Eppure ho amato Marinella. Forse l’unica donna che io abbia
amato veramente. Era diversa dalle altre, discreta, poco truccata, vestiva
semplicemente. Non mi aveva cercato come facevano tutte le altre. Non aveva
finto d’interloquire con me del più e del meno per arrivare al punto più tardi,
per sottopormi il proprio manoscritto magari dopo un invito a cena, o dopo
ancora, nell’intima penombra della stanza da letto.
C’eravamo incontrati al mercato rionale di via Alessandria,
a Roma, mi aveva sconsigliato quelle arance indicandomene altre su un altro
banco “più giù”. Rimase a guardarmi con un broccolo in mano finché non mi vide
scegliere quelle giuste.
Ci ritrovammo al banco del pesce la settimana seguente,
stavolta al mercato di Piazza Vittorio.
Quel giorno pioveva e lei indossava un’impermeabile rosso
ciliegia. Anche le sue gote erano rosse e gli occhi, neri, accesi come tizzoni
ardenti. La guardai meglio. Aveva l’incedere di una ballerina di flamenco, un
corpo armonioso, era bella. Mi portai verso di lei con la curiosità tipica di
chi fa il mio mestiere, lei non mi vide finché non la urtai. Finsi una
distrazione, raccolsi la mela che era caduta dal suo carrellino e gliela porsi.
Lei allora si ricordò di me e delle arance. Disse soltanto «Ah, ciao!» e dopo
avermi sorriso si diresse a un altro bancone.
«Lo vedi dagli occhi se sono freschi», mi disse quando le
fui accanto, come attratto da una calamita.( continua a leggere sul blog di Elena Bibolotti)
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