomeriggio, una sera, magari un giorno intero, io non sono in rete? Forse che gli amici si perdono in questo modo e non per altri motivi? È evidente che bisogna esserci, non sparire, dare segni di vita, rispondere alle chiamate o chiamare, ogni tanto. Ma non serve farlo ininterrottamente.

Possedere uno smartphone insomma, se diventa una nuova schiavitù, decisamente non mi interessa. Mi va bene se lo devo avere per lavoro, ma non mi va più bene se devo mandare istantaneamente in rete la pizza che mi hanno appena servito, o postare il video in diretta (con una della tante nuove app sempre pronte ad attirare utenti) del mio incontro con altre persone, magari riprendendo un luogo pubblico ed inquadrando pure chi passa occasionalmente.  Mi va bene se lo uso per incontri clandestini (la morale la lascio ad altri, perché gli incontri clandestini c’erano ben prima dell’avvento dell’elettronica) ma già va meno bene se poi sbaglio a toccare lo schermo ed invio immagini, frasi e filmati a chi non se li aspetta e ci rimane come minimo un po’ stupito (la morale, a quel punto, rischia di diventare molto tangibile).

Ecco, finito! Ho scordato qualche cosa? È possibile, ma lo avevo previsto.

                                                                                                         Silvano C.©
(La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)

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